martedì 26 febbraio 2013

Preghiera come respiro


Con una certa libertà filologica, Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone (1817-1832) collegava il «meditare» al latino medeor, «medicare»: sarebbe, perciò, una sorta di medicina dell'anima. Certo è che il meditare orante è un'esigenza della fede, tant'è vero che l'orazione è un fenomeno antropologico universale. Noi ora cercheremo di delineare una mappa essenziale della sua struttura, mostrandone le ricadute vitali e personali. Quattro saranno i punti cardinali di questa guida che accompagnerà il nostro successivo pellegrinaggio spirituale nel Salterio come epifania della fede.
Il primo verbo è «fisico»: respirare, legato - come si diceva - all'os, la «bocca» che orat, «prega». Il filosofo Seren Kierkegaard (1813-1855) non aveva esitazioni quando annotava nel suo Diario: «Giustamente gli antichi dicevano che pregare è respirare. Qui si vede quanto sia sciocco parlare del perché si debba pregare. Perché io respiro? Perché altrimenti morrei. Così con la preghiera». Il teologo e cardinale Yves Congar (1904-1995), nella sua opera Le vie del Dio vivente, ribadiva questo tema: «Con la preghiera riceviamo l'ossigeno per respirare. Coi sacramenti ci nutriamo. Ma, prima del nutrimento c'è la respirazione, e la respirazione è la preghiera». L'anima che riduce al minimo la preghiera rimane asfittica; se esclude ogni invocazione, lentamente si strangola. Se si vive in un ambiente di aria viziata, l'esistenza intera si intristisce; così accade con la preghiera, che ha bisogno di un'atmosfera pura, libera da distrazioni esterne, allenata di silenzio.
Ecco, dunque, la necessità di creare un orizzonte intcriore limpido in cui sia possibile contemplare, meditare, riflettere, rivolgersi verso la luce di Dio. E interessante questa simbologia «fisica» per definire la preghiera. Essa pervade spesso i Salmi, che non di rado creano suggestivamente un contrappunto tra «anima» e «gola», perché unico è il vocabolo ebraico che le esprime, nefesh: «L'anima/gola ha sete di Dio, del Dio vivente ... Dio mio, Dio mio, dall'alba io desidero te solo, di te ha sete la mia anima/gola, desidera te la mia carne, in terra arida, assetata, senz'acqua» (Sai 42,3; 63,2). San Paolo ribadiva questa «fisicità», che non è meramente organica perché noi non abbiamo un corpo, ma siamo un corpo: «Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Dobbiamo, quindi, ritrovare la spontaneità e la costanza del respiro orante esplicito e implicito, come la donna del Cantico dei cantici in quella sua stupenda confessione d'amore, fatta in ebraico di sole quattro parole: 'anìjeshenah welibbì 'er, «io dormivo, ma il mio cuore vegliava» (Ct 5,2). La fede, come l'amore, non occupa solo alcune ore dell'esistenza, ma ne è l'anima, il respiro costante.
«Il pregare è nella religione ciò che è il pensiero nella filosofia. Il senso religioso prega come l'orga-no del pensiero pensa.» Così il poeta romantico tedesco Novalis, ripreso in modo incisivo nella stessa lingua dal filosofo Martin Heidegger (1889-1976), sia pure in maniera inversa, denken ist danken, «pensare è ringraziare». Il secondo punto cardinale è, dunque, il pensare. La preghiera non è semplice emozione, deve coinvolgere ragione e volontà, riflessione e passione, verità e azione. Non per nulla san Tommaso d'Aquino considerava «l'orazione come un atto della ragione che applica il desiderio della volontà su Colui che non è in nostro potere ma è superiore a noi, cioè Dio».
La figura di Maria, tratteggiata dall'evangelista Luca (2,19), dopo aver vissuto l'esperienza della maternità divina, è esemplare: essa «custodisce le parole» e gli eventi vissuti, e nel suo cuore, ossia nella sua mente e coscienza, li «medita», in greco li raccorda in un'unità trascendente (symbàllousa), e questo è il vero «pensare» secondo Dio. L'intreccio tra preghiera e fede presuppone, appunto, un continuo travaso fra questi due atti, per cui si invoca colui che si conosce. Così, è proprio pregando che il Salmista può affermare che «Dio si è fatto conoscere in Giuda» (Sal 76,2). L'io dell'orante si incontra e dialoga con l'«Io sono» divino, rivelato al Sinai nel roveto ardente (Es 3,14). Chi prega conosce Dio e, alla sua luce, conosce se stesso, come suggeriva un altro filosofo, Ludwig Wittgenstein, nei suoi appunti del 1914-1916: «Pregare è pensare al senso della vita».
C'è, però, un terzo e sorprendente cardine dell'orazione: è il lottare. Il pensiero corre alla scena biblica notturna che si svolge sulle sponde dello Jabbok, affluente del Giordano (Gen 32,23-33): là Giacobbe duella con l'Essere misterioso che alla fine rimane l'Ignoto, ma che è così forte da cambiare al suo interlocutore il nome da Giacobbe in Israele, mutandogli quindi la vita e la missione. È lui che ancora lo colpisce nel corpo slogandogli l'articolazione del femore, ferendolo perciò nell'esistenza, ed è ancora lui che lo benedice affidandolo a una nuova storia («spuntava il sole, quando Giacobbe passò Pe-nuèl...»). Ora, è curioso notare che il profeta Osea ha interpretato questa esperienza del patriarca biblico come un'invocazione a Dio e, quindi, come una preghiera: «Lottò con l'angelo, vinse, pianse e implorò la grazia» (Os 12,5). A questa dimensione della preghiera e della fede dovremo dedicare ampio spazio, perché la forma dominante dell'orazione salmica è proprio la «supplica».
Essa sboccia dal dolore, diventa interrogazione lacerante rivolta a Dio, sperimenta anche il silenzio e l'assenza divina, s'incarna nel grido salmico ripetuto da Cristo in croce: «Dio mio. Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Si riproduce nella continua protesta di Giobbe, il quale giunge al punto di sentire Dio come una belva: «che digrigna i denti sopra di me e affila gli occhi... mi afferra per il collo per stritolarmi ... coi suoi arcieri mi trafigge i reni senza pietà ... mi apre ferita su ferita, mi si avventa addosso come un guerriero» (Gb 16,9-14).
È quel «contendere/lottare» con Dio che già spiegava il nome «Israele» secondo la Bibbia (Gen 32,29) e che Giobbe ribadisce nel suo incessante lamento:
«È con l'Onnipotente che io voglio discutere, è con Dio che desidero contendere» (Gb 13,3). È, ancora, quella notte dello spirito che avvolge grandi mistici come san Giovanni della Croce, il quale però con le celebri strofe del suo Cantico spirituale, partendo proprio dall'assenza oscura, ci conduce all'ultimo punto cardinale luminoso, quello della presenza amorosa e dell'abbraccio intimo: «Dove ti sei nascosto, o Amato, lasciandomi nel gemito? Come il cervo fuggisti, dopo avermi ferito: uscii dietro a te gridando, ed eri andato via...».
Alla fine, allora, si ha rincontro: il quarto verbo della preghiera è l’amare. Esso delinea la meta suprema della preghiera e della fede che è espressa attraverso l'altro genere dominante del Salterio, accanto alla supplica, cioè la lode fiduciosa e gioiosa. Alcune spiritualità marcano maggiormente la trascendenza, Finaccostabilità divina che deve essere solo contemplazione, ammirata e celebrata, ma che è arduo amare. Gli antichi Sumeri cantavano al dio Eniil per «le sue molte perfezioni che rendono attoniti», consapevoli però che egli era «come una matassa arruffata che nessuno sa dipanare, un arruffio di fili di cui non si vede il bandolo». Anche l'islam esalta l'inattingibile gloria divina, un sole accecante che al massimo lascia un riflesso nella pozzanghera d'acqua che è l'uomo, per usare un'immagine di quella religione. Eppure, l'autentico approdo dell'orazione è l'intimità tra il fedele e il suo Dio, tant'è vero che la stessa spiritualità musulmana tende a questo abbraccio. Infatti, Rabi'a, la mistica di Bassora delI'VIII secolo, sotto il firmamento stellato dell'Oriente, cantava: «Mio Signore, in cielo brillano le stelle, gli occhi degli innamorati si chiudono. Ogni donna innamorata è sola col suo amato. E io sono sola qui con te».
Nella fede cristiana l'intimità è piena perché Dio è invocato 'abba', «babbo», nell'oratio dominica per eccellenza, il Padre nostro, scelto da Gesù come preghiera distintiva del cristiano. Ormai non è solo un Dio del quale parlare, ma al quale parlare in un dialogo ove gli sguardi s'incrociano. È il momento della preghiera silenziosa: «contemplatelo e sarete raggianti» canterà il Salmista (34,6). È la stessa esperienza degli innamorati che, finito il colloquio delle parole, si guardano negli occhi. E quello è il linguaggio più intenso e dolce, più vero e intimo, come suggeriva Pascal, convinto che nella fede come nell'amore «i silenzi sono più eloquenti delle parole».
Mettiamoci, allora, nello stesso atteggiamento dell'orante biblico del Salmo 123, in un delicato e tenero scambio di sguardi tra il fedele e il suo Dio:
«A te levo i miei occhi, a te che siedi nei cieli. Ecco, come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni ... così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio finché abbia pietà di noi» (vv. 1-2). È in questo incrocio silenzioso degli occhi che sboccia la contemplazione orante.

Card. Gianfranco Ravasi

venerdì 22 febbraio 2013

De pauperibus amandis, 2 (Gregorio di Nissa)


Sulla parola del Signore: ciò che avete fatto non a uno di questi, l'avete fatto non a me

P. Cavallini, Giudizio universale, part.



Sono ancora intento a contemplare la manifestazione tremenda del Re, descritta dal Vangelo. Ancora il mio animo si perde di coraggio e prova timore nell’ascoltare quelle parole (Mt 25,31-40).  Mentre sono intento a contemplare la scena, mi sembra di vedere in qualche misura lo stesso Re dei cieli, - così viene denominato nella Bibbia - seduto con tono severo sul trono della gloria, sopra un trono maestoso che da sempre contiene Colui che non può essere contenuto. È come se vedessi le infinite miriadi di angeli, che circondano il Re (Ap 7,11); anzi è come se vedessi lo stesso Re, grande e temibile, il quale, dalla sua maestà ineffabile volge lo sguardo sull'umanità intera. Egli osserva tutti gli uomini di ogni generazione, succeduti ai loro padri, quanti se ne possono contare [dal principio] fino alla sua tremenda venuta. Si addensano vicino a lui e ad ognuno viene emessa una sentenza, conforme al comportamento tenuto in vita. A quelli che sono collocati a destra e che hanno operato il bene con libera scelta, come è detto, Egli concede il suo favore, mentre agli altri, a quelli che sono alla sinistra ma che hanno pensato in modo tortuoso e spregevole, vivendo conforme a questo sentire, commina una punizione. Lo sento rivolgersi agli uni e agli altri; ai primi parla con voce dolce e affabile  invitando: «Venite benedetti dal Padre mio», mentre agli altri si rivolge con espressione minacciosa, tale da risvegliare paura e terrore: «Andate maledetti!». 
Mi sento rabbrividire per le parole pronunciate e di stare lì con loro. Non avverto più nessuna delle cose presenti. Con la mente non rivolgo più l'attenzione a nessuna delle realtà offerte alla nostra attenzione, quali oggetto di indagine e di studio, benché non siano di scarso valore né meritino di essere accantonate. Preferisco invece pensare in quale modo venga a noi il Signore che è anche sempre presente. «Ecco io sono con voi ogni giorno» (Mt 28,20). Se crediamo che Egli è con noi, come potrà allora giungere ed essere dichiarato come non ancora presente? (M 473) «Se in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo», come insegna l'apostolo (At 17,28), come può essere possibile che Colui che detiene in sé tutti quelli che abbraccia, stabilisca una qualche distanza da loro, al punto che da non essere più presente presso coloro che accoglie in sé e da dover essere atteso in un secondo tempo affinché possa essere veramente presente? Su quale trono può sedere un essere spirituale? Come può manifestarsi Colui che è invisibile? Quale immagine di sé può offrire, colui che è privo di forma ed essere circoscritto sopra un trono il Signore che trascende ogni limitazione? Come può attuare una presenza ancora più penetrante di quella che manifesta nel momento presente? Non vogliamo respingere queste domande come fossero questioni da rigettare ma, per quanto valore abbiano, ora mi accingo a parlare di argomenti che giovano a tutti. 

Davvero, infatti, ho pauro, temo quella minaccia e non rinnego il mio sentimento. Vorrei che anche voi foste toccati dal timore, senza disprezzare tale stato d'animo. Beato l'uomo che, spinto da vera religiosità, conserva sempre il timore! Chi disprezza questo sentire, ne subirà le conseguenze, dichiara la Sapienza (Pr 28,14). Prima di incorrere nella punizione, comportiamoci con sapienza, per non dover sperimentare tristi conseguenze. Come possiamo evitare la sciagura? Scegliendo quel cammino di vita che ora ci viene indicato dalla parola divina, sempre attuale e vivente. In che cosa consiste? «Avevo fame, avevo sete, ero straniero, ero nudo, ero ammalato, ero carcerato. Qualsiasi cosa abbiate fatto ad ognuno di questi, l'avete fatta a me». Per questo, dichiara: «Venite benedetti dal Padre mio!». 
Che cosa apprendiamo da questo messaggio? L'osservanza dei comandamenti è benedizione, mentre la negligenza nell'osservarli, si tramuta in maledizione. È in nostro potere scegliere di incorrere nella conseguenza positiva o in quella negativa. La direzione verso la quale ci volgiamo velocemente, deciderà la nostra sorte futura. Volgiamoci allora verso la benedizione del Signore, il quale ha detto di ritenere come indirizzata a lui ogni atto di benevolenza rivolto verso i bisognosi. Soprattutto adesso, quando il comandamento trova molte possibilità di attuazione. Molti sono gli uomini privi del necessario, molti sono coloro che vivono la privazione nel loro stesso organismo perché consunti da qualche grave malattia. Trattiamoli con premura se vogliamo ottenere il premio promesso; mi riferisco in modo esplicito  a quelli che sono tormentati da qualche terribile male. Quanto più la malattia è difficile da curare, tanto più è evidente che chi si impegnerà in modo più deciso nell'osservanza del comandamento, riceverà una benedizione ancora più larga. Che bisogna fare? 
Non opporsi all'imperativo dello Spirito. Essa ci impone di non considerare degli estranei altre persone umane e di non imitare quelli che nel Vangelo vengono rimproverati, mi riferisco al sacerdote e al levita che se ne andarono via trascurando l'uomo bisognoso di compassione, che era stato abbandonato dai briganti, mezzo morto, come precisa il racconto evangelico. Se quelli furono biasimati perché non volsero neppure uno sguardo alle piaghe tumide del suo corpo, come potremo noi sfuggire alla riprovazione se ci comportiamo allo stesso modo di quelli che sono stati considerati colpevoli? Tanto più che lo spettacolo offerto dall'uomo che era s'era imbattuto nei briganti, non è diverso da quello che ci viene proposto da tanti uomini cilpiti dal male. Osserva quella persona costretto dal suo male ad assomigliare ad un quadrupede; al posto dell'unghia o degli artigli, afferra dei legni con le mani, imprimendo sul suolo delle strade un nuovo tipo di caratteri. Chi potrebbe immaginare, vedendo tali segni, che è stato un uomo ad imprimere queste tracce mentre si spostava? L'uomo è eretto nella positura, guarda verso il cielo, possiede delle mani per poter operare; curvato a terra, diventa un quadrupede e si distanzia di poco da un essere privo di ragione. Con la pelle villosa e ansimante ai bronchi, trae dei respiri violenti dal profondo. Allora bisogna dichiarare, senza mezzi termini, che vive in una maniera più penosa di un animale. Questi conservano fino alla fine le stesse caratteristiche ricevute alla nascita e nessuno di loro, in seguito a qualche sventura, modificano in un'altra forma le loro caratteristiche. Questi miseri, invece, come se si fossero estraniati, sembrano essere diventati un altro, non conservano il medesimo essere vivente. Le mani fungono da piedi e le ginocchia da gambe. Le gambe e i piedi naturali o si sono consunti, oppure come fossero dei timoni sporgenti, simili ad aggiunte, li trascinano a caso. Considerando che questi sono uomini, non ti curi che una persona come te conduca un'esistenza simile? Non hai pietà di un essere della tua stessa razza? Ti infastidisce l'averlo incontrato e provi avversione per chi ti supplica. Fuggi lontano da lui come se temessi l'assalto di una fiera. Perché ciò non accada, dovresti fare un nobile paragone: l'angelo si relaziona con te che sei un uomo, e pur essendo un essere incorporeo e materiale, non disprezza chi è mischiato alla carne e al sangue. Perché parlo degli angeli? Lo stesso Signore degli angeli, il re della beatitudine celeste, per te divenne uomo, si rivestì di una carne sordida e abietta con l'anima dalla quale era avvolta perché, dopo averle toccate, le tue malattie fossero risanate. Tu, invece, pur partecipando alla stessa condizione umana di quelle persone che sono nel dolore, eviti di incontrali. Non fare così, o fratello, non seguire un istinto malvagio. Considera chi sei e chi siano quelli sui quali hai questi pensieri: un uomo si pronuncia su altri uomini; non possiedi nulla in te stesso che ti sia così particolare da escluderti dalla natura comune. Non pensare di conoscere ciò che accadrà. Mentre non ti curi del dolore, finché si manifesta nel corpo di un'altra persona, prendi una decisione di carattere generale che va contro tutti; partecipi anche tu della natura come tutti. Perciò considera la questione come se essa riguardasse tutti. 
Perché le sofferenze che osservi non ti muovono ad un interiore sentimento di solidarietà?
Il ricordo ancora mi opprime. Ho visto una situazione di sofferenza degna di suscitare misericordia, ho visto uno spettacolo che costringeva al pianto. Uomini s'aggirano per strade frequentate; anzi non più veri uomini ma residui umani di persone che un tempo erano uomini. Essi richiedono di essere considerati tali per qualche segno o qualche traccia di umanità [che è loro rimasta]. Non mostrano in se stessi le caratteristiche per le quali potrebbero essere riconosciuti come uomini. Soli fra tutti gli altri, odiano se stessi; soltanto loro maledicono il giorno della loro nascita; come è normale da attendersi, odiano quel giorno perché è stato l'inizio di una vita del genere. Sono uomini ma si vergognano a considerarsi appartenenti al nostro genere umano, perché, se fossero considerati tali, temerebbero di screditare con la loro appartenenza, la nostra comune umanità. Vivono sempre in miseria, hanno sempre motivi di lamentela. Finché si esaminano, trovano sempre motivazioni di pianto. Sono incerti per quale membro del loro corpo debbano lamentarsi maggiormente, per quelle che ancora hanno o per quelle che hanno perduto; per quelle che la malattia ha consumato o quelle sono rimaste in balia della malattia. Soffrono o perché vedono come esse si siano ridotte oppure perché, dal momento che la loro vista si è abbassata a causa di qualche malanno, non possono neppure vederle; o perché le vedono così malridotte mentre ne parlano, oppure perché non possono neppure parlare delle loro sofferenze, dal momento che una malattia li ha privati anche della voce. Soffrono per il modo con il quale si nutrono, poiché non possono neppure alimentarsi con facilità; o perché un morbo impedisce una corretta alimentazione avendo consunto parti del corpo vicine alla bocca, o perché si sentono ormai come morti a causa delle sventure capitate loro, oppure perché hanno perso la sensibilità. Dov'é finita la vista? L'odorato? Il tatto? dove sono finiti gli altri sensi? Mentre un po' per volta, la malattia cresceva di intensità, la cancrena li ha consumati. Per questo vagano da un luogo all'altro, come gli animali si muovono di continuo alla ricerca di un pascolo più abbondante. Affrontano qualsiasi pericolo pur di ottenere cibo in baratto, come viatico, e a tutti, invece di domandare con le parole, mostrano i segni delle loro malattie. Hanno bisogno che qualcuno li conduca per mano, in seguito alla loro infermità, e si sostengono a vicenda tenendo conto delle difficoltà comuni. Poiché ognuno è privo dell'uso di qualche membro, ognuno si presta come un sostegno per l'altro e possono così tutti utilizzare le membra di altri al posto di quelle che hanno perduto.  Non vivono isolati - anche la disgrazia insegna qualcosa per la conduzione della vita - ma preferiscono ritrovarsi insieme tra loro. Solidarizzano tra di loro e quindi, per far in modo che la gente sia più disponibile nei loro confronti, mendicano in gruppo; ognuno aggiunge la sua sofferenza a quella dell'altro, e poi donano alla collettività il penoso guadagno; in questo modo ognuno stimola di più la compassione perché ha aggregata la propria alla disgrazia dell'altro. Uno tende le mani mutilate un altro mostra il ventre infiammato e gonfiato, un'altro la faccia dilaniata e un'altro ancora un polpaccio in cancrena. Ognuno mostra quella parte del corpo che ha malata. 
Che dire? Forse è sufficiente, per evitare di peccare contro la nostra natura umana, compiangere le sventure degli uomini, esaminarne a parole i malanni e commuoverci nel richiamarli? O forse non abbiamo bisogno di mostrare con i fatti il nostro sentimento di compartecipazione e di solidarietà? Il passare dalle parole ai fatti è come da un progetto passare alla sua realizzazione. La salvezza non sta nelle parole, dice il Signore, ma nel compiere le opere di salvezza (Mt 7,21; Lc 6,46). Perciò noi dobbiamo praticare il comandamento che è in relazione con loro. Nessuno pensi che sia sufficiente provvedere cibo mandandolo a chi abita in qualche regione lontana, estraniandolo dalla nostra vita. Questo modo di pensare non rivela alcun atteggiamento di misericordia e di solidarietà ma piuttosto è identico a quest'altro sentire: che tutti gli uomini spariscano del tutto dalla nostra vita. Non ci vergogniamo della nostra condotta di vita? Non ospitiamo sotto il nostro tetto porci e cani? Anzi spesso il cacciatore non allontana il cagnolino nemmeno dal suo letto. So che l'agricoltore bacia il vitello. Anzi più ancora: il viandante con le sue mani lava i piedi dell'asino, lo pulisce dal sudiciume e si prende cura del suo giaciglio. Con persone appartenenti alla nostra stessa umanità agiremo in modo meno caritatevole di come ci comportiamo nei confronti degli animali? Assolutamente no, fratelli! Cerchiamo di avere lo stesso comportamento anche verso gli uomini. Dobbiamo ricordare bene chi siano quelli sui quali stiamo prendendo una decisione. Siamo uomini che decidono di altri uomini e non dobbiamo separarci da loro dimenticando che siamo della stessa umanità. «Unico è l'ingresso e unica l'uscita dalla vita» (Sap 7,6). Tutti abbiamo gli stessi bisogni circa il cibo e la bevanda; il sostentamento della vita è identico per tutti. La formazione del corpo è uguale per tutti e il temine della vita avviene allo stesso modo per tutti. Nessuna delle realtà esistenti ha una consistenza salda. A somiglianza di una bolla, il nostro spirito sostiene il nostro corpo soltanto per un tempo limitato. Non appena ci spegniamo, non lasciamo in vita nessuna traccia di questo rigonfiamento passeggero. Quanto ai ricordi su colonne, su pietre ed epigrafi neppure quelli durano a lungo. Rifletti allora in te stesso all'insegnamento dell'apostolo: «Non inorgoglirti ma temi» (Rm 11,20). Difficile capire se hai colto la durezza di questo insegnamento. Tu fuggi, mi dici, il malato? Perché ti rimprovero?  Potrebbe un uomo essere incriminato il cui umore è corrotto e marcio, perché il suo sangue è stato mescolato con la bile nera? Dovremmo prestare attenzione ai medici che studiano la malattia. Che male c'è se la sostanza dell'uomo è mobile e instabile ed è soggetto alla malattia? Non vedi che, oltre a persone in buona salute, ci sono persone che spesso soffrono per le malattie, bolle o infiammazioni in seguito queste malattie che si sviluppano in suppurazione, arrossamento e infermità? Che cosa dobbiamo fare? Non possiamo combattere la malattia che colpisce un membro del corpo? D'altra parte, siamo attenti a curare un membro malato contando sulla salute del corpo nel suo insieme. Quindi la malattia non è abominevole, perché una cura ripristina la salute al membro [M.484] stressato. Perché rifuggire da queste cose? Non dobbiamo temere la minaccia di colui che dice: «Andate via da me nel fuoco eterno. Nella misura in cui l'avete fatto non a uno di questi, l'avete fatto non a me» (Mt 25.41,45).
Se pensiamo che le cose stiano così, non avremmo questo atteggiamento verso chi sta male al punto da separarci da loro e da considerare una colpa ciò che sto compiendo, ossia il fatto che mi prenda cura degli sventurati. Allora, se crediamo che il Signore sia affidabile, cercheremo di praticare i suoi comandamenti, dal momento che, se non li avremo osservati, non saremmo considerati degni di ottenere i beni sperati. Lo straniero, il nudo, l'affamato, l'ammalato, il carcerato, e tutti gli altri poveri ricordati dal vangelo sono tutti inclusi in questo misero che hai incontrato. Gira senza meta e privo di tutto; non possiede nulla ed è bisognoso del necessario a causa della miseria nella quale è caduto in seguito ad una malattia. Poiché non ha una casa e neppure può contare su un salario, poichè non è in grado di lavorare, ha bisogno di tutto ciò che è necessario per vivere. Vive come un prigioniero, rinchiuso dalla sua malattia. 
Compiendo questi servizi hai praticato tutto ciò che ti veniva richiesto dai comandamenti e hai reso tuo debitore Colui che è il Signore di tutti a motivo della solidarietà che hai avuto verso questo povero. Perchè vuoi spegnere la tua vita? Chi non vuole avere per amico il Dio di tutti, non fa altro che diventare nemico di se stesso. Osservando i comandamenti, godrai della sua amicizia, mentre, al contrario, lo allontanerai da te se agirai in modo duro e insensibile. «Prendete su di voi il mio giogo», e per giogo intende la pratica dei comandamenti. Obbediamo al Signore che ci da questo comando, accogliamo su di noi il giogo di Cristo, lasciamoci afferrare dai legami del suo amore. Non scuotiamo via da noi questo giogo perché é soave e leggero. Non affatica la spalla di chi vi si sottomette ma la rinvigorisce. «Seminiamo nella benedizione», dice l'apostolo, «affinché meritiamo nella benedizione» (2 Cor 9,6).  Da questa seminagione germoglieranno molte spighe. La messe che proviene dall'osservanza dei comandamenti è abbondante. I germogli favoriti dalla benedizione ci sollevano in alto. 
Vuoi sapere a quale altitudine ci solleva la crescita di questi germogli? Ci fanno toccare l'altezza dei cieli. Quanto più ti impegnerai in queste attività, porterai frutto per acquisire tesori celesti. Non diffidare di queste parole e non disprezzare l'amicizia verso questi miseri. La loro mano può essere mutilata ma non è incapace di ricevere l'aiuto. I loro piedi possono essere inerti ma ancora capaci di correre verso Dio. I loro occhi possono essere illanguiditi, ma, grazia all'anima, possono contemplare i beni invisibili. Non limitarti ad osservare la deformità del corpo. Aspetta per un po' di tempo, e potrai vedere un'infinità di cose mirabili. Le cose che sono composte di una sostanza passeggera, non durano per sempre. Quando l'anima avrà potuto liberarsi dall'intreccio con le realtà corruttibili e terrene, allora potrà scorgere la sua bellezza. Ecco una prova di questo discorso: il ricco gaudente, dopo questa vita,  non disprezzò più la mano del povero, ma chiese che il dito del povero, che un tempo era corrotto, gli portasse una goccia d'acqua alla lingua, nella speranza che almeno l'umidità rimasta attorno al dito del povero, toccasse la sua lingua; non avrebbe chiesto questo se non avessi visto che quel corpo un tempo misero risplendere oramai come un essere spirituale, come l'anima. E' ovvio che quel ricco, in quel mutamento di vita, si ricredesse inutilmente! Che apprezzasse la sventura che quel misero aveva sofferto in questo mondo, che si lamentasse della sua sorte, poichè aveva ereditato una vasta fortuna a danno della sua anima. Se avesse potuto tornare in vita a quale tipo di persone avrebbe scelto di appartenere? A quelli che in questo se la godono o a quelli che invece vivono negli stenti? E' certo che preferirebbe la condizione dei disagiati. Insiste che un messaggero  sia mandato presso i fratelli dal mondo dei morti affichè non avvenga che anche quelli, rovinati per l'arroganza della ricchezza, immersi nei piaceri della bella vita, non venissero trascinati nella voragine dell'ade e andassero in rovina per la dolcezza del piacere. Ascoltando questo racconto, non dovremmo imparare un po' di saggezza? Perché non ci impegniamo in quell'affare che ci ha suggerito il divino apostolo: «La nostra abbondanza supplisca alla loro mancanza affinché anche la larghezza del loro perdono torni a nostra salvezza nella vita che seguirà in futuro» (2 Cor 8,14). Se vogliamo essere trattati benevolmente, anticipiamoli facendo loro del bene. Se vogliamo essere saziati nella vita futura, adesso offriamo loro refrigerio. Se vogliamo essere guariti dalle ferite del peccato, soccorriamoli nelle loro necessità concrete. «Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia» (Mt 5,7). 
Intanto qualcuno dice che il comandamento [che ci impone di essere solidali], dovrà essere osservato in futuro, in qualche altra circostanza ma che, nell'attuale evenienza, non sia opportuno avere scambi e relazioni con gli ammalati. Si dice che per non restare contagiati in modo involontario, è preferibile non rischiare di avvicinarsi a loro. Sono chiacchiere, scuse, pretesti! Sono veli splendidi esposti per smascherare la nostra negligenza nell'osservanza dei comandamenti di Dio. La verità è un'altra. Non dovremmo obbedire a Dio ed avere paura, né dobbiamo curare un male mentre soffriamo per un altro male. Quanti, come è possibile verificare, di coloro che si sono occupati di soccorrere questi miseri per tutto il corso della vita, dalla giovinezza alla vecchiaia, e godevano di sana costituzione, hanno avuto problemi di salute a causa del loro servizio? Non è normale che accada una cosa del genere. E' vero invece che qualcuna di queste malattie ha suscitato paure e apprensioni. Parlo di forme contagiose, di malattie che si sviluppano per cause esterne, per l'inquinamento dell'aria o dell'acqua e in questa circostanza sembra che chi si è ammalato per primo trasmetta poi il morbo a chi l'avvicina. Da parte mia non credo proprio che una malattia possa trasmettersi ad una persona sana, soltanto per una relazione tra le due persone. Una situazione precaria [dal punto di vista sanitario], provocando fenomeni simili a quelli della malattia, diventa la causa per la quale il morbo si trasmetta da quelli che si sono già ammalati ad altri che sono ancora sani. Tuttavia avviene in seguito che la virulenza del morbo si attenui all'interno [del corpo] e poiché il sangue può resistere alla degenerazione dovuta all'infusione di umori patologici, l'influsso della malattia si limita soltanto alla persona che l'ha contratta. Questa spiegazione viene suffragata da quest'altro indizio: qualcuna delle persone ammalate si è rinvigorita in modo consistente grazie al contatto frequente che avviene tra sani ed ammalati, anche se i primi si sono prodigati in modo splendido a curare gli infermi? Non l'ho mai osservato. Lo stesso fenomeno si verifica anche in senso contrario, ossia non avviene che degli ammalati trasmettano il loro male ad altre persone sane. Se i fedeli che osservano il comandamento dell'amore ottengono come premio eccellente il regno dei cieli, mentre nel loro corpo non subiscono alcun danno per essersi presi cura dei malati, che cosa ci può impedire di praticare il comandamento della carità? 
Mi obietti che è ben difficile convincere, a forza di  esortazioni, a compiere spontaneamente queste opere che sono aborrite da tutti. Convengo con te: penso che sia difficile. Dimmi, però, quale virtù non implichi uno sforzo per essere acquisita in tutto? La Legge divina ha ordinato di affrontare sudori e fatiche per la speranza dei beni celesti, ha precisato che la strada che conduce alla vita è faticosa e in tutti i passi la considera stretta a causa delle fatiche e delle asprezze da affrontare. Stretta ed angusta è la strada che conduce alla vita. Che fare allora? Trascureremo la ricerca di quei grandi beni perché acquisirli costa fatica? Chiediamo ai giovani se la temperanza non risulti a loro impegnativa o che cosa sia più attraente, abbandonarsi alle passioni senza alcuna remora oppure vivere dominando se stessi? Ci proporremmo allora una vita piacevole e leggera, arrendendoci di fronte alle difficoltà della vita futura? Non è certo ciò che vuole da noi il Maestro di vita quando ha vietato di percorrere, per ottenere la vita, una strada larga, facile ma inclinata verso il basso. Entrate attraverso la porta stretta ed angusta. Proponiamoci allora un traguardo che si raggiunge con l'impegno e diamo valore ad esso; cerchiamo di far diventare un'abitudine di vita il comandamento che finora abbiamo trascurato; abbiamone molta cura finché godremo il vigore consueto delle persone sane. L'abitudine diventa una grande energia e ciò che sembrava più aspro, grazie alla costanza, diventa piacevole. Non diciamo: quanto è difficile [questo stile di vita]! Diciamo piuttosto che è molto fruttuoso per chi lo esercitaVisto che il guadagno è lauto, dobbiamo accettare la fatica in vista del risultato. Ciò che sembra duro, con il passare del tempo diventerà perfino piacevole, grazie all'abitudine acquisita. Se ce n'é bisogno aggiungo anche questa osservazione: la solidarietà verso gli sventurati è ricca di frutti anche per quanto riguarda questa vita ed è un'ottima scelta, per coloro che saggezza, una raccolta frutto di misericordia, indetta per venire incontro alle disgrazie altrui. Poiché tutta la nostra umanità è vincolata da una medesima condizione, e poiché nessuno non ha qualche sicurezza di vivere sempre nel benessere, né qualche garanzia, conviene sempre ricordarsi del comando evangelico, quando afferma: ciò che vogliamo gli uomini facciano a noi, facciamo anche noi a loro. Finché navighi tranquillo, porgi una mano a chi ha fatto naufragio. Attraversiamo lo stesso mare, affrontiamo la medesima tempesta, c'imbattiamo tutti nello scuotimento delle onde; sassi nascosti sotto il livello dell'acqua, scogli e promontori e tutte le altre occasioni di naufragio incutono la medesime paura a tutti i marinai. Finché sei tranquillo, finché  scorri sul mare dell'esistenza senza trovare ostacolo, non avanzare senza avere misericordia con chi ha urtato uno scoglio. Chi ti ha assicurato che avrai sempre una navigazione serena? Non hai ancora attraccato ad un porto dove riposare, non ancora sei libero dalle ondate, non ha ancora questa esistenza ti ha stabilito nella sicurezza. Ancora stai attraversando il mare della vita. In quel modo in cui ti comporterai verso quelli che hanno incontrato la sfortuna, allo stesso modo si comporteranno con te i tuoi compagni di navigazione. Andiamo tutti verso il porto in cui riposeremo, godendo del tratto di vita che ci sta davanti grazie al vento dello Spirito Santo. Ci viene proposta l'osservanza dei comandamenti e il timone dell'amore. Grazie al loro aiuto, raggiungiamo la terra promessa, nella quale si trova la grande città di cui architetto e costruttore è Dio stesso, al quale sia gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen. 

mercoledì 13 febbraio 2013

Gregorio di Nissa De pauperibus amandis

L'amore per i poveri



Gregorii Nysseni,

De pauperibus amandis orationes duo.
Edidit A. Van Heck
oppure
PG 46, 453 ss



Chi presiede questa Chiesa e i maestri della vera religiosità e della vita virtuosa, svolgono un compito simile a quello degli insegnanti di grammatica e dei pedagoghi che fanno conoscere i primi elementi della scrittura. Costoro, ricevendo in consegna dai loro padri,  bambini ancora teneri e infanti che appena balbettano, non comunicano subito a loro gli insegnamenti più elevati; li abituano piuttosto a incidere sulla tavoletta di cera la prima lettera (dell'alfabeto) e poi tutti gli altri segni. Insegnano loro a conoscere i loro nomi ed li fanno esercitare, accompagnando la loro mano nel tracciare i segni grafici. Dopo questo tirocinio, li fanno avanzare facendo scandire le sillabe e in seguito li abituano a pronunciare una parola per intero. In modo simile i capi della Chiesa, dopo aver guidato gli ascoltatori ad accogliere i primi elementi del loro insegnamento, offrono loro  la conoscenza della dottrina che è adatta alle persone più mature. 
Nei due giorni precedenti, vi ho insegnato a correggere i piaceri della gola e del ventre, ma non pensate che anche oggi intenda trattare lo stesso argomento, che torni a spiegarvi come sia opportuno limitare il consumo delle carni e astenersi  dal vino che provoca risa smodate e comportamenti scomposti, e [come sia opportuno] proibirsi la cucina ricercata e le mescite esagerate di vino. 
4. Ho già parlato a lungo di questi argomenti, e voi avete accolto la mia istruzione mettendola in pratica. Dopo avervi comunicato questi insegnamenti primari di comportamento, è utile passare, proprio per poter crescere, ad una dottrina più profonda e più impegnativa. Esiste anche un digiuno che non riguarda il corpo e un dominio di sé che interessa lo spirito, i quali, guardando particolarmente alla cura dell'anima, si ripromettono l'abbandono di ogni male. E' stata del resto questa stessa virtù ad insegnarci l'astensione dei cibi. 
Digiunate, dunque, da ogni cosa cattiva e abbiate il dominio di altre cupidigie sconvenienti. Rifiutate l'ingiusto profitto, annientate la bramosia di mammona (cf. Mt 6,24; Lc 16,9.13). Guardate di non custodire in casa vostra qualcosa che sia frutto di violenza o di rapina. Quale utilità offre non portare carne alla bocca e intanto mordere con cattiveria il fratello? Che cosa ti serve non mangiare i cibi che hai in casa, e trattenere presso di te ciò che hai sottratto ingiustamente ad un povero? Che razza di religiosità può essere limitarsi a bere soltanto acqua mentre nel frattempo prepari una frode e bevi sangue altrui a motivo di qualche crimine? Anche Giuda digiunò con gli altri undici apostoli ma poiché non estinse la sete di denaro, non ottenne salvezza con la sola astinenza. Anche il diavolo non mangia, poiché è uno spirito immateriale, eppure cadde dal sua altezza a causa della sua iniquità. Del resto nessun demonio si nutre di cibi cotti né può essere accusato di bere eccessivamente o di ubriacarsi. Il loro modo di essere li esenta dalla necessità di alimentarsi. Ciononostante non smettono giorno e notte, girando nell'aria, di compiere il male e di attuarlo. Con grande foga cercano di danneggiarci. Si struggono nell'invidia e nel livore, sentimenti dai quali è bene sfuggire. (5) Se gli uomini possono raggiungere la familiarità con Dio, essi hanno perduto questa possibilità, ossia la sintonia con il bene. 
L'esistenza dei cristiani sia caratterizzata da saggezza filosofica. L'anima eviti di macchiarsi con il male. Se ci asteniamo dal vino e dalle carni, mentre ci sottomettiamo liberamente al peccato, attesto e lo ribadisco, non ci saranno di alcun profitto acqua, verdura  e una mensa priva di carne. Non è lecito nutrire una disposizione interiore che sia difforme dal comportamento che teniamo all'esterno. Il valore del digiuno viene valutato a misura della purezza dell'anima. Se quest'ultima viene macchiata da intenzioni o da fatti negativi, perché inutilmente assumiamo acqua come bevanda mentre accumuliamo un mucchio di pantano che non può essere per nulla lavato? A che serve il digiuno del corpo, se non si purifica l'animo? Non offre alcuna utilità un carro, per quanto sia solido, ben trainato da una quadriga, se l'auriga è fuori di testa. Non giova che una nave sia stata costruita a meraviglia, se il timoniere la guida mentre è in preda al vino? Il digiuno è il fondamento di ogni virtù. Come le fondamenta di una casa o la carena di una nave, sebbene siano in grado di sopportare un grave carico, diventano inutili e senza alcun vantaggio, se le parti rimanenti non sono state costruite in modo egregio, così anche questa astinenza non offre alcuna utilità, se non vede aggiungersi le altre forme di rettitudine. Il timore di Dio insegni alla mia lingua a parlare rettamente, a non disperdersi in parole vane, a cogliere le occasioni opportune, a mantenersi nella giusta misura, a prendere la decisione conveniente, (6) a non esprimersi in lungaggini eccessive in modo che l'interlocutore non sia percosso da una violenta grandinata. Per questo quella membrana molto tenue, che si trova vicino alla guancia, al di sotto, viene chiamata freno, per impedire che si parli in modo inconsulto e disordinato. La lingua deve elogiare e non denigrare, cantare salmi e non bestemmiare, pronunciare benedizioni e non maledizioni. La mano sia protesa nel ricordo di Dio, vincolata ad esso come da una catena. Per questo dobbiamo digiunare perché il nostro Agnello, fu coperto d'insulti e colpito con schiaffi prima di essere confitto in croce (cf. Mc 14,65; Gv 18,22). Non guardiamo con invidia il mondo giudaico, noi che siamo discepoli di Cristo. 
Se abbiamo coltivato questo sentimento di simpatia, accogliamo l'ammonimento di Isaia: «Poiché digiunate mentre siete immersi in contrasti e contese, mentre colpite a pugni i poveri ?» (Is 58, 4).  Apprendete dallo stesso profeta l'insegnamento che indica quali siano le opere del digiuno retto e puro: «Sciogliere ogni legame d'iniquità, sciogliere gli obblighi dei contratti forzati. Spezza il tuo pane con l'affamato ed accogli in casa i poveri privi di domicilio», (Is 58, 6-7). Proprio il momento attuale ci offre l'occasione di una grande solidarietà generosa verso uomini nudi e senza tetto. Vicino alla nostra porta incontriamo una moltitudine di prigionieri. Troviamo esuli da ospitare. Vediamo ovunque delle persone  che stendono una mano implorante. Costoro hanno come domicilio lo starsene all'addiaccio. Dimorano sotto i portici, lungo le vie della città, e negli angoli isolati delle piazze. Si sono insinuati in caverne come fossero dei gufi o delle civette (cf Sal 102,7). Vestono abiti che sono degli stracci pungenti. Vivono grazie alla pietà di coloro che li commiserano, (7) mangiano nel caso che possano ricevere qualche alimento, bevono ad una fonte come gli animali, il loro bicchiere sta nella cavità delle mani; la loro unica dispensa è costituita dal loro stesso ventre a meno che non disperda tutto fuori  ma trattenga i cibi che sono stati introdotti; la loro tavola sta nel piegare le ginocchia, il loro giaciglio è il nudo suolo, il loro bagno è un fiume o un bacino, ciò che Dio ha donato a tutti come comune possesso, senza che fosse necessario costruire. Vivono da erranti, dispersi nelle campagne ma non perché sia sta questa da sempre la loro vita ma in quanto sono stati costretti a condurla in seguito ad una sventura. Tu che digiuni, soccorrili con le tue risorse. Mostrati benevolo verso le persone cadute in disgrazia. Ciò che risparmi in alimenti, offrilo ai poveri. Il giusto timore di Dio diventi principio d'uguaglianza. Guarisci con una saggia temperanza due sofferenze opposte: la tua sazietà e l'inedia del fratello. I medici intraprendono una cura simile: svuotano alcuni e riempiono altri; così o per un'aggiunta o per una sottrazione, tutti sono risanati. Obbedite a questa buona esortazione. [L'obbedienza alla Parola di Dio] spinga ad aprire le porte ai poveri. Il mio suggerimento convinca chi possiede ad accogliere l'indigente. Non suggerisco che i poveri diventino ricchi ma che, per l'ascolto dell'eterna parola divina venga concessa loro una casa, un letto e una mensa. Parlando cortesemente, somministra ciò che è a loro necessario usando i tuoi beni. Oltre a questi, ci sono altri poveri che si trovano qui in miseria. Ognuno cerchi di soccorrere quello che incontra vicino a lui. Non permettere che sia un'altra persona a prendersi cura del misero che si trova vicino a te. Guarda che non sia un altro a impadronirsi del tesoro nel quale t'eri imbattuto. Stringi il misero come fosse un tesoro. Prenditi cura dello stato di salute di un povero come se si trattasse di curare la tua salute, come se riguardasse la salvezza della moglie, dei figli, dei servi e di tutta la tua famiglia (8)(460 M). Il  misero che s'ammala è doppiamente povero. Gli indigenti che sono sani, passano di porta in porta e vanno dai ricchi. Seduti ai crocicchi, supplicano tutti i passanti. Gli indigenti che sono irretiti dalla malattia, invece, si trovano imprigionati in stanze anguste, in angoli stretti, come era Danielle nella fossa e attendono un gesto di pietà e di solidarietà come quello attese Abacuc (Dn 14,32 ss). Con il tuo soccorso, cerca di diventare un compagno di quel profeta. Affrettati con premura e con zelo a nutrire il misero. Nel dare non ricevi alcun danno. Non temere: l'elemosina produce un frutto abbondante e copioso. Spargi con generosità  il seme, colmerai la casa di buoni covoni. 
Forse mi obietterai: anch'io sono povero. Hai ragione. Dona ugualmente. Fai ciò che puoi perché Dio non ti chiede che tu oltrepassi la tua possibilità. Tu offri un pane, un altro darà un bicchiere da bere, un altro un mantello e così la sventura di un solo uomo viene soccorsa dalla collaborazione di molti. Mosè non impose la spesa per allestire la tenda del culto ad un solo collaboratore ma a tutto il popolo (Cf Es 35, 5-7). Chi era ricco offrì a lui oro, o dell'argento; il povero donò invece delle pelli e un'altro ancora, meno abbiente di lui, donò soltanto dei peli di capra. Osserva come il quadrante della vedova fu di maggior valore delle offerte dei ricchi. Ella si svuotò di ciò che aveva mentre gli altri dalle loro sostanze presero soltanto qualcosa (cf. Mc 12, 42-44). Non disprezzare i poveri che giacciono prostrati, come se non valessero nulla. Rifletti invece sulla loro dignità nascosta e scoprirai il loro grande valore: essi sono rivestiti della persona del nostro Salvatore (9). 
Cristo, amico degli uomini, prestò loro la sua persona affinché per mezzo di quella diventassero timorosi i nemici dei poveri, contrari alla solidarietà. Agiscono come coloro che mettono davanti ai loro aggressori le immagini del re, affinché il violento rimanga turbato dall'effige del sovrano. Sono loro i forzieri che contengono i beni sperati; sono loro i portieri del Regno, coloro che apriranno le porte agli uomini generosi mentre le chiuderanno ai malvagi e ai misantropi. Sono loro i nostri giudici inflessibili o i nostri difensori decisivi. Ci difenderanno o ci accuseranno pur senza dire una parola, quando saranno guardati da Cristo. Ciò che viene fatto nei loro confronti, grida al cospetto di Colui che scruta i cuori, con un suono più chiaro di quello emesso da qualsiasi banditore (At 1,24; 15,8). A causa di loro è stato stabilito nei Vangeli il temibile giudizio di Dio, del quale spesso avete sentito parlare. 
Ho contemplato in quei libri il Figlio dell'uomo mentre, sceso dai cieli, percorreva lo spazio dell'aria e quello della terra, scortato da numerose miriadi di angeli (Mt 25,31 ss). In seguito ho visto il trono della gloria elevato in alto, il Re seduto su di esso e tutto il genere umano. Gli uomini apparsi nelle generazioni di questo mondo, che sono stati illuminati dalla luce del sole, rapiti nell'aria (cf 1 Ts 4,17), dopo essere stato divisi in due schiere,  si posero in folla davanti al seggio del giudice. (461 M)245
Alcuni vennero chiamati agnelli, quelli che stavano alla destra, mentre gli altri, alla sinistra, furono chiamati capri. Conseguirono questi due tipi di denominazione in seguito al loro comportamento. [Seguo] la disputa che [è riferita là nei vangeli] tra il giudice e gli imputati e le risposte degli uomini chiamati in giudizio date al Re. Ad ogni gruppo vengono assegnate le rendite. A coloro che hanno vissuto un'esistenza lodevole, viene dato il godimento del Regno; ai nemici degli uomini e ai malvagi, il castigo del fuoco, una punizione eterna. Tutto questo è descritto in modo accurato. Il giudizio viene dipinto in modo dettagliato dalla Parola divina, al solo scopo di farci apprendere la generosità delle buone azioni. La generosità è la forza che sostiene la vita, è la madre dei poveri, la maestra dei ricchi, è la buona nutrice dei piccoli, il ricovero degli anziani, il magazzino dei bisognosi, il porto comune che accoglie gli sventurati, per gli uomini di ogni età e per chi ha subito qualsiasi disgrazia è la previdenza che distribuisce i suoi doni. Gli organizzatori di gare inutili, annunciano con il suono della tromba il loro desiderio di essere onorati, con il quale promettono un'elargizione a tutti i lottatori che si stanno allenando. In modo simile anche la beneficenza convoca a sé tutti gli uomini che si trovano nella sventura e nel travaglio e distribuisce a quelli che si avvicinano non un riconoscimento per le battiture ricevute ma il rimedio per l'afflizione. Essa merita una lode che supera qualsiasi altra attività apprezzabile. Siede presso Dio, è amica del bene ed consente che si apra una grande familiarità con Lui. Così prima di qualsiasi attività buona e benefica fatta dagli uomini, Dio stesso appare come uno che opera il bene da stesso a nostro vantaggio.Infatti ha creato la terra e l'ornamento del cielo, l'intreccio armonioso delle realtà visibili, il calore emanato dal sole e la formazione del ghiaccio che porta il freddo. Egli compie tutte queste opere, una ad una, non per se stesso ma per noi (da parte sua infatti non ha bisogno di nessuna di queste cose). Egli è l'invisibile produttore dell'alimento riservato agli uomini; Egli semina nel momento opportuno e irriga con sapienza. é Lui, infatti, secondo l'insegnamento di Isaia, a donare il seme al seminatore, che fa riversare pioggia dalle nubi, ora irriga la terra in modo quieto, ma poi in seguito inebria i solchi con una precipitazione più intensa. Quando in seguito crescono i germogli e spunta la verde pianticella, allontanando le nubi dal cielo, allora offre ad essi il sole libero da ogni offuscamento, che invia i suoi raggi caldi e infuocati affinché le spighe diventi rigogliose, pronte per essere mietute. 
Alimenta anche la vite affinché a tempo debito offra una bevanda a chi ha sete; ci procura mandrie di animali di varie specie per donare agli uomini un cibo abbondante. Alcune ci offrono pelli, lana adatta a proteggere, altre il cuoio con il quale creiamo dei calzari. Vedi come Dio sia il più desideroso di beneficare nutrendo l'affamato, offrendo da bere all'assetato e coprendo chi è nudo, come ho detto in precedenza! Se vuoi sapere come Egli si prenda cura degli ammalati, impara!   Chi ha insegnato all'ape a edificare il favo dal quale proviene il miele? Chi ha creato il pino e il terebinto e l'albero del mastice facendo distillare abbondante resina? Chi ha reso la regione dell'India una matrice di frutti secchi e odorosi? Chi ha creato l'olio  che presta soccorso al corpo stanco e dolorante? Chi ci ha donato la conoscenza delle radici e delle piante e delle qualità in esse presenti? Chi ha formato l'arte medica che ci ridà la salute? Chi ha fatto scaturire dalla terra le sorgenti di acqua calda che disperdono per noi il freddo e l'umido ed anche sciolgono l'arido e compatto? Conviene giustamente ripetere le parole di Baruch: «Colui che conosceva ogni forma di sapere, lo trasmise a Giacobbe suo servo». 
Per questo troverai alcune arti messe in opera con il fuoco o senza usare il fuoco, altre con l'acqua e una miriade di altre attività, affinché con questi servizi che ci liberano da ogni bisogno, possiamo sovvenire alle necessità della vita. Dio così si attesta come il primo operatore di bene, generoso nel sovvenire alle nostre necessità, un donatore compartecipe. Noi, invitati da ogni parola della Scrittura a seguire il Signore Creatore, nella misura in cui ad un uomo mortale sia possibile l'imitazione di Dio, beato ed immortale, accumuliamo beni per il nostro godimento esclusivo, destinandone una parte soltanto a servizio del nostro benessere e un'altra parte la terremo in serbo per i nostri eredi. Per gli sventurati? Nessuna considerazione! Nessuna attenzione solidale verso gli indigenti. Che uomini privi di ogni sensibilità!
Un uomo vede un altro uomo privo anche del pane; vede che non ha neppure l'alimento necessario per la vita ma non lo soccorre prontamente con animo premuroso né gli offre alcun sostegno. Lo trascura, lo lascia inaridire miseramente come avviene ad un albero verde che non viene più irrigato. Tanto più che, invece, questo vive in grande benessere e, mediante molte elargizioni, con la sua ricchezza potrebbe facilmente offrire un sostegno a molti miseri. L'acqua, scaturendo da un'unica fonte, irriga molte campagne distese; allo stesso modo la ricchezza di una sola casa sarebbe in grado di soccorrere una folla di poveri, a meno che [l'eventuale soccorritore] non rimanga nella sua avarizia e asocialità, comportandosi come quella pietra che ostacola il fluire dell'acqua fino a respingerne il flusso. 
Non viviamo soltanto per la carne, ma piuttosto per Dio. Il piacere e il godimento del cibo soddisfa una piccola parte della carne, cioé la gola. Una volta che gli alimenti sono passati nel ventre, marciscono e finiscono nella latrina. La misericordia e la beneficenza sono opere gradite a Dio; quando sono un tutt'uno con la vita dell'uomo, lo rendono un essere divino e lo fanno diventare per quanto è possibile ad immagine della divinità prima, immacolata e trascendente ogni creatura. Non ti pare che sia grandissimo il risultato che ci viene promesso?
Possiamo contare allora su una speranza sublime che ci colma di gioia. In futuro, quando, dopo aver deposto questa carne provvisoria, ci rivestiremo dell'immortalità, godremo una vita beata, libera dalla morte e da ogni male, rallegrata da tali beni che nel presente non possiamo nemmeno immaginare. 
Voi che siete provvisti di ragione,  e che possedete una mente tale da cogliere e da comprendere le cose divine, non lasciatevi catturare dalle realtà passeggere. Cercate di possedere quei beni che il suo possessore non potrà mai perdere. Stabilite un limite ai bisogni della vita. Non pensiate che tutto sia a vostra disposizione ma condividetelo con i poveri che sono amati da Dio. Tutto appartiene a Dio che è nostro Padre comune. Noi siamo fratelli perché partecipi della medesima umanità. è la cosa migliore e più giusta che i fratelli ereditino in parti uguali. In una seconda scelta, se avviene che il primo o il secondo fratello si appropri della maggio parte dell'eredità, gli altri fratelli ereditano almeno un residuo. Se qualcuno pretendesse di essere il padrone totale di tutti i beni, e tentasse di escludere gli altri fratelli anche dalla terza o dalla quinta parte, sarebbe un duro tiranno, un barbaro rozzo, una fiera insaziabile; anzi, se, a bocca spalancata, vuol godere da solo le delizie del banchetto, è più crudele delle stesse fiere.  Un lupo accetta che un altro lupo consumi con lui la preda; i cani sempre dilaniano insieme ad altri cani lo stesso corpo. Questo ricco insaziabile, invece, non vuole che nessuno della sua stessa umanità, condivida con lui la sua ricchezza. Accontenti di una mensa sobria. Non affidarti al mare di un'avidità smisurata. Ti sovrasta un tragico naufragio, non perché la tua nave verrà squarciata da rocce nascoste sul fondo marino, ma perché precipiterai in un abisso tenebroso, nel quale, una volta immersi, non è più possibile riemergere. 
Usa senza abusare: questo è l'insegnamento di Paolo (1 Cor 7,5). Ricreati con un godimento misurato. Non esagerare consegnandoti ai piaceri. Non essere la rovina di tutti gli animali, dei quadrupedi, di quelli grandi e di quelli piccoli, degli uccelli, dei pesci, di quelli comuni e di quelli rari, dei meno dispendiosi o dei più cari. Una schiera di cacciatori non sia costretta a sudare nella caccia per soddisfare il tuo ventre, come se esso fosse un pozzo profondo, che è possibile riempire soltanto con la collaborazione di molti seppellitori. Per soddisfare i piaceri, perfino gli abissi marini vengono scandagliati. Non soltanto i pesci natanti nelle acque vengono catturati, ma anche tutti gli altri sventurati animali che sono immersi nelle profondità del mare, insieme a quelli che si trovano sul suolo o nell'aria vengono presi.  Neppure le ostriche rimangono nascoste; anche il riccio viene cacciato; le seppie striscianti sono catturate dalla rete e il polipo che se ne sta nascosto tra le pietre viene strappato via. Le conchiglie vengono tolte dagli abissi più profondi.   Tutti i generi di animali, quanti nuotino nei flutti in visibilità , oppure quanti dimorino nel fondo degli abissi marini, vengono portati fuori all'asciutto dall'arte dei ghiottoni che studiano contro di essi una molteplicità di insidie. 
Quali altri lussi escogitano gli amanti del piacere? Una volta che un certo malanno abbia fatto presa, questo male provocherà altre conseguenze di necessità. Perciò, avendo deciso d'imbandire banchetti ricercati e lussuosi, sono costretti a costruire palazzi grandiosi e dissipano una fortuna per innalzare dimore imponenti e abbellirle con vari ornamenti. Vestiti in modo elegante, tra una varietà di suppellettili, invitano poi amici dello stesso stampo. Si fanno fare delle tavole d'argento costosissime, lavorate con raffinatezza oppure incise con svariate figure, per dilettare la gola e nello stesso tempo  fornire un lauto cibo anche agli occhi con i racconti incisi alla vista. Osserva attentamente con me tutto il resto, guarda i calici, i tripodi, le tazze, i boccali per le libagioni, i portavivande, tutti i tipi di bicchieri. Osserva i comici, i mimi, i citaredi, i poeti, gli oratori, i cantanti, le cantanti, i saltatori, le saltatrici, i buffoni; vedi quante oscenità: ragazzi effeminati conciati come donne, ragazze discinte, sorelle di Erodiade in sfrontatezza; ancora eliminerebbero Giovanni Battista, l'uomo in tutto simile a Dio e amico della sapienza. 
Mentre nel palazzo si sta svolgendo tutto questo festino, nel vestibolo giacciono una miriade di poveri Lazzaro, alcuni coperti da gravi ulcere, altri privi degli occhi, altri mutilati ai piedi; altri ancora, rimasti privi di alcune membra, si muovono radendo il suolo. Implorano ma nessuno li ascolta. Il loro grido è coperto dal rumore che proviene dalla sala e dal susseguirsi della recitazione dei componimenti e il fragore delle risate e dei battimani. Se osano bussare in modo più forte, ecco farsi avanti dall’interno un arrogante portinaio, servitore di un padrone insensibile, che li respinge brandendo un bastone. Chiama dei cani selvaggi e con sferze, rimarca le ferite. Se ne vanno gli amici di Cristo, che rappresentano il principale comandamento, senza portare via con sé né un tozzo di pane né companatico, ricolmi di contumelie e di ferite. All’interno invece, nel palazzo di Mammona, portano via il cibo, e sembrano delle navi cariche; altri, appoggiandosi alla mensa, tra i calici che sono lì deposti, prendono sonno. Due peccati hanno preso dimora in questa casa di vergogna: la presenza di una compagnia di ubriaconi, l’espulsioni di miseri affamati. 
Se Dio osserva questi eventi, e lo fa veramente, a quale esito andrà incontro la vostra vita, voi che avversate i poveri? Ditemelo pure o forse non sapete che il Vangelo annuncia con forza e testimonia punizioni terribili e spaventose a seconda del comportamento tenuto  verso i poveri? Scrive che il ricco che aveva vissuto nel lusso digrigna i denti e geme gravemente, sprofondato in un abisso di dolore. 
L’altro ricco ancora, che si comportava allo stesso modo, fu punito con una morte improvvisa; mentre alla sera pensava ai divertimenti del giorno successivo, non fu rischiarato dalla luce dell’alba. Da mortali non perdiamo la fede né da immortali la ricompensa. Coltiviamo questa consapevolezza: noi che vogliamo sottostare in tutto alle lusinghe della carne, come fossimo proprietari senza successori, come fossimo padroni eterni sulla terra; nel tempo della semina, vogliamo il raccolto e quando dobbiamo seminare, speriamo nella gioia del raccolto. Piantiamo un platano e speriamo di godere dell’ombra di quest’albero elevato. Piantando il seme della palma, aspettiamo la dolcezza del frutto. Ci comportiamo così nella vecchiaia quando ormai s’avvicina l’inverno della morte quando possiamo contare non sul cumulo di anni ma su tre o quattro giorni. 
Pensiamo, noi che siamo dotati di pensiero, quanto sia transitoria la nostra vita, come il tempo scorra veloce, instabile ed inafferrabile. è simile allo scorrere di un fiume: tutto ciò che appare in esso, corre veloce alla fine, ossia verso la corruzione. Magari la vita fosse soltanto breve e soggetta alla morte, senza dover affrontare una valutazione. Invece c’è un pericolo, quello dell’ultima ora, nella quale anche delle parole che abbiamo pronunciato, dovremo dare ragione al giusto giudice. Perciò il beato salmista svolgendo tra sé le considerazioni che stiamo trattando, desidera conoscere quanto sarebbe durata la sua vita. Chiede a Dio di svelargli il numero rimanente degli anni da vivere per prepararsi con le opere alla morte. Mentre sta compiendo il suo cammino e chiede il viatico necessario, cerca di prevenire il turbamento che afferra chi si sente impreparato. Chiede allora: «Fammi conoscere, Signore la mia fine e quale sia la misura dei miei giorni, e venga a sapere quanto ancora mi manca. Tu hai reso misurabili i miei giorni e la mia consistenza davanti a te è un nulla (Sal 38, 5.6)». Ammira, o anima buona, questa preoccupazione espressa da un uomo insignito della dignità regale. Contempla il Re dei re e il Giudice dei giudici; cerca di poter essere adornato dell’ornamento perfetto dell’osservanza dei comandamenti  per poter lasciare questa vita  degno della vita della città celeste. Che tutti noi possiamo ereditarla per la grazia e la bontà di Cristo nostro Signore, al quale sia gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen. 




Secondo discorso

Sono ancora intento a contemplare la manifestazione tremenda del Re, descritta dal Vangelo (Mt 25,31-40). Resto sbigottito nel considerare quelle parole. Mi sembra di vedere in qualche misura lo stesso Re dei cieli, - così viene denominato nella Bibbia - seduto con severità sul trono della gloria, sopra un trono maestoso che da sempre contiene Colui che non può essere contenuto. E' come se vedessi le infinite miriadi di angeli, che circondano il Re (Ap 7,11); anzi è come se vedessi lo stesso Re, grande e temibile, il quale, dalla sua maestà ineffabile volge lo sguardo sull'umanità intera. Egli osserva tutti gli uomini di ogni generazione, succeduti ai loro padri, quanti se ne possono contare [dal principio] fino alla sua tremenda venuta. Si addensano vicino a lui e ad ognuno viene emessa una sentenza, conforme al comportamento con cui ha vissuto. A quelli che sono collocati a destra e che hanno operato il bene con libera scelta, come è detto, Egli concede il suo favore, mentre agli altri, a quelli che sono alla sinistra ma che hanno pensato in modo tortuoso e spregevole, vivendo conforme a questo sentire, commina una punizione. Lo sento rivolgersi agli uni e agli altri; ai primi parla con voce dolce e affabile  invitando: "Venite benedetti dal Padre mio", mentre agli altri si rivolge con espressione minacciosa, tale da risvegliare paura e terrore: "Andate maledetti!". Mi sento rabbrividire per le parole pronunciate e mi sembra quasi di stare con loro. Non avverto più nessuna delle cose presenti. Con la mente non rivolgo più l'attenzione a nessuna delle realtà offerte alla nostra attenzione, quali oggetto di indagine e di studio, benché non siano di scarso valore né meritino di essere accantonate. Preferisco invece pensare in quale modo venga a noi il Signore che è anche sempre presente. "Ecco io sono con voi ogni giorno" (Mt 28,20). Se crediamo che Egli è con noi, come potrà allora giungere ed essere dichiarato come non ancora presente? (M 473) "Se in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo", come insegna l'apostolo (At 17,28), come può essere possibile che Colui che detiene in sé tutti quelli che abbraccia, stabilisca una qualche distanza da loro, al punto che da non essere più presente presso coloro che accoglie in sé e da dover essere atteso in un secondo tempo affinché possa essere veramente presente? Su quale trono può sedere un essere spirituale? Come può manifestarsi Colui che è invisibile? Quale immagine di sé può offrire, colui che è privo di forma ed essere circoscritto sopra un trono il Signore che trascende ogni limitazione? Come può attuare una presenza ancora più penetrante di quella che manifesta nel momento presente? Non vogliamo respingere queste domande come fossero questioni da rigettare ma, per quanto valore abbiano, ora mi accingo a parlare di argomenti che giovano a tutti. 
Davvero, infatti, davvero temo quella minaccia e non rinnego il sentimento del mio intimo. Vorrei che anche voi foste toccati dal timore, senza disprezzare tale stato d'animo. Beato l'uomo che, spinto da vera religiosità, conserva sempre il timore! Chi disprezza questo sentire, ne subirà le conseguenze, dichiara la Sapienza (Pr 28,14). Prima di incorrere nella punizione, comportiamoci con sapienza, per non dover sperimentare tristi conseguenze. Come possiamo evitare questa sciagura? Scegliendo quel cammino di vita che ora ci viene indicato dalla parola divina, una parola sempre attuale e vivente. In che cosa consiste questa via? "Avevo fame, avevo sete, ero straniero, ero nudo, ero ammalato, ero carcerato. Qualsiasi cosa abbiate fatto ad ognuno di questi, l'avete fatta a me". Per questo, dichiara: "Venite benedetti dal Padre mio!". Che cosa apprendiamo da questo messaggio? L'osservanza dei comandamenti è benedizione, mentre la negligenza nell'osservarli, si tramuta in maledizione. E' in nostro potere scegliere di incorrere nella conseguenza positiva o in quella negativa. La direzione verso la quale ci volgiamo velocemente, costituirà la nostra sorte futura. Dirigiamoci allora verso la benedizione del Signore, il quale ha detto di ritenere come indirizzata a lui ogni atto di benevolenza rivolto verso i bisognosi. Soprattutto adesso, quando il comandamento trova molte possibilità di attuazione. Molti sono gli uomini privi del necessario, molti sono coloro che vivono la privazione nel loro stesso organismo perché sono consumati da qualche grave malattia. Perciò trattiamoli con premura se vogliamo ottenere il premio promesso; mi riferisco in modo esplicito  a quelli che sono tormentati da qualche terribile male. Quanto più la malattia è difficile da curare, tanto più è evidente che chi si impegnerà in modo più deciso nell'osservanza del comandamento, riceverà una benedizione ancora più larga. Che bisogna fare? Non opporsi all'imperativo dello Spirito. Essa ci impone di non considerare degli estranei altre persone umane e di non imitare quelli che nel Vangelo vengono rimproverati, mi riferisco al sacerdote e al levita che se ne andarono via trascurando l'uomo bisognoso di compassione, che era stato abbandonato dai briganti, mezzo morto, come precisa il racconto evangelico. Se quelli furono rimproverati perché non volsero neppure lo sguardo alle piaghe tumide del suo corpo, come noi potremo sfuggire alla riprovazione se ci comportiamo allo stesso modo di quelli che sono stati considerati colpevoli? Tanto più che lo spettacolo offerto dall'uomo che era s'era imbattuto nei briganti, non è diverso da quello che ci viene proposto da coloro che sono in preda alla malattia. Osserva quella persona costretto dal suo male ad assomigliare ad un animale quadrupede, e al posto dell'unghia o degli artigli, afferra dei legni con le mani, imprimendo sul suolo delle strade un nuovo tipo di caratteri. Chi potrebbe immaginare, vedendo tali tracce, che è stato un uomo ad imprimere questi segni mentre si spostava? L'uomo è eretto nella positura, guarda verso il cielo, possiede delle mani per poter operare; curvato a terra, diventa un animale quadrupede e si distanzia di poco da un essere privo di ragione. Con la pelle villosa e ansimante ai bronchi, trae dei respiri violenti dal profondo delle viscere. Allora bisogna dichiarare, senza mezzi termini, che vive in una maniera più penosa di un animale. Questi conservano fino alla fine le stesse caratteristiche ricevute alla nascita e nessuno di loro, in seguito a qualche sventura, ha modificato in un'altra forma le sue caratteristiche. Questi miseri, invece, come se si fossero estraniati in un'altra natura, sembrano essere diventati un altro, non sembrano il medesimo essere vivente. Le mani fungono da piedi e le ginocchia da gambe. Le gambe e i piedi naturali o si sono consumati, oppure come fossero dei timoni sporgenti,  simili ad aggiunte, li trascinano a caso. Considerando che questi sono uomini, non ti che una persona come te conduca un'esistenza simile? Non hai pietà di un essere della tua stessa razza? Ti infastidisce l'averlo incontrato e provi avversione per chi ti supplica. Fuggi lontano da lui come se temessi l'assalto di una fiera. Perché ciò non accadesse, avresti dovuto fare un paragone con nobiltà: l'angelo si relaziona con te che sei un uomo, e pur essendo un essere incorporeo e materiale, non ha disprezzato chi era mischiato alla carne e al sangue. Perché parlo degli angeli? Lo stesso Signore degli angeli, il re della beatitudine celeste, per te divenne uomo, si rivestì di una carne sordida e abietta con l'anima della quale s'era avvolta perché, dopo averle toccate, le tue malattie fossero risanate. Tu, invece, pur partecipando alla stessa condizione umana di quelle persone che sono nel dolore, eviti di incontrali. Non fare così, o fratello, non seguire un istinto malvagio. Considera chi sei e chi siano quelli sui quali hai questi pensieri: un uomo si esprime su altri uomini, non possiedi nulla in te stesso che ti sia così particolare da escluderti dalla natura comune. Non pensare di conoscere ciò che accadrà. Mentre non ti curi del dolore, finché si manifesta nel corpo di un'altra persona, prendi una decisione di carattere generale che va contro tutti; partecipi anche tu della natura come tutti. Perciò considera la questione come se essa riguardasse tutti. 
Perché le sofferenze che osservi non ti muovono ad un interiore sentimento di solidarietà?
Il ricordo ancora mi opprime. Ho visto una situazione di sofferenza degna di suscitare misericordia, ho visto uno spettacolo che costringeva a piangere. Uomini s'aggirano per strade frequentate; anzi non più veri uomini ma residui umani di persone che un tempo erano uomini. Essi richiedono di essere considerati tali per qualche segno o qualche traccia di umanità [che è loro rimasta]. Non mostrano in se stessi le caratteristiche per le quali potrebbero essere riconosciuti come uomini. Soli fra tutti gli altri, odiano se stessi; soltanto loro maledicono il giorno della loro nascita; come è normale da attendersi, odiano quel giorno perché è stato l'inizio di una vita del genere. Sono uomini ma si vergognano a considerarsi appartenenti al nostro genere umano, perché, se fossero considerati tali, temerebbero di screditare con la loro appartenenza, la nostra comune umanità. Vivono sempre in miseria, hanno sempre motivi di lamentela. Finché si esaminano, trovano sempre motivazioni di pianto. Sono incerti per quale membro del loro corpo debbano lamentarsi maggiormente, per quelle che ancora hanno o per quelle che hanno perduto; per quelle che la malattia ha consumato o quelle sono rimaste in balia della malattia. Soffrono o perché vedono come esse si siano ridotte oppure perché, dal momento che la loro vista si è abbassata a causa di qualche malanno, non possono neppure vederle; o perché le vedono così malridotte mentre ne parlano, oppure perché non possono neppure parlare delle loro sofferenze, dal momento che una malattia li ha privati anche della voce. Soffrono per il modo con il quale si nutrono, poiché non possono neppure alimentarsi con facilità; o perché un morbo impedisce una corretta alimentazione avendo corroso parti del corpo vicine alla bocca, o perché si sentono ormai come morti a causa delle sventure capitate loro, oppure perché hanno perso la sensibilità. Dov'é finita la vista? Dove l'odorato? Dove il tatto? dove sono finiti gli altri sensi. Mentre un po' per volta, la malattia cresceva di intensità, la cancrena li ha consumati. Per questo vagano da un luogo all'altro, come gli animali si muovono di continuo alla ricerca di un pascolo più abbondante. Affrontano qualsiasi pericolo pur di ottenere cibo in baratto, come viatico, e a tutti, invece di domandare con le parole, mostrano i segni delle loro malattie. Hanno bisogno che qualcuno li conduca per mano, in seguito alla loro infermità, e si sostengono a vicenda tenendo conto delle difficoltà comuni. Poiché ognuno è privo dell'uso di qualche membro, ognuno si presta come un sostegno per l'altro e possono così tutti utilizzare le membra di altri al posto di quelle che hanno perduto.  Non vivono isolati - anche la disgrazia insegna qualcosa per la conduzione della vita - ma preferiscono ritrovarsi insieme tra loro. Solidarizzano tra di loro e quindi, per far in modo che la gente sia più disponibile nei loro confronti, mendicano in gruppo; ognuno aggiunge la sua sofferenza a quella dell'altro, e poi donano alla collettività il penoso guadagno; in questo modo ognuno stimola di più la compassione  perché ha aggregata la propria alla disgrazia dell'altro. Uno tende le mani mutilate un altro mostra il ventre infiammato e gonfiato, un'altro la faccia dilaniata e un'altro ancora un polpaccio con la cancrena. Ognuno mostra quella parte del corpo che ha malata. 
Che dire? Forse è sufficiente, per evitare di peccare contro la nostra natura umana, compiangere le sventure degli uomini, esaminarne a parole i malanni e commuoverci nel richiamarli? O forse non abbiamo bisogno di mostrare con i fatti il nostro sentimento di compartecipazione e di solidarietà? Il passare dalle parole ai fatti è come da un progetto passare alla sua realizzazione. La salvezza non sta nelle parole, dice il Signore, ma nel compiere le opere di salvezza (Mt 7,21; Lc 6,46). Perciò noi dobbiamo praticare il comandamento che è in relazione con loro. Nessuno pensi che sia sufficiente provvedere cibo mandandolo a chi abita in qualche regione lontana, estraniandolo dalla nostra vita. Questo modo di pensare non rivela alcun atteggiamento di misericordia e di solidarietà ma piuttosto è identico a quest'altro sentire: che tutti gli uomini spariscano del tutto dalla nostra vita. Non ci vergogniamo della nostra condotta di vita? Non ospitiamo sotto il nostro tetto porci e cani? Anzi spesso il cacciatore non allontana il cagnolino nemmeno dal suo letto. So che l'agricoltore bacia il vitello. Anzi più ancora: il viandante con le sue mani lava i piedi dell'asino, lo pulisce dal sudiciume e si prende cura del suo giaciglio. Con persone appartenenti alla nostra stessa umanità agiremo in modo meno caritatevole di come ci comportiamo nei confronti degli animali? Assolutamente no, fratelli! Cerchiamo di avere lo stesso comportamento anche verso gli uomini. Dobbiamo ricordare bene chi siano quelli sui quali stiamo prendendo una decisione. Siamo uomini che decidono di altri uomini e non dobbiamo separarci da loro dimenticando che siamo della stessa umanità. "Unico è l'ingresso e unica l'uscita dalla vita" (Sap 7,6). Tutti abbiamo gli stessi bisogni circa il cibo e la bevanda; il sostentamento della vita è identico per tutti. La formazione del corpo è uguale per tutti e il temine della vita avviene allo stesso modo per tutti. Nessuna delle realtà esistenti ha una consistenza salda. A somiglianza di una bolla, il nostro spirito sostiene il nostro corpo soltanto per un tempo limitato. Non appena ci spegniamo, non lasciamo in vita nessuna traccia di questo rigonfiamento passeggero. Quanto ai ricordi su colonne, su pietre ed epigrafi neppure quelli durano a lungo. Rifletti allora in te stesso all'insegnamento dell'apostolo: "Non inorgoglirti ma temi" (Rm 11,20). Difficile capire se hai colto la durezza di questo insegnamento. Tu fuggi, mi dici, il malato? Perché ti rimprovero?  Potrebbe un uomo essere incriminato il cui umore è corrotto e marcio, perché il suo sangue è stato mescolato con la bile nera? Dovremmo prestare attenzione ai medici che studiano la malattia. Che male c'è se la sostanza dell'uomo è mobile e instabile ed è soggetto alla malattia? Non vedi che, oltre a persone in buona salute, ci sono persone che spesso soffrono per le malattie, bolle o infiammazioni in seguito queste malattie che si sviluppano in suppurazione, arrossamento e infermità? Che cosa dobbiamo fare? Non possiamo combattere la malattia che colpisce un membro del corpo? D'altra parte, siamo attenti a curare un membro malato contando sulla salute del corpo nel suo insieme. Quindi la malattia non è abominevole, perché una cura ripristina la salute al membro [M.484] stressato. Perché rifuggire da queste cose? Non dobbiamo temere la minaccia di colui che dice: "Andate via da me nel fuoco eterno. Nella misura in cui l'avete fatto non a uno di questi, l'avete fatto non a me" (Mt 25.41,45).
Se pensiamo che le cose stiano così, non avremmo questo atteggiamento verso chi sta male al punto da separarci da loro e da considerare una colpa ciò che sto compiendo, ossia il fatto che mi prenda cura degli sventurati. Allora, se crediamo che il Signore sia affidabile, cercheremo di praticare i suoi comandamenti, dal momento che, se non li avremo osservati, non saremmo considerati degni di ottenere i beni sperati. Lo straniero, il nudo, l'affamato, l'ammalato, il carcerato, e tutti gli altri poveri ricordati dal vangelo sono rinchiusi in questo misero che hai incontrato. Gira senza meta e privo di tutto, privo di ogni cosa e bisognoso del necessario a causa della miseria nella quale è caduto in seguito ad una malattia. Poiché non ha una casa e neppure può contare su un salario, per costrizione, ha bisogno di tutto ciò che è necessario per vivere. Vive come un prigioniero, rinchiuso dalla sua malattia. Compiendo questi servizi hai praticato tutto ciò che ti veniva richiesto dai comandamenti e hai reso tuo debitore Colui che è il Signore di tutti a motivo della solidarietà che hai avuto verso questo povero. Perchè vuoi spegnere la tua vita? Chi non vuole avere per amico il Dio di tutti, non fa altro che diventare nemico di se stesso. Osservando i comandamenti, godrai della sua amicizia, mentre, al contrario, lo allontanerai da te se agirai in modo duro e insensibile. Prendete su di voi il mio giogo, e per giogo intende la pratica dei comandamenti. Obbediamo al Signore che ci da questo comando, accogliamo su di noi il giogo di Cristo, lasciamoci afferrare dai legami del suo amore. Non scuotiamo via da noi questo giogo perché é soave e leggero. Non affatica la spalla di chi vi si sottomette ma la rinvigorisce. Seminiamo nella benedizione, dice l'apostolo, affinché meritiamo nella benedizione (2 Cor 9,6).  Da questa seminagione germoglieranno molte spighe. La messe che proviene dall'osservanza dei comandamenti è abbondante. I germogli favoriti dalla benedizione ci sollevano in alto. 
Vuoi sapere a quale altitudine ci solleva la crescita di questi germogli? Ci fanno toccare l'altezza dei cieli. Quanto più ti impegnerai in queste attività, porterai frutto per acquisire tesori celesti. Non diffidare di queste parole e non disprezzare l'amicizia verso questi miseri. La loro mano può essere mutilata ma non è incapace di ricevere l'aiuto. I loro piedi possono essere inerti ma ancora capaci di correre verso Dio. I loro occhi possono essere illanguiditi, ma, grazia all'anima, possono contemplare i beni invisibili. Non limitarti ad osservare la deformità del corpo. Aspetta per un po' di tempo, e potrai vedere un'infinità di cose mirabili. Le cose che sono composte di una sostanza passeggera, non durano per sempre. Quando l'anima avrà potuto liberarsi dall'intreccio con le realtà corruttibili e terrene, allora potrà scorgere la sua bellezza. Ecco una prova di questo discorso: il ricco gaudente, dopo questa vita,  non disprezzò più la mano del povero, ma chiese che il dito del povero, che un tempo era corrotto, gli portasse una goccia d'acqua alla lingua, nella speranza che almeno l'umidità rimasta attorno al dito del povero, toccasse la sua lingua; non avrebbe chiesto questo se non avessi visto che quel corpo un tempo misero risplendere oramai come un essere spirituale, come l'anima. E' ovvio che quel ricco, in quel mutamento di vita, si ricredesse inutilmente! Che apprezzasse la sventura che quel misero aveva sofferto in questo mondo, che si lamentasse della sua sorte, poichè aveva ereditato una vasta fortuna a danno della sua anima. Se avesse potuto tornare in vita a quale tipo di persone avrebbe scelto di appartenere? A quelli che in questo se la godono o a quelli che invece vivono negli stenti? E' certo che preferirebbe la condizione dei disagiati. Insiste che un messaggero  sia mandato presso i fratelli dal mondo dei morti affichè non avvenga che anche quelli, rovinati per l'arroganza della ricchezza, immersi nei piaceri della bella vita, non venissero trascinati nella voragine dell'ade e andassero in rovina per la dolcezza del piacere. Ascoltando questo racconto, non dovremmo imparare un po' di saggezza? Perché non ci impegniamo in quell'affare che ci ha suggerito il divino apostolo: La nostra abbondanza supplisca alla loro mancanza affinché anche la larghezza del loro perdono torni a nostra salvezza nella vita che seguirà in futuro (2 Cor 8,14). Se vogliamo essere trattati benevolmente, anticipiamoli facendo loro del bene. Se vogliamo essere saziati nella vita futura, adesso offriamo loro refrigerio. Se vogliamo essere guariti dalle ferite del peccato, soccorriamoli nelle loro necessità concrete. Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia (Mt 5,7). 
Intanto qualcuno dice che il comandamento [che ci impone di essere solidali], dovrà essere osservato in futuro, in qualche altra circostanza ma che, nell'attuale evenienza, non sia opportuno avere scambi e relazioni con gli ammalati. Si dice che per non restare contagiati in modo involontario, è preferibile non rischiare di avvicinarsi a loro. Sono chiacchiere, scuse, pretesti! Sono veli splendidi esposti per smascherare la nostra negligenza nell'osservanza dei comandamenti di Dio. La verità è un'altra. Non dovremmo obbedire a Dio ed avere paura, né dobbiamo curare un male mentre soffriamo per un altro male. Quanti, come è possibile verificare, di coloro che si sono occupati di soccorrere questi miseri per tutto il corso della vita, dalla giovinezza alla vecchiaia, e godevano di sana costituzione, hanno avuto problemi di salute a causa del loro servizio? Non è normale che accada una cosa del genere. E' vero invece che qualcuna di queste malattie ha suscitato paure e apprensioni. Parlo di forme contagiose, di malattie che si sviluppano per cause esterne, per l'inquinamento dell'aria o dell'acqua e in questa circostanza sembra che chi si è ammalato per primo trasmetta poi il morbo a chi l'avvicina. Da parte mia non credo proprio che una malattia possa trasmettersi ad una persona sana, soltanto per una relazione tra le due persone. Una situazione precaria [dal punto di vista sanitario], provocando fenomeni simili a quelli della malattia, diventa la causa per la quale il morbo si trasmetta da quelli che si sono già ammalati ad altri che sono ancora sani. Tuttavia avviene in seguito che la virulenza del morbo si attenui all'interno [del corpo] e poiché il sangue può resistere alla degenerazione dovuta all'infusione di umori patologici, l'influsso della malattia si limita soltanto alla persona che l'ha contratta. Questa spiegazione viene suffragata da quest'altro indizio: qualcuna delle persone ammalate si è rinvigorita in modo consistente grazie al contatto frequente che avviene tra sani ed ammalati, anche se i primi si sono prodigati in modo splendido a curare gli infermi? Non l'ho mai osservato. Lo stesso fenomeno si verifica anche in senso contrario, ossia non avviene che degli ammalati trasmettano il loro male ad altre persone sane. Se i fedeli che osservano il comandamento dell'amore ottengono come premio eccellente il regno dei cieli, mentre nel loro corpo non subiscono alcun danno per essersi presi cura dei malati, che cosa ci può impedire di praticare il comandamento della carità? 
Mi obietti che è ben difficile convincere, a forza di  esortazioni, a compiere spontaneamente queste opere che sono aborrite da tutti. Convengo con te: penso che sia difficile. Dimmi, però, quale virtù non implichi uno sforzo per essere acquisita in tutto? La Legge divina ha ordinato di affrontare sudori e fatiche per la speranza dei beni celesti, ha precisato che la strada che conduce alla vita è faticosa e in tutti i passi la considera stretta a causa delle fatiche e delle asprezze da affrontare. Stretta ed angusta è la strada che conduce alla vita. Che fare allora? Trascureremo la ricerca di quei grandi beni perché acquisirli costa fatica? Chiediamo ai giovani se la temperanza non risulti a loro impegnativa o che cosa sia più attraente, abbandonarsi alle passioni senza alcuna remora oppure vivere dominando se stessi? Ci proporremmo allora una vita piacevole e leggera, arrendendoci di fronte alle difficoltà della vita futura? Non è certo ciò che vuole da noi il Maestro di vita quando ha vietato di percorrere, per ottenere la vita, una strada larga, facile ma inclinata verso il basso. Entrate attraverso la porta stretta ed angusta. Proponiamoci allora un traguardo che si raggiunge con l'impegno e diamo valore ad esso; cerchiamo di far diventare un'abitudine di vita il comandamento che finora abbiamo trascurato; abbiamone molta cura finché godremo il vigore consueto delle persone sane. L'abitudine diventa una grande energia e ciò che sembrava più aspro, grazie alla costanza, diventa piacevole. Non diciamo: quanto è difficile [questo stile di vita]! Diciamo piuttosto che è molto fruttuoso per chi lo esercitaVisto che il guadagno è lauto, dobbiamo accettare la fatica in vista del risultato. Ciò che sembra duro, con il passare del tempo diventerà perfino piacevole, grazie all'abitudine acquisita. Se ce n'é bisogno aggiungo anche questa osservazione: la solidarietà verso gli sventurati è ricca di frutti anche per quanto riguarda questa vita ed è un'ottima scelta, per coloro che saggezza, una raccolta frutto di misericordia, indetta per venire incontro alle disgrazie altrui. Poiché tutta la nostra umanità è vincolata da una medesima condizione, e poiché nessuno non ha qualche sicurezza di vivere sempre nel benessere, né qualche garanzia, conviene sempre ricordarsi del comando evangelico, quando afferma: ciò che vogliamo gli uomini facciano a noi, facciamo anche noi a loro. Finché navighi tranquillo, porgi una mano a chi ha fatto naufragio. Attraversiamo lo stesso mare, affrontiamo la medesima tempesta, c'imbattiamo tutti nello scuotimento delle onde; sassi nascosti sotto il livello dell'acqua, scogli e promontori e tutte le altre occasioni di naufragio incutono la medesime paura a tutti i marinai. Finché sei tranquillo, finché  scorri sul mare dell'esistenza senza trovare ostacolo, non avanzare senza avere misericordia con chi ha urtato uno scoglio. Chi ti ha assicurato che avrai sempre una navigazione serena? Non hai ancora attraccato ad un porto dove riposare, non ancora sei libero dalle ondate, non ha ancora questa esistenza ti ha stabilito nella sicurezza. Ancora stai attraversando il mare della vita. In quel modo in cui ti comporterai verso quelli che hanno incontrato la sfortuna, allo stesso modo si comporteranno con te i tuoi compagni di navigazione. Andiamo tutti verso il porto in cui riposeremo, godendo del tratto di vita che ci sta davanti grazie al vento dello Spirito Santo. Ci viene proposta l'osservanza dei comandamenti e il timone dell'amore. Grazie al loro aiuto, raggiungiamo la terra promessa, nella quale si trova la grande città di cui architetto e costruttore è Dio stesso, al quale sia gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen. 


lunedì 4 febbraio 2013

Contro gli usurai (Gregorio di Nissa)


Oratio contra usurarios
Discorso del padre nostro tra i santi, Gregorio  vescovo di Nissa,
contro gli usurai (PG 46, 433-452 ss)




1. La vita di coloro che amano la virtù e che vogliono [conformarsi] alla ragione è regolata da ottime leggi e da [sani] precetti; in essi vediamo come la mente del Legislatore tenda a due scopi principali: allontanarci dalle cose proibite e incoraggiarci a fare del bene. E' impossibile, infatti, ottenere una vita saggia e ben regolata, se non si fugge il vizio con tutte le forze, e se non si cerca in modo intenso la virtù, come il bambino la madre sua. 
Riuniti oggi in questo luogo per ascoltare i comandamenti di Dio, abbiamo sentito che il Profeta vuole eliminare i frutti perversi generati dall'usura, ossia gli interessi, e bandire dalla società umana il prestito ad interesse, non potendo essere considerato il salario di un lavoro. Accogliamo tale precetto con docilità per non assomigliare alle pietre sulle quali il seme, che vi era caduto, disseccò risultando sterile, e affinché non sia rivolto anche a noi il rimprovero già indirizzato al ribelle Israele: «Ascolterete ma senza comprendere e vedrete senza capire».

2. Chiedo a voi che vi accingete ad ascoltarmi, di non condannarmi considerandomi un presuntuoso o uno sconsiderato. Certamente un uomo eccezionale e celebre per la sua sapienza, ben esercitato nella composizione di discorsi su qualsiasi argomento è stato molto stimato per aver affrontato questo argomento dell'usura e per aver lasciato a noi un discorso contro i prestiti ad interesse. Esso è un vero tesoro della nostra esistenza! Tuttavia scendo anch'io nell'arena e faccio allestire un carro trainato da muli o da buoi insieme a cavalli ornati di corone. Sempre cose modeste compaiono a fianco di cose grandi. La luna biancheggia accanto al sole che invece splende; mentre una nave annonaria, a pieno carico, scivola spinta dalla forza del vento, una piccola barca la segue solcando anch'essa gli abissi. Mentre ci sono uomini maturi che lottano secondo gli ordinamenti atletici, dei ragazzi si esaltano nell'osservarli. Ecco perché chiedo la vostra comprensione. 


3. Tu che mi sta ascoltando, chiunque tu sia, dal momento che sei un uomo, dovresti detestare questi miserabili affari. Ama gli uomini invece del denaro. Tronca il peccato, se stai per compiere un'enormità del genere. Alle attività d'usura che fino a poco tempo fa si erano così care, scaglia la stessa apostrofe di Giovanni Battista (Mt 3,7): «Razza di vipere, allontanatevi da me! Siete la rovina di coloro che possiedono il denaro che di coloro che ricevono il prestito. Per un po' di tempo, ci fate godere, ma in seguito il veleno da voi iniettato diventa mortale e amaro per l'anima. Sbarrate la strada della vita, chiudete le porte del regno. Per un po' fate godere per i guadagni che mostrate e per le belle notizie che riferite, ma poi siete la causa di una pena che non si estingue in eterno». 
Dopo averle respinte in queste parole, abbandona l'intenzione di accumulare denaro e le azioni da usuraio e comincia ad interessarsi dei poveri. Non rimandare colui che ti chiede un prestito (Mt 5,12).
é la povertà che lo costringe a supplicarti e ad appostarsi alla tua porta; a motivo della sua miseria, si rifugia da te per trovare un aiuto alla sua indigenza. Al contrario tu, che dovresti essere stato un alleato, ti sei trasformato in un nemico. Non gli offri alcun aiuto per liberarlo dall'angustia che lo deprime affinché in seguito possa restituirti il prestito che gli hai concesso. Tu aggiungi altri mali a colui che già ha conosciuto la sventura, spogli chi è già nudo, ferisci chi è già stato colpito, accumuli ansietà su ansietà, preoccupazioni su preoccupazioni. Chi prende dell'oro con un interesse, fingendo di venire incontro al povero, riceve un bene che causerà povertà e provoca la rovina della casa. Facciamo il caso di un ammalato che, divorato dal calore della febbre, in preda ad una sete ardente, non sia in grado neppure di chiedere da bere. Se uno, per essere solidale, gli offre del vino, in un primo tempo lo allevia, mentre quello svuota la coppa, ma poco dopo, la febbre, sollecitata da questo intervento, raddoppia il suo impeto. Allo stesso modo, chi presta all'indigente del denaro con un tasso d'interesse, non lo libera dalla necessità ma appesantisce la sua situazione. 

4. Non condurre un'esistenza colma di cattiveria mentre fingi di essere solidale; non diventare un medico che conduce alla morte, mentre fai credere di salvare l'altro usando la tua ricchezza, come quello si serve della sua arte medica. Già nella tua intenzione distruggi la persona che si è affidata a te. Tutta la vita dell'usuraio non è altro che inoperosità unita alla cupidigia. Non conosce le fatiche dell'agricoltura, le preoccupazioni del commercio; se ne sta sempre seduto al suo posto ed alimenta la sua bestialità stando presso il focolare. Pretende che tutto cresca per lui senza neppure aver seminato o lavorato. Il suo aratro è la penna e il suo campo la carta. La sua pioggia [feconda] diventa per lui il passare del tempo il quale fa accrescere, senza che nessuno se ne avveda, il guadagno delle sue ricchezze. La sua falce consiste nell'insistente reclamo e la sua aia è la casa dove riduce il polvere i beni degli sventurati da lui pressati.Già considera propri i beni altrui. Si augura che gli altri uomini subiscano danni e cadano in necessità affinché siano costretti a rivolgersi a lui. Detesta chi riesce a sostentarsi da sé e considera un nemico chi non richiede alcun prestito. Frequenta i tribunali per scoprire qualcuno oppresso da sventure e segue da vicino gli affaristi come l'avvoltoio volteggia sugli accampamenti militari e sopra gli scontri. Porta sempre con sé la sua borsa e offre ai miseri che vuole soffocare l'esca [da caccia]. Se la necessità li costringe ad aprire la loro bocca (perichaino), è subito pronto a catturarli con l'uncino dell'usura. Ogni giorno calcola il guadagno, ma la sua brama non è mai sazia. Detesta l'oro che giace in casa, perché è improduttivo e sterile; si comporta come quell'agricoltore che di continuo va a chiedere altro seme ai suoi granai. Non da un minuto di riposo al suo oro infelice ma continua a trasferirlo da una mano all'altra. Non hai osservato come qualche persona ricca e piena di soldi spesso non abbia neppure un soldo in casa ma speri in tutto nei contratti sulla carta; l'intera sua sostanza è riposta nelle stipule. Possiede tutto ma non ha niente. Vive al contrario della massima dell'apostolo poiché presta tutto ai poveri, non per solidarietà ma per avarizia. Sopporta una povertà temporanea finché il suo oro, dandosi da fare come uno schiavo laborioso, non ritorna in casa con altro profitto.   
Vedi? La speranza di nuovi guadagni gli fa svuotare la cassa e rende come 1 poveraccio 1 ricco possessore. Qual è la causa di tutto questo? Il contratto steso sopra un foglio di carta, un accordo con un indigente. Ti presterò il mio denaro esigendo però un frutto. Lo sborserò con l'interesse. In seguito, (quasi non ci credo), il debitore, per quanto squattrinato sia, si affida alla contrattazione scritta. Dio, che è ricco e che annuncia molte promesse, non viene ascoltato. «Dona e io ti ricambierò», grida dopo averlo scritto nel Vangelo, ossia nel suo contratto pubblico rivolto a tutti gli uomini. Fu trascritto dai quattro evangelisti, come da un unico notaio e i testimoni sono tutti i cristiani vissuti dal tempo in cui si realizzò la nostra salvezza. Hai ricevuto in pegno in paradiso,  un pegno estremamente affidabile. Se perfino da Lui pretendi delle garanzie, sappi che  tutto il mondo è possesso di questo onesto Debitore.
Osserva con attenzione quanto sia vasto il patrimonio di Colui che ti chiede d'essere operoso e troverai una ricchezza completa. Ogni moneta d'oro appartiene a questo Signore che ha stipulato con te una promessa. Qualsiasi denaro d'argento, di bronzo o di altro materiale, rappresenta soltanto una parte di tutto il suo patrimonio. Sollevò lo sguardo verso la distesa del cielo, pensa alla vastità infinita del mare; rifletti sull'ampiezza della terra, con dagli animali che si nutrono di essa. Appartengono ai possedimenti e al patrimonio di colui del quale tu temi dell'indigenza. Sii sapiente, o uomo! Non offendere Dio e non considerarlo meno affidabile dei banchieri e quali ti affidi senza esitazione, non appena ti offrono qualche garanzia. Dona al Signore che ti rassicura e vive in eterno. Affidati ad un contratto che rimane invisibile e che perciò non può mai essere stracciato. Non esigere interessi e non trasformare un beneficio in una speculazione. Allora vedrà che Dio ti donerà la sua grazia, dilatandola oltre misura.

5. Se questa promessa così ricca ti sembra incredibile, ho presso di me una testimonianza: Dio dona una ricompensa che si moltiplica per il centuplo agli uomini che vivono con onestà e compiono il bene. Pietro chiese al Signore: ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. Che cosa otterremo in cambio? Gli rispose: in verità vi dico: chiunque ha lasciato case, fratelli, sorelle, padre e madre, moglie, figli, campi, riceverà cento volte tanto e erediterà la vita eterna. Osserva quanto sia grande la sua generosità! Considera la sua bontà! L'usuraio svergognato tribola e si affatica per raddoppiare la somma. Dio, invece, in modo spontaneo, dona il centuplo a chi non opprime il fratello. Affidati allora a Dio che ti sta ammonendo e riceverai interessi più che sicuri. Perché ti logori in preoccupazioni piene di colpa? Esanimi i giorni, calcoli i mesi, pensi alla somma, nel sonno pensi come incrementarla; temi che al giorno di scadenza, l'affare svanisca, come se ricevessi una grandinata sul raccolto. Il prestatore scruta con ansia le attività del suo debitore, le partenze, gli spostamenti, i cambiamenti, gli affari. Sente notizie sconfortanti: qualcuno ha subito 1furto; un altro, a causa di qualche rivolgimento, da lì è diventato povero. L'usuraio se ne sta seduto, tiene le mani strette, si lamenta di continuo, spesso si mette anche a piangere; rigira la scrittura del contratto, piange l'oro che le sue carte indicano come ormai perduto, estrae la copia del contratto come fosse il mantello di lire. E la vista del documento risveglia il dolore in modo ancora più acuto. Se l'accordo riguarda un traffico di mare, ritorna spesso sul litorale, si preoccupa del soffiare dei venti, interroga di continuo quelli che approdano chiedendo loro se hanno sentito parlare di qualche naufragio, se hanno corso qualche pericolo mentre erano in mare. Con queste preoccupazioni giornaliere su eventi dolorosi appesantisce la sua anima.
Liberati, o uomo, da una preoccupazione pericolosa. Liberati da una aspettativa che ti tormenta. Non cercare guadagni d'usura che potrebbero dissolvere tutto il capitale. Cerchi di ricavare guadagni dei poveri e da loro speri di poter dilatare la tua ricchezza. Sei simile a chi vuole ottenere cumuli di frumento da un campo bruciato dal calore eccessivo, o abbondanza di grappoli da una vigna devastata dalla grandine, o una moltitudine di figli da un grembo sterile, o l'alimento del latte da una donna che non ha partorito. Nessuno può ottenere a forza qualcosa che sia contro natura o impossibile da conseguire. Non solo non otterrà nulla, ma susciterà ilarità. Dio soltanto è onnipotente. Egli trova vie d'uscita nelle situazioni che appaiono senza scampo e crea novità oltre ogni speranza e aspettativa. Ora ordina alla roccia di far scorrere l'acqua; a sorpresa fa piovere dal cielo un pane inconsueto e sconosciuto; di nuovo addolcisce le acque amare di Mara al tocco del legno; rende il grembo della sterile Elisabetta capace di generare, dona a Maria vergine un figlio primogenito. Tutte queste opere possono essere compiute soltanto da una mano onnipotente.

6. Non cercare di ottenere un frutto dal bronzo o dall'oro, materie sterili. Non costringere i poveri a compiere attività che sono proprie dei ricchi e non voler ricavare guadagni aggiuntivi a chi ti domanda del denaro. Non sai che la persona che è costretta a chiederti un prestito è degna di misericordia? Perciò la Legge, che vuole educarti ad un comportamento religioso e retto, proibisce sempre l'usura. «Se presti denaro al fratello, non ti metterai poi ad incalzarlo». La grazia che è una fonte abbondante di bontà, ordina la remissione dei debiti. Mostra di amare la generosità quando prescrive: «Non prestate a coloro dai quali sperate di ricevere in contraccambio». In un altro passo, servendosi di una parabola, punisce severamente il servo crudele, il quale non usò misericordia al suo compagno di servitù si era gettato ai suoi piedi. Non condona il debito leggero di cento denari, proprio lui al quale era stato condonato un debito migliaia di talenti. Il nostro Salvatore, maestro di religiosità, insegnando ai discepoli un modello di preghiera senza fronzoli, suggerì quest'unica richiesta come condizione necessaria e primaria, capace da sola di colpire Dio in modo favorevole: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Come potrà allora pregare il cesellatore di affari? Con quale faccia, oserai a chiedere a Dio un dono, tu che ricevi tutto e non sei per nulla capace di donare qualcosa? Non t'accorgi che andando a pregare presenti [a Dio] un essere inumano? Quando hai perdonato, tu che vuoi ricevere perdono? A chi ha fatto misericordia, tu che vuoi ottenere misericordia?
Se offri un'elemosina, il [tuo dono] non è forse il frutto di una precedente rapina? Non è intriso delle sofferenze degli altri, delle loro lacrime e dei loro gemiti? Se il povero venisse a sapere di dove proviene la tua elargizione, non l'accetterebbe per nulla, convinto che starebbe per nutrirsi delle carni di fratelli e del sangue di congiunti. 
Ti rivolgerebbe un discorso di grande saggezza e coraggio: non offrirmi in cibo, o uomo, le lacrime dei  miei fratelli! Non donarmi un pane che appartiene ad un altro povero come sono io, impastato da gemiti di altri miseri. Restituisci al fratello ciò che gli hai sottratto in modo iniquo e da parte mia ti ringrazierò. Che cosa serve costringerebbe molti alla miseria e poi mettersi a confortare un solo misero? Se non ci fosse uno stuolo così vasto di usurai, non ci sarebbe neppure una folla così numerosa di indigenti. Elimina la tua imposizione, e tutti avranno il necessario. Tutti condannano gli usurai, Legge, profeti, Evangelisti, ma non c'è nulla che possa contrapporsi a questa sventura. Quali accesi rimproveri rivolge il divino Amos: «Ascoltate voi che schiacciate ogni giorno il proprio e opprimete i miseri della terra dicendo: quando passerà il mese e venderemo la merce?». Neppure un padre gode così tanto bella nascita di un figlio quanto si rallegra un creditore del termine del mese.

7. Mascherano la loro colpa dando ad essa nomi rispettabili e vogliono far credere che un calcolo interessato sia invece un atto di solidarietà. Si comportano come i greci, i quali, assegnano  il nome allettante di Eumenidi a dei demoni disumani e sanguinari, invece di usare il loro vero appellativo. Stai compiendo  una azione benefica? Non è invece usura manifesta distruggere le famiglie, dissipare i beni, costringere persone benestanti a vivere in un modo più duro di quello degli schiavi? Dare agli inizi una certa soddisfazione ma poi costringere a condurre un' esistenza amara? Anche gli uccelli godono delle esche offerte dagli uccellatori, che spargono loro dei semi. Diventa per essi piacevole recarsi abitualmente in quei luoghi nei quali trovano facilmente nutrimento ma, poco dopo, cadendo nelle reti, trovano la morte. Allo stesso modo le persone che accettano un prestito dagli usurai, per un po' di tempo, godono di un certo vantaggio, ma in seguito vengono cacciati dalle dimore dei loro avi. La misericordia è del tutto assente dalle anime pestilenziali degli affaristi. Quando vedono che la casa del loro debitore è messa in vendita, non si muovono a compassione ma piuttosto cercano di affrettare la permuta; guadagnato altro denaro, sono subito pronti a stringere con le funi del debito un altro misero.
Si comportano come i cacciatori indefessi e insaziabili i quali, dopo aver circondato un luogo di reti,  e aver intrappolato gli animali che vi si trovano, trasferiscono le reti in un luogo vicino, e da quello vanno ad un altro ancora e continuano così, finché non abbiano spopolato le montagne. Come avrai il coraggio  di alzare gli occhi al cielo? Come potrai richiedere il perdono dei peccati? È per un'insensibilità totale che quando preghi, pronunci le parole che il Salvatore ci ha insegnato: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Quanti uomini, presi dal laccio dell'usura, si gettarono nella corrente di un fiume, preferendo la morte al debito; lasciarono i figli orfani affidandoli alla miseria come ad una matrigna. Questi nobili tessitori di inganni non si fermano inorriditi neppure di fronte ad una casa lasciata deserta, ma aggrediscono gli eredi, i quali forse hanno ereditato soltanto il debito e pretendono di ottenere dell'oro  da coloro che forniscono loro il pane, dopo avere attivato una colletta. Se sono rimproverati, come è naturale, della morte del loro debitore e se qualcuno menziona il prestito usurario perché se ne vergognino, non si pentono affatto e non inorridiscono del crimine  ma pronunciano discorsi insensati, usciti dal loro cuore crudele: è colpa delle nostre usanze se questo disgraziato, questo insensato, nato sotto una cattiva stella, è stato condotto nel suo destino ad una morte violenta. I nostri usurai infatti sono dei veri filosofi e se devono giustificare le loro azioni abominevoli e i loro delitti, diventano discepoli dei matematici dell'Egitto.

8. Bisogna rispondere così all'usuraio: sei tu la sua nascita sventurata, il funesto destino degli astri. Se tu avessi sollevato la sua preoccupazione, se avessi condonato una parte del suo debito, e l'atra l'avessi reclamato senza rigore, egli non avrebbe detestato la sua vita tormentata e non sarebbe diventato il carnefice di se stesso. Nel giorno della resurrezione, con quale coraggio volgerai  lo sguardo verso colui che hai fatto morire? Perché andrete entrambi al tribunale di Cristo dove non contano gli interessi ma dove vengono valutati con giustizia le azioni della vita. Che cosa potrà rispondere alle accuse che ti verranno rivolte dal giudice incorruttibile quanto ti dirà:  avevi la legge, i profeti, i comandamenti del Vangelo: Sentivi  che tutti richiedevano una sola cosa: la carità, il senso di umanità. Un comandamento ti suggeriva: non presterai denaro ad usura al tuo fratello. Altri testi dicevano: il giusto non presta denaro ad usura; oppure: se tu presti al tuo fratello non lo opprimerai. San Matteo ti esorta della parabola dove riporta la parola del maestro: «Servo malvagio, io ti avevo condonato il debito che mi dovevi perché me lo avevi chiesto, non dovevi allora anche tu avere pietà del tuo compagno, come io avevo avuto pietà di te? Allora il padrone, preso da collera, consegnò il suo servo nelle mani degli aguzzini finché non avesse pagato tutto quello che gli doveva». Allora ti pentirai inutilmente, allora ti invaderà un dolori acuto e riceverai una punizione a cui non potrai sfuggire. Il tuo oro non correrà in tuo aiuto né l'argento potrà soccorrerti ma tutto il tuo trafficare ti diventerà amaro come il fiele. Non ti dico queste cose per spaventarti ma metterti davanti alla verità. Ti richiamo il giudizio prima che tu debba soffrirne le conseguenze. Ogni saggio dovrebbe prevederlo e cercare di garantirsene l'esito. 
9. Mentre siamo in attesa delle decisioni di Dio, io voglio, nell'interesse delle persone che mi ascoltano, raccontare ciò che avviene ora nella casa di un usuraio. Ascoltate questa mia disposizione e la maggior parte di voi riconoscerà  che sto dicendo una verità di cui avete avuto esperienza. Viveva in una città un uomo di cui non riferirò il nome (per non riferirvi il nome di uno che non c'è più)  la cui attività consisteva nell'usura e nel miserabile affare degli interessi usurari. Dominato dalla sete dell'oro, era molto parsimonioso della sua vita (del resto è questa l'abitudine degli avari), non imbandiva quanto era necessario, non cambiava i visti se non quando era costretto. Non dava ai figli il necessario, non faceva il bagno perché avevo paura di dover pagare tre soldi e s'ingegnava in tutti i modi per aumentare la somma del suo denaro. Non trovava nessun vigilante adatto per custodire la sua borsa, né un figlio, né uno schiavo, né un banchiere, né sigillo, né chiave,  ma faceva dei buchi nei muri per nascondere il suo tesoro, poi li ricopriva con l'intonaco. Vigilava sul suo tesoro che era ignorato da tutti, cambiava in continuazione il nascondiglio spostandolo da una parte all'altra, sperando con questi cambiamenti di sfuggire ad ogni sguardo. 
e di raggiungere la forza di affrontare tutti gli occhi ingannano. Lasciò la vita all'improvviso, senza rivelare a nessuno dei suoi parenti, dove il suo oro era stato nascosto. Fu sepolto, e l'unico risultanti che ottenne lui che aveva avuto tanto successo nel nascondere il suo tesoro.  I suoi figli, che speravano di diventare i più ricchi della città,  cercarono ovunque, s'interrogavano a vicenda, interrogavano i servi, aprirono fori nei pavimenti, bucarono le  pareti, visitarono le case dei loro vicini e conoscenti. In breve, dopo aver spostato ogni pietra, come si suol dire, non trovarono un soldo. Ora vivono senza tetto, senza fissa dimora, poveri, e maledicendo ogni giorno la stupidità del loro padre. 
Usuraio, ecco ciò che è stato il tuo amico, il tuo compagno! Ha concluso la sua vita in modo conseguente a come l'aveva vissuta, e dopo aver penato a causa delle preoccupazioni e della fame, ha accumulato una punizione eterna per sé e la povertà per i suoi figli. Non sapete per chi accumulate e per chi vi prendete tanta pena. I casi della vita sono mutevoli, gli imbroglioni sono tantissimi, ladri e pirati infestano la terra e il mare. State attenti che, dopo aver perso il vostro tesoro, l'unico guadagno della vita non sia il peccato. «Ah!, dite: questo uomo è insopportabile (so quello che si sussurra sulle labbra, mentre da questo pulpito cerco in continuazione di consolidarvi nel bene), se la prende con chi è nel bisogno e si aspetta un prestito. Non daremo più alcun prestito e allora vedremo come potranno vivere questi poveri? Ecco un parlare conforme al loro comportamento, un'obiezione conforme a questi uomini che la tenebra del denaro acceca. Non hanno nemmeno l'intelligenza per capire ciò che viene detto. Prendono al contrario il consiglio dato a loro: mentre parlo con loro, minacciano di non dare a coloro che sono nel bisogno, e, borbottando, minacciano di chiudere le porte ai poveri. Prima di tutto, io proclamo ad alta voce che bisogna dare e ordino di farlo. In secondo luogo sono d'accordo sul fatto di prestare, perché il prestito è una seconda forma di dono, ma aggiungo che lo si deve fare senza interessi ad usura, come ordinano le parole divine. La stessa pena è riservata a coloro che non prestano e a coloro che prestano con l'interesse; il primo è accusato di disumanità, e l'altro di svolgere un commercio disonesto. Questi passano da un estremo ad un altro, quando dicono che non concederanno più alcun prestito. E' un rifiuto vergognoso, una resistenza folle alla giustizia, un'opposizione e una guerra contro Dio. O non presteremo affatto oppure lo faremo fissando però un interesse.
10. Ho combattuto abbastanza i prestatori di denaro in questo discorso, e ho dimostrato a sufficienza, come in tribunale, i capi d'accusa; che Dio conceda loro il pentimento dei loro peccati. Per coloro che prestano con tanta facilità, e che scioccamente si fanno catturare dall'amo dell'usura, non voglio dire niente; sono sufficienti i consigli che il nostro venerato padre, Basilio, ha già indicato in modo eloquente nel suo scritto ove si rivolge più al mutuatario incosciente che all'usuraio cupido.