martedì 30 agosto 2011

Cassiodoro. Commento ai salmi 1-23


Magno Aurelio Cassiodoro

Commento ai Salmi

(Expositio psalmorum)

Da Corpus Christianorum Series latina XCVII


Introduzione

Nella città di Ravenna, quando, liberatomi una buona volta dai fastidi connessi alle cariche e dalle preoccupazioni terrene, intrise di amaro sapore, potei gustare il miele delle anime, il celeste Salterio, mi immersi avidamente [in esso], come capita a coloro che sono mossi da vivo interesse, per assorbire soavemente quelle parole salutari, libero dalle attività che mi avevano amareggiato. Tuttavia i principianti normalmente incontrano delle difficoltà, dovute all’avvicendarsi dei diversi protagonisti e all’oscurità delle similitudini. Queste [difficoltà], con una noncuranza nociva, vengono trascurate [anche dove annunciano] messaggi vitali, mentre spesso si suole considerare confuso, ciò che porta in sé il segreto di un grande mistero. Allora ricorsi all’interpretazione ricchissima di Agostino, un padre di elevatissima cultura e vi ho trovato un tale accumulo di osservazioni che a stento, anche a rileggerlo, potevo ricordarmi qualcosa di tutto ciò che espone con abbondanza [appare esposto con abbondanza]. Dal momento che molti ecclesiastici desiderano allestire una mensa all’avidità del popolo, sono persuaso, che [anch’egli], stretto da questa necessità, abbia fatto scaturire un tale flusso di discorsi. Di conseguenza, memore della mia insufficienza e aiutato dalla misericordia divina, ho incanalato in ruscelli guadabili il suo mare, ingrossato dalle sorgenti dei salmi, fissando delle brevi osservazioni. Ho così ristretto in un solo codice quello che lui ha esposto in quindici decadi. Ma, - come qualcuno ha detto a proposito di Omero - : togliere qualcosa dal suo scritto, è come strappare la clava dalla mano di Ercole. [Macrobius, Saturnal. V, 3, 16. edid. Eyssenhardt, p. 254, 22]. È infatti un maestro egregio per tutte le discipline letterarie, ed è capace di restare un finissimo interprete anche in tanta profusione di discorsi, un fatto di per sé alquanto raro. Scorre via come una fonte purissima, non subisce mai alcun inquinamento; perseverando nell’integrità della fede, evita di offrire agli eretici degli spunti coi quali potrebbero, in uno scontro, trovare appigli per il loro punto di vista. È sempre cattolico, rimane sempre integro nella verità, e risplendendo nella Chiesa del Signore di dolcissimo candore, irradia la chiarezza della luce eterna.

Avendo trovato qualche nuova considerazione, dopo un tale mirabile maestro, mi sono affidato esclusivamente alla speranza in Dio che infonde coraggio ai piccoli, la vista ai ciechi, la parola ai muti e l’udito ai sordi. {Ho diviso l’opera in tre parti, con cinquanta salmi e la rispettiva introduzione. In questo modo le lettere appaiono ben leggibili anche alla vista degli anziani e posso offrire diverse copie ai fratelli che sono desiderosi di leggere. Così per sicurezza una copia è rimasta in biblioteca mentre per lo studio della fraternità è stato distribuito, forse in modo molto opportuno, come si sa.} [Queste parole soso state aggiunte da Cassiodoro, in una nuova edizione ad uso dei monaci di Vivario, cfr. A. Van de Vijer, Cassiodore et son oeuvre, in Speculum, VI, 1931, p. 271 sq.]

Confidando nel comando del Signore, bussiamo alla porta del mistero celeste affinché apra al nostro intelletto un luogo ameno; una volta introdotti, in modo salutare, in quel giardino celeste, potremo afferrare dei frutti spirituali, senza peccare come fece invece il primo uomo. O libro davvero scintillante e trattazione luminosa! Sei una cura per il cuore ferito, un favo per l’uomo interiore, una icone per gli uomini spirituali, sei parola di segrete virtù, parola che induce i superbi all’umiltà, sottomette i re ai poveri, nutre affabilmente i piccoli. Così grande è qui la bellezza dei significati espressi e la potenza curativa delle parole che stillano, da poter applicare giustamente a questo libro ciò che Salomone ha detto del Cantico dei Cantici: giardino chiuso, fonte sigillata, orto colmo di ogni frutto (Cant. 4, 12-13). Avviene che alcuni, educati dalla disciplina dei salmi, cambino i loro animi agitati e tempestosi e trascorrano una vita tranquilla. A volte promettono che Dio, per la salvezza dei credenti, si sarebbe fatto uomo visibile e sarebbe venuto a giudicare il mondo; altre volte esortano a dissolvere i peccati con le lacrime, a curare i crimini con l’elemosina; afferrano di stupore riverente nelle preghiere sante, immergono nella forza dell’alfabeto ebraico; annunciano l’effetto salvifico della passione e risurrezione del Signore; rispettosi nel pianto delle lamentazioni; facendoci ripetere uno stesso versetto, c’introducono in qualche mistero; appaiono mirabili nella salita dei cantici graduali; infine ci uniscono felicemente alle lodi celesti, in lieta abbondanza, con desiderio indicibile, con profondità densa di stupore. L’animo del fedele, di chi ha incominciato a saziarsi di questi beni, non può mai sentirsi saziato.

I salmi ci rendono gradite le nostre veglie, quando, nella notte silente, la voce umana erompe nel canto elevato da cori salmeggianti e con l’arte ottenuta dal ritmo delle parole, ci fa ritornare a Colui da cui uscì la parola divina per la salvezza dell’umanità. È un canto che piace all’udito e istruisce gli animi, diventa un’unica voce fra tanti coristi. Noi uniamo le nostre parole di lode a quelle degli angeli, sebbene non li possiamo sentire, grazie a Colui che venne dalla discendenza di Davide, il Signore nostro Gesù Cristo, come lui stesso afferma nell’Apocalisse: Sono la radice e la stirpe di David (Ap. 22, 16). Da lui abbiamo ricevuto una religione salvifica e abbiamo conosciuto, essendo stati rivelati, i misteri della Trinità. Con i salmi riconosciamo la stessa gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e le loro lodi sono confermate come perfette. I salmi, per la gioia che ci infondono al mattino, ci preparano al giorno veniente; santificano per noi la prima ora del giorno, consacrano l’ora terza, allietano l’ora sesta nella frazione del pane, alleviano i digiuni dell’ora nona, portano a buon fine il termine del giorno, e impediscono, col sopraggiungere della notte, che la nostra mente venga ottenebrata, come promettono essi stessi: La notte sarà la mia luce tra le mie delizie: le tenebre non saranno oscure, come lo sarebbero senza la tua presenza, Signore (Sal 138, 11-12). Chi non gode della letizia di questo dono, si consideri estraneo alla vera vita. Per esprimere in breve le loro virtù, la parola divina ha detto nel salmo settantesimo: io canterò le tue lodi, conservando nei vasi dei salmi la tua verità (Sal 70, 22). Veramente sono vasi di verità; contengono così numerose potenze, emanano profumi divini, accumulano tesori celesti. Sono anfore che raccolgono un vino celeste e lo conservano sempre puro e sempre nuovo (cfr. Gv 2, 6-11).

[Sono] una dolcezza gustosa, che non inacidisce a causa della corruzione del mondo, ma, rimanendo nella sua integralità, ne fa crescere il sapore soave. Riserva fornitissima poiché mentre tanti popoli della terra vi attingono, la sua eccedenza non può esaurirsi.

Quanta stupenda soavità fluisce da essi nel cantarli! Mediante [l’espressione di] voci umane imitano uno strumento musicale attraente; rifanno con emissioni sonore il clangore delle trombe; formano una cetra di voci, aggregando come corde persone viventi e ciò che in precedenza veniva fatto servendosi di strumenti musicali, ora viene compiuto per mezzo di persone vive. Nondimeno noi non dobbiamo mai essere garruli in modo simile ai papagalli o ai merli i quali, mentre cercano di imitare le nostre voci, non capiscono tuttavia in alcun modo ciò che stanno cantando. Una canzone piacevole, diletta gli animi, ma non li induce a versare lacrime salutari, commuove gli animi ma non eleva al cielo gli ascoltatori. Veniamo infatti compunti nel cuore, se le parole che pronunciamo con la bocca, le accompagniamo dalla nostra consapevolezza, come viene detto nel salterio: Beato il popolo che conosce il giubilo (Sal 88, 16). Ancora: Dio è re di tutta la terra: salmeggiate a lui con sapienza (46, 8). L’apostolo Filippo, quando insegnò a leggere Isaia all’eunuco della regina Candace, gli espose le Scritture Sante con competenza. Questi, appena comprese ciò che stava leggendo, subito chiese la grazia del battesimo e all’istante ricevette il dono della salvezza eterna (cfr. At 8, 27-28). Anche il Signore dice nel Vangelo: quando qualcuno ascolta la parola del regno ma non la comprende, viene il maligno e rapisce il seme che è stato gettato nel suo cuore (Mt 13, 19). Da ciò si può concludere che coloro che con cuore puro meritano di intendere le Scritture non possono correre questo rischio. A questo proposito il padre Gerolamo osserva giustamente: la Scrittura è una perla e può essere aperta da molte parti. [Hieron. Epist. 22,7 – CSEL 54, 155, 13-14]

Perciò, o Padre Apostolico [papa Vigilio (537-555), cf. M. Cappuyns, in Dict. D’hist. Et géogr. Eccl., XI, 1949, c. 1370], che hai restituito gli scritti celesti ai santi costumi, con l’aiuto di Dio stimolato dal tuo invito, entrerò negli abissi divini, [consapevole] che tu, pur correggendi gli errori, non tratti con severità ciò che devi rettificare. Prima di attingere a quelle riserve spirituali, ritengo opportuno offrire come pregustazione, alcuni argomenti, divisi in diciassette capitoli, affinché chi si introdurrà nel luogo di quei beni, attinga, con soavissimo piacere, la bevanda di un nettare squisito. Primo [argomento]: bisogna parlare, almeno, delle diverse forme di profezia, e così potremo comprendere con maggiore precisione che cosa sia questa profezia davidica. Secondo: perché nei titoli dei salmi troviamo i nomi di diversi autori. Terzo: che cosa significa l’espressione per la fine, che scorgiamo nei titoli con frequenza. Quarto: che cos’è il salterio e per quale ragione i salmi vengono chiamati in questo modo. Quinto: che cos’è un salmo. Sesto: che cos’è un cantico. Settimo: che cosè un salmocantico. Ottavo: che cos’è un canticosalmo. Nono: la divisione in cinque parti. Decimo: le frasi aggiunte all’iscrizione dei titoli. Undicesimo: che cos’è il diapsalma. Dodicesimo: se la raccolta dei salmi deva essere suddivisa in cinque libri o se si devva parlare di un unico libro. Tredicesimo: in che modo nei salmi si debba fare riferimento a Cristo Signore. Quattordicesimo: Perché i salmi vengono commentati tenendo conto di parti distinte. Quindicesimo: l’eloquenza di tutta le legge divina. Sedicesimo: l’eloquenza particolare del salterio. Diciassettesimo: l’elogio della Chiesa.

Ora cominciamo, con l’aiuto di Dio, ad esporre il progetto elaborato.

Capitolo 1
La profezia

La profezia è un’ispirazione divina la quale, enuclea con verità inalterabile il decorso degli avvenimenti per mezzo delle azioni o delle parole di alcuni. Qualcuno l’ha bene definita in questo modo: ogni profezia mette insieme i favi soavi della dottrina celeste e i dolci mieli della parola divina. [Origenes/Rufinus, in Iudic. 5, 2 – GCS 30, p. 493. 3-4 CTP 101, p. 106]. Perciò anche Davide stesso dirà nel salmo centodiciotto: quanto sono dolci al mio palato le tue parole, più del miele e di un favo per la mia bocca (Sal 118, 103).

I doni di questa grazia venivano offerti in vari modi. Ne rievocherò in breve alcuni fra tanti. Accadde per mezzo di azioni umane, come avvenne con l’arca di Noe , col sacrificio di Abramo, col passaggio del mare Rosso, con la nascita anche dei gemelli Esau e Giacobbe, che compivano una prefigurazioni di realtà future; [accadde] mediante degli angeli, come quelli che parlarono ad Abramo, a Lot, a Zaccaria e a Maria; per mezzo di visioni, come avvenne per Isaia, Ezechiele e altri santi; mediante dei sogni, come fu per Salomone e per Daniele; oppure per tramite di una nube o di una voce dal cielo, come fu per Mosè.

A motivo di ciò si nota che il santo Davide [conobbe l’esperiena profetica] non attraverso azioni d’uomo, non attraverso la nascita di gemelli, non mediante degli angeli, non per mezzo di visioni, di sogni, non con una nube e con una voce dal cielo né per altri modi, ma fu colmato dell’ispirazione divina, come si legge nei suoi riguardi nel primo libro dei Re: lo Spirito del Signore si posò su Davide da quel giorno (1 Re 16, 13).

In seguito anche lo stesso Signore dice nel vangelo: se Davide in Spirito lo chiama Signore, perché dite che è suo figlio? (Mt 22. 45). Da questa frase riconosciamo evidentemente che i salmi vennero ispirati dallo Spirito Santo. Dobbiamo sapere poi rettamente che ogni profezia parla o presenta cose che hanno riferimento al passato, al presente o al futuro.

È necessario sapere anche che lo Spirito santo fu elargito ai profeti santissimi in questo modo: se, per un certo periodo, per la debolezza della carne e l’opposizione del peccato, riceveva da loro un’offesa, si ritirava da loro ma, di nuovo ritornava da loro, nel momento opportuno, a riconciliazione avvenuta.

Perciò anche san Girolamo, nel commento al vangelo di Marco, nel passo in cui si dice, riguardo a Giovanni – vide i cieli aperti e lo Spirito scendere come una colomba e posarsi su di lui (Mc 1, 10) – ne ha parlato con tanta precisione al punto che nessuno osa opporsi alla sua trattazione. [Cf. Hieron. de princ. Marci edid. Morin, p. 326 sq]

Nel salmo cinquanta, il profeta, dopo aver peccato, chiede: non privarmi del tuo Spirito santo (Sal 50, 13). Infatti, come insegna il beato Girolamo, se la parola del Signore rimanesse sempre nei profeti e dimorasse in continuità nel petto degli uomini, mai Ezechiele avrebbe detto con frequenza: la parola del Signore venne a me dicendo (Ez 6, 1; 7, 1; 12, 1; 13, 1; [Cf. Hieron. Comm: in Ezech. 35, 1 – PL 25, 333 D]).

Nel libro dei Re, il profeta Ezechiele dice della donna il cui figlio era giunto nel giorno estremo: Rimandala perché si trova nell’amarezza e il Signore non mi ha avvisato né mi ha fatto sapere qualcosa (2 Re 4, 27).

Anche l’apostolo afferma: riguardo alle vergini non ho ricevuto alcun ordine dal Signore, ma offro un consiglio (1 Cor 7, 25). Ugualmente egli avvisa: Questo lo dico io, non il Signore (1 Cor 7, 10). In un altro passo, così precisa: quello che dico, non lo dico secondo Dio (2 Cor 11, 17). In modo simile, anche per quanto riguarda altri profeti, il Signore ha detto loro alcune cose e non furono i profeti [ad elaborarle], mentre altre cose le dissero i profeti e non il Signore. Altrimenti non sarebbe stato straordinario che Giovanni Battista dicesse, a proposito del Signore Gesù Cristo: Chi mi ha mandato a battezzare, egli mi disse: Colui sul quale vedrai lo Spirito santo scendere in forma di colomba e rimanere su di lui, questi è Colui che battezza in Spirito santo (Gv 1, 33).

Non sarebbe stato un evento particolare, riguardo a Cristo Signore, che egli abbia aggiunto e rimanere su di lui, se non fosse stato convinto che non si era mai allontanato dagli altri [profeti].

In Cristo rimase, perché Egli non aveva commesso peccato; da altri si allontanò, poiché si erano deturpati dalla macchia della corruzione. Lo Spirito Santo non può convivere col peccato, come infatti è scritto nel libro della Sapienza di Salomone: lo Spirito santo che istruisce si allontana dalla finzione e si sottrae dai pensieri che sono privi di intelligenza (Sap 1, 5).

La profezia è quindi un modo di parlare magnifico e veritiero, in modo eminente, attuato non per volontà umana, ma infuso per ispirazione divina, come attesta l’apostolo Pietro: non per volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito santo parlarono gli uomini santi di Dio (2 Pt 1, 21).

Infatti anche l’apostolo Paolo dichiara: chi profetizza parla agli uomini per edificare, per esortare e consolare (1 Cor 14, 3). Poco dopo [aggiunge]: chi profetizza, edifica la comunità (1 Cor 14, 4). Edifica realmente, quando, col dono della profezia, fa in modo che vengano conosciute interamente cose ignorate ma molto necessarie.

Infatti anche a coloro ai quali viene concessa la facoltà di comprendere e di interpretare bene le Scritture divine, non sembrano esclusi dal dono della profezia, come afferma l’apostolo nella prima lettera ai Corinzi: lo spirito dei profeti è sottomesso ai profeti (1 Cor 14, 32). Ma poiché riguardo al carima profetico forse conosciamo in modo adeguato le cose che si leggono, ora esaminiamo con sollecitudine gli argomenti che ci rimangono.

Capitolo 2
Perché nei titoli dei salmi si trovano nomi di diversi autori

Nel primo libro delle Cronache si legge che, quando il profeta Davide era invecchiato nell’eta rimanendo devoto al Signore, aveva scelto tra il popolo d’Israele quattromila giovani perché cantassero i salmi che egli stesso aveva composto per ispirazione del Signore. [Lo dovevano farlo] con la grande gioia [originata] dalla grazia suprema, [unendo] la loro voce al suono di organi, cetre, arpe, timpani, cembali e trombe (1 Cr 23, 5).

Questa dolce riunione si mostrava divisa in tre parti: la razionale che era rappresentata dalla voce umana, quella irrazionale dagli strumenti musicali, quella mista poi [era rappresentata] da entrambi le parti; in questo modo la voce umana usciva in particolari modulazioni e la melodia degli strumenti si armonizava con essa con un accompagnamento adeguato.

Con questo provvedimento, quella musica soave e gioiosa prefigurava la Chiesa cattolica, la quale, provenendo da diverse lingue e da diversi cori, con l’aiuto di Dio, stava per unificarsi nella concordia della stessa fede.

Nei titoli troviamo frequentemente nomi assegnati ad appartenenti a questo gruppo, quali Idithun, Asaf, i figli di Core e altri simili. Non perché costoro, come alcuni vogliono, furono autori dei salmi, ma perché, una volta stabiliti a dirigere tali arti, si mostrarono amministratori lodevoli di queste cose. Così avendo espletato il loro compito con animo devoto, ricevettero onore da questo ricordo, anche perché i loro stessi nomi sono atti ad indicare l’esatta comprensione del loro ufficio.

Gli uomini che ho ricordato poco fa non furono scelti a comporre dei salmi, ma, come abbiamo letto, furono incaricati soltanto del canto. Nessun documento storico prova che furono degli autori ed è avventato affermare ciò che non può essere comprovato da alcuna prova autorevole. È suggerito piuttosto da certi indizi che i salmi derivino soltanto dalla profezia di Davide.

Infine nell’Apocalisse, desiderando che quest’opera venisse accolta, si fece menzione soltanto di Davide, con questa affermazione: Questo afferma il santo e verace che possiede la chiave di Davide, che apre e nessuno può chiudere; chiude e nessuno può aprire (Apoc. 3, 7). Nel Vangelo lo stesso Signore dichiara ai farisei: Per quale ragione Davide, in spirito, lo chiama Signore dicendo: ha detto il Signore al mio signore ecc. (Mt 22, 43-44).

Da ciò si deduce che la totalità dei salmi non deriva da molti autori, ma soltanto da colui che, come si osserva, viene ricordato dal Signore. La consuetudine della Chiesa cattolica, per ispirazione dello Spirito santo, in modo universale e immutabile, impone che il lettore non ardisca annunciarli se non come salmi di Davide, qualunque di essi venga cantato, fra quanti sono preceduti da un nome diverso.

Se fossero una creazione di Iditun, dei figli di Core, di Asaf o di Mosè, anche i loro nomi verrebbero annunciati, come avviene in relazione ai Vangeli, quando vengono attribuiti o a Marco o a Luca, o a Matteo o a Giovanni. Attenendosi a questa consuetudine, il padre Agostino, in modo opportuno, afferma che tutti i salmi furono composti da Davide. [cfr. Aug. de Civit Dei, 17, 14 CC 48, 578 sq, En. Ps. IX, 35, 16 CC 38, 74]

Capitolo 3.
Che cosa significa per la fine, [un termine] che si riscontra spesso nei titoli

Parliamo di fine in due maniere: il primo significato è quello comune e pratico, quando una certa cosa è stata portata alla sua conclusione e non può progredire ulteriormente, poiché ha raggiunto il termine del suo corso.

Così diciamo che è finito il cibo, che è stato consumato da una accurata manducazione; finito il denaro che risulta come ormai speso e tutte le altre cose che risultano notificate in questo modo.

In un secondo senso, si parla di fine in relazione a qualcosa di perfetto e di definitivo. È quanto ora stiamo cercando e quando la mente devota sarà stata in grado di accoglierlo, proprio allora comincerà ad ingrandirsi davanti a noi e a dilatarsi. Fine e pienezza della legge è Cristo nostro Signore, come è precisato dall’apostolo: il compimento della Legge è Cristo, per la giustificazione di chiunque crede (Rm 10, 4).

Una volta giunti fino a Lui, non cercheremo più dell’altro, ma, lieti per il culmine della beatitudine, godremo di una letizia completa. L’amore per lui cresce nella misura in cui la nostra comprensione si illumina, con l’aiuto di Dio.

Di conseguenza tutte le volte che nei titoli dei salmi troverai l’espressione per la fine, dirigi l’apice della mente verso il Signore Salvatore, che è la fine senza fine e la perfezione culminante di tutti i beni.

Capitolo 4
Che cosa sia il salterio o perché i salmi vengano chiamati in questo modo

Dichiara S. Gerolamo: il salterio è uno strumento musicale di legno, strutturato come la lettera delta [D], che ha nella parte superiore un ventre obeso, la dove le file ordinate delle corde, percosse dal plettro in modo sapiente, come si dice, rendono un suono soavissimo. [?] Perciò la sua posizione appare opposta a quella della cetra, proprio perché l’ingrossamento che quest’ultima presenta nella parte inferiore, quello, al contrario, lo fa vedere alla sommità. [cfr. Hilar. Tract. Super ps., instructio 7 – CSEL 22, 3, 5 sqq]. Questo particolare genere di strumento per il canto, è appropriato [come immagine] al corpo del Signore Salvatore: il primo risuona nella sua parte più alta, così anche l’altro fa avvertire le realtà più sublimi della sua gloriosa istruzione, come egli stesso dichiara nel vangelo: Chi viene dalla terra, è di terra e parla cose terrene; chi viene dal cielo, testimonia ciò che ha visto e udito (Gv 31, 31-32). Per questo motivo alcuni ritengono che questa opera di Davide siano dei salmi, perché sanno che emettono il loro suono dalla sommità superna.

Sappi in verità che soltanto questi [componimenti], contenuti in questo volume, vengono chiamati salmi a motivo della loro eccellenza. Infatti il profeta Daniele attesta che il salterio è un genere di canti che cercano l’accompagnamento della voce della tromba, della zampogna, dell’arpicordo, della cetra, del salterio e della melodia di qualsiasi genere di cantori. Anche il libro delle Cronache, quando parla dei legni di sandalo, chiamati dal volgo ebano, attesta che [con essi] sono stati fatti i gradini nella casa del Signore e nella reggia, ma anche cetre e salterii per i cantori (2 Cr 9, 11). Questo strumento è chiamato arpa dagli ebrei, uno strumento che viene menzionato più volte nel libro che ho ricordato poco fa. Il salmo in verità sembra essere un termine greco, che alcuni fanno derivare da apò toû psauĕin, cioè da toccare. Infatti i citaredi che esprimono modulazioni artistiche con un pollice abile li chiamiamo anche cantanti.

Capitolo 5
Che cos’è il salmo?

Il salmo è una suonata dolce, accompagnata dal canto, che esce da un solo strumento musicale, cioè dal salterio.

Capitolo 6
Che cos’è il cantico?

Il cantico è [un componimento] che si canta in onore di Dio, quando qualcuno usa la libertà della propria voce, senza farsi accompagnare dal suono di alcun strumento musicale sonoro, e questo è ciò che si compie anche al presente nella celebrazione delle lodi di Dio.

Capitolo 7
Che cos’è il salmocantico?

Il salmocantico era [eseguito] quando, al suono di uno strumento musicale, un coro di cantanti usciva in acclamazioni, mentre altri si univano ad esso, almeno dopo che era stato pronunciato un sermone divino.

Capitolo 8
Che cos’è il canticosalmo?

Il canticosalmo era [eseguito], quando, dopo che un coro aveva intonato un canto, l’arte di uno strumentomusicale si univa ad esso in un’unica armonia, mentre le parole di un inno divino risuonavano insieme [ad esso], come soave legame.

Capitolo 9
La distinzione in cinque modi

Questa molteplice distinzione a cinque, che abbiamo ricordato, la richiamerò all’attenzione a tempo opportuno, in base a quella fra di esse che apparirà nei vari titoli dei salmi, là dove alludono ad un significato nelle espressioni successive, mediante una interpretazione mistica. Ma poiché ci sono anche altre molteplici iscrizioni, che non penso possano essere trascurate, penso che debbano essere raccolte in breve in una conclusione, affinché il lettore non venga annoiato, ma neppure vengano omessi aspetti necessari alla comprensione.

Capitolo 10
Le cose aggiunte alle iscrizioni del titolo

Si osserva che alcune espressioni iniziali dei salmi devono essere intese in senso spirituale, per dei richiami a realtà similari, poiché, se ci si attenesse alla lettera, non si troverebbe alcuna relazione tra l’argomento del salmo e il tema del titolo. Invece se vengono intese in senso allegorico, appariranno molto opportune, come si riscontra in riferimento a fatti accaduti, come ad esempio: quando fuggì dal cospetto di Assalonne; oppure in riferimento a dei luoghi, come ad esempio: quando si trovava nel deserto dell’Idumea; in riferimento al giorno, come: nel primo [giorno] dopo il sabbato; in relazioni a parole in ebraico, come nel caso di Idithun; in relazione ad un confronto tra episodi, come: quando mutò il suo volto al cospetto di Abimelech; oppure nel caso di forme consimili, come: per i torchi.

Perciò nelle diciture che accompagnano i titoli, quali salmo, cantico, salmocantico, canticosalmo, o fine oppure anche quelle che avrai trovato, al sesto posto in aggiunta, come ho detto, o ad una ad una, o ad una [sola], o a due, tre o quattro che avrai scorto inserite in essi, attribuisci quei significati, che potranno convenire al caso singolo, poiché si sa che l’allusione a queste realtà è posto in maniera ingegnosa, come si volesse richiamare l’attenzione ad un significato più nascosto.

Queste [diciture] pendono davanti alle porte dei salmi come tende sacre, attraverso le quali, se fissi l’intelletto della mente alla trama che apparirà sempre meno fitta, facilmente potrai gettare uno sguardo nei loro penetrali. Chi infatti considererebbe come cose superflue tanti argomenti, tante diversità di nomi, quando non è lecito credere che le scritture divine contengano qualcosa di inutile? Si legge infatti: in verità, in verità vi dico che non passerà dalla legge neppure uno iota o un apice, finchè tutto non sia compiuto (Mt 5. 18).

Capitolo 11
Che cosa sia il diapsalma

I commentatori dei Salmi, come si sa, hanno dato una spiegazione diversa a questo termine. Gerolamo, espertissimo studioso di lingua ebraica, conferma che con esso sia indicata un’azione permanente dello Spirito Santo, dal momento che diapsalma significa sempre. [Hyeron. Epist. 28, 2 – CSEL, 54, 228,7] Invece il beato Agostino, sottilissimo dipanatore di questioni intricate, che si muove tra problemi ardui senza subirne danno, nell’esaminare l’essenza di questa parola è stato piuttosto di questo parere, come si sa, [ossia] che esso ponga una differenziazione [nel testo]. [cfr. Aug. En. Ps. IV, 4, 18-27 – CC 38, 15 sq] Il sympsalma è chiamato, in greco, una raccolta di parole, il diapsalma, invece, un’interruzione nella continuità dei discorso, ed osserva che là dove esso compare avviene un cambiamento di persone o di argomenti. Giustamente, allora, questo termine viene collocato ove è necessario porre una differenziazione di argomento o di persona. Per questo motivo anche noi situeremo in modo corretto una divisione, là dove avremmo scorto un diapsalma nel testo del salmo.

Le altre cose le esamineremo, quando ci verrà offerta l’occasione, là dove tuttavia non potremo incontrare l’autorevolezza di questo nome.

Capitolo 12
Se la raccolta dei salmi debba essere divisa in cinque libri, oppure se dobbiamo considerarla con certezza un unico libro

Il beato Girolamo considerò che la raccolta profetica dei salmi dovesse essere divisa in cinque libri, poiché nel corso di quest’opera si legge per quattro volte: amen, amen. [cf Hieron. Commentariol.in ps. 40 – edid. Morin, Anecd. Mareds. III, 1, p. 46, II], sebbene, l’imissione di questa parola, non sembri stabilire alcuna divisione. Con lui s’accorda, il consenso dei posteri. Ritengo che egli abbia stabilito questa deliberazione, poiché era tirato da molte parti in una discussione tediosa.

Invece Ilario, il vescovo di Poitiers, un teologo molto acuto e profondo, ritiene, in modo più esatto, che, quello dei salmi, dobbiamo considerarlo un unico libro dal momento che in ebraico è un solo volume e, soprattutto, che negli Atti degli Apostoli si legge questa frase: nel libro dei salmi. [cf. Hilar. Tract. Super ps., instructio 7 – CSEL 22, 3, 5 sqq] Perciò, giustamente, viene considerato un unico libro, visto che è confermato da un’autorità così decisiva.

Capitolo 13
In che modo nei salmi si deve pensare riguardo a Cristo Signore

In tre modi i salmi parlano della persona del Signore Gesù Cristo, ad istruzione dei fedeli. Prima di tutto in relazione a ciò che riguarda la sua umanità, come avviene nel salmo secondo: insorsero i re della terra e i principi convennero insieme contro il Signore e contro il suo Cristo (Sal 2, 2); e nel salmo ventesimo: Gli hai concesso secondo la sua anima e non lo hai deluso nel desiderio delle sue labbra (Sal 20, 3).

Il secondo modo è quello che lo mostra equale e coeterno al Padre, come troviamo nel salmo secondo: Il Signore mi disse: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato (Sal 2, 7); e nel salmo centonove: Con te il principio nel giorno della tua forza nei santi splendori: dal seno prima dell’aurora tu ho generato (Sal 109, 3). Il terzo modo [viene espresso] dalle membra della Chiesa, della quale il comandante e il capo è Cristo, come troviamo nel salmo vent’uno: lontane dalla mia salvezza sono le parole dei miei delitti (Sal 21, 2); e nel sessant’otto: Dio, tu conosci la mia stoltezza e i miei peccati non ti sono nascosti (Sal 68, 6). Dobbiamo pensare che questo discorso venga pronunciato a nome di uno dei fedeli. {Del resto è certo che Cristo fu totalmente libero dal peccato, e di questo Ticonio ha parlato diffusamente e con diligenza nei libri delle Regole.} [cfr. Tyconius Liber regularum, I-II edid. Burkitt, p. I-II] Se fissiamo questo nel nostro animo, non verremo sconvolti da alcun turbamento, poiché l’errore più grave nasce là dove, in modo errato viene attribuito a qualcuno, ciò che appare essere stato detto per un altro.

Se si fosse espresso in un’unica maniera, chi avrebbe potuto comprendere la sua doppia natura, quando anche adesso, pur essendo palese tale distinzione, alcuni osano confondere con volontà sacrilega la natura della divinità e dell’umanità? Molti sono gli insegnamenti che offre, secondo la lettera, molte cose comanda spiritualmente, cambia all’improvviso le persone in modo appropriato, affinché una volta sembri parlare il Cristo Dio, fatto Verbo incarnato ed uomo, capo della Chiesa, un’altra la stessa Chiesa, un’altra volta ancora l’uomo giusto, oppure il penitente, e in questo modo riesce a trattare tutti gli argomenti che sono necessari e anche a concluderli. Ovunque splende in pieno fulgore la parola che [annuncia] beni celesti e, per donare salvezza al genere umano, il Buon Redentore, rende noti i venerandi misteri del suo regno, cambiando in continuazione i suoi interventi.

Queste cose stiamo dicendo in questa introduzione, affinché quando sarà giunto ai versetti interessati, il lettore, senza sgomento, possa ascoltare ciò che in quel momento potrà riconoscere di aver già conosciuto in modo salutare. Per l’autorità dei padri e per attestazione della verità stessa dobbiamo credere con fede rigorosa [quanto segue]: uno della Trinità, oppure una persona della Trinità, il Dio Verbo si è fatto uomo da Maria Virgine, per misericordia verso i mortali, con una scelta generosa, non forzato da qualche bisogno, poiché non poteva subire alcun mutamento nella sua natura né, con l’assunzione della carne, offì alcun vantaggio alla Trinità. Ma, come qualcuno ha detto: ha lavato nel sangue le nostre macchie, ha steso in croce le nostre rughe. [?] Poiché abbiamo tale certa prospettiva di speranza, la beatitudine dei credenti, la grande felicità dei giusti, gli eretici, con empia volontà, non smettono di corrodere ciò che al genere umano è stato come occasione di salvezza.

Capitolo 14
Perché i salmi vengono commentati tenendo conto di parti distinte

Prima di tutto, con l’aiuto di Dio, dobbiamo parlare dell’iscrizione dei titoli, da dove proviene il contenuto della parola divina, come latte che scorre dai seni. In seguito: ogni salmo deve essere diviso in base all sua struttura, affinché la nostra interpretazione non stravolga o un cambiamento velato della trattazione o una variazione introdotta dei protagonisti. Terzo: cercherò di dipanare il significato nascosto del salmo, in parte secondo la comprensione spirituale, in parte secondo il senso storico, in parte secondo il suo contenuto mistico, esaminando la profondità dei messaggi e i suggerimenti delle parole, a seconda di come mi sarà concesso. Quarto: a secondo di quanto lo richiederà il testo sottomano, cercherò di mostrare brevemente il suo contenuto, sebbene l’intenzione profonda del componimento suddiviso riluca [solo] agli occhi interiori per un dono divino. Sono persuaso che la forza del salmo stia nell’ispirazione divina, la quale ci dischiude il suo contenuto più elevato, e, sevendosi delle parole di Davide, ci separa dai vizi e ci persuade a vivere con rettitudine. Quinto: ci ricorderemo dell’ordine del numero dei salmi, quando verrà il momento adatto, in quanto esso è stato reso sacro dall’onore dovuto a realtà degne di grande rispetto. Confessiamo che per noi è stato difficile fare questo per i singoli salmi, dal momento che anche l’autorità dei padri non si è pronunciato su questo [aspetto] in modo preciso e certo. Uno studioso diligente cerchi da sé [il significato] degli altri numeri, poiché molti messaggi [presenti] nella Scrittura divina, che ora ci sembrano del tutto oscuri, si chiariscono soltanto solo nello scorrere del tempo. Nelle conclusioni, in verità, o tracceremo una sintesi di tutto il salmo, in modo sintetico o diremo qualcosa per abbattere le eresie. Del resto l’amore sincero per Dio, esige che si provi una detestazione totale dei suoi nemici.

Capitolo 15
L’eloquenza di tutta la legge divina

La forza persuasiva della legge divina non dipende dai discorsi umani, né porta con sé incertezze a causa di confusi giri di parole; non è toccata dalla dimenticanza dei fatti del passato, non è turbata dalla sgomento per il presente, né sfugge al futuro per l’incertezza degli eventi, ma, parlando al cuore, non alle orecchie del corpo, discernendo ogni cosa con la grande sicurezza di chi può prevedere, rimane salda per la verità del suo autore. Nel vangelo, infatti, viene detto riguardo alla predicazione di Cristo Signore: Parlava come uno che ha autorità, non come i loro scribi e i farisei (Mt 7, 29). Egli parla do cose certe, poiché a Lui tutta la realtà è presente e il corso degli eventi, come si attesta, è sottomesso a lui.

L’eloquenza sta nella padronanza di una questione e nell’esposizione attraente. Questa predicazione casta, solida, verace ed eterna, risplende di un eloquio purissimo, luminoso per la sua utilità, mirabile nella magnificenza della sua forza e brilla per l’azione di salvezza, come verrà detto nel salmo centodiciotto: La tua parola mi darà vita (Sal 118, 50). E ancora: Lucerna ai miei passi è la tua parola, Signore, e luce ai miei sentieri (Sal 118, 105). È veramente una luce perché ordina sempre cose vitali, proibisce quelle nocive, allontana quelle terrene e rende attraenti quelle celesti. Per questo anche [Paolo] il dottore delle genti scrive nella lettera ai Corinzii: il regno di Dio non consiste in parole ma in potenza (1 Cor 4, 20). Lo stesso insegnamento lo ripete nella seconda (lettera) a Timoteo: Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona (2 Tm 3, 16).

Come viene confermato dall’autorità del padre Gerolamo, presso gli Ebrei, tale [eloquenza], consta che sia costituita da un ritmo o da una regola metrica la quale, come essi dicono, è contenuta in fastuci. [Cfr. Hieron. Praef. In libr. Iob in Biblia sacra iuxta Latinam Vulgatam versionem, IX, Romae, 1951, p. 71 sq] Il fastucium è un messaggio che, svolgendosi per tratti nell’intento di comunicare il suo significato, si esprime in modo perfetto. Se tu, diligente lettore, vorrai comprenderne la forza, ascolta l’apostolo che, rivolgendosi agli Ebrei, dichiara: la parola di Dio è forte ed efficace, e più tagliente di una spada a doppio taglio, penetrante fino alla divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i pensieri e le intenzioni dei cuori (Eb 4, 12).

La santa profondità della Scrittura divina a tal punto presenta dei discorsi comuni, che tutti la accolgono senza indugio. Il significato si nasconde in un segreto di verità, in modo tale che in essa il messaggio vitale deva essere ricercato con impegno. Infatti che essa davvero sia una realtà divina è dato da capire soprattutto per il fatto che i semplici credono di poter trasmettere degli insegnamenti sottilissimi e uomini temporali delle verità eterne [solo] se sono stati ripieni del divino Spirito.

Infine quanti prodigi sono stati compiuti in continuità, fino a che la Scrittura stessa, divulgata, non ha riempito lo spazio del mondo? Come è stato scritto: in tutta la terra è uscito il loro suono e ai confini del mondo la laro parola (Sal 18, 5). Questo fatto contribuisce a fornire una prova sicurissima: la legge divina, come si osserva, è stata accolta in tutte le parti del mondo. La Sacra Scrittura in molti modi offre i generi [letterari] della sua dizione, è succinta nelle definizioni, bella nelle figure [retoriche], caratterizzata dalla proprietà dei termini, eccellente nella complessità dei sillogismi, risplendente nelle varie discipline: tuttavia non riceve da esse un decoro a cui sarebbe estranea, ma piuttosto conferisce a quelle la sua dignità.

Queste, quando risplendono nelle Scritture divine, sono chiare e purissime; quando, invece, appaiono nelle argomentazioni umane e nelle discussioni del tutto vuote, vengono smosse dai flutti ambigui delle controversie ed accade che ciò che qui è sicuramente sempre vero, con frequenza in altri luoghi viene colto come cosa incerta. Così la nostra lingua, mentre intona i salmi, viene ornata dallo splendore della verità; mentre, quando si volge verso le favole e alle parole blasfeme, si priva dell’onore dell’onestà, come insegna l’apostolo Giacomo: con la stessa bocca benediciamo Dio Padre e con la stessa bocca malediciamo l’uomo, che è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gc 3, 9).

Gli esperti nelle discipline umane, i quali, tuttavia, come è provato, sono apparsi molto dopo dal tempo in cui i libri divini hanno avuto origine, si sono dati alla raccolta di argomentazioni, quelle chiamate topici dai greci, all’arte dialettica e quella retorica. Così a tutti appare evidente che in primo luogo alle menti dei giusti fu concesso di esprimere la verità, che, in seguito, i pagani cedettero opportuno trasferire nella sapienza umana. Queste risplendono nelle letture sacre alla maniera di stelle luminose e illuminano nobilmente i significati delle cose in utilissime sintesi. Le richiamerò in breve al momento adatto, poiché le cose stesse verranno riposte al centro in modo molto opportuno, e per esse i significati scoperti risplenderanno con maggio chiarezza.

Infatti anche il padre Agostino nel terzo libro della dottrina cristiana ha così detto: Sappiano gli studiosi di lettere che i nostrio autori si sono serviti delle forme di tutte le proposizioni, chiamate dai greci col nome di tropi. E poco dopo aggiunge: questi tropi (cioè forme verbali) che essi conobbero, si ritrovano nelle sacre lettere e il conoscerle aiuta grandemente per comprenderle. [Aug. de doctr. Crist. III, 29 (40) –PL 34, 80] Egli ha richiamato con evidenza queste forme anche in altri suoi scritti. Nei libri che egli ha chiamato Le forme del discorso, ha provato che negli scritti sacri si ritrovano molte figure tipiche della letteratura profana; ha dichiarato poi che nel linguaggio divino ci sono delle locuzioni particolari, che non furono conosciute dai grammatici e dai retori. [cfr. Aug. Locutiones in Heptateuchum – CC 33, p. 379 sqq] Questo venne affermato presso di noi [cristiani] anche da altri padri molto dotti, come Gerolamo, Ambrogio, Ilario e, perciò, non ci comportiamo con audacia in questa questione ma piuttosto ci dimostriamo dei loro sequaci.

Qualcuno potrebbe obiettare: nei salmi non si trovano per nulla membri del sillogismo, nomi di figure, termini propri di scienza né altro di questo genere. Si trovano certamente nella potenzialità stessa dei contenuti e non nella afonia della parola: come il vino si trova nelle viti, la messe nel seme, la ramificazione nelle radici, i frutti sui rami, gli alberi stessi li vediamo già in potenza nei noccioli. Dalla profondità del mare si pesca un pesce gustoso il quale, certamente, non appariva alla vista prima della cattura. A ragion diciamo che sono presenti, quegli elementi che avvertiamo possono essere colti come presenti almeno in potenza.

Sebbene l’apostolo ci vieta di lasciarci sedurre dalla vana sapienza del mondo (Cf. 1 Cor 3, 18), non vuole negare certo che essa non sia contenuta nei testi sacri. Certamente dobbiamo avvicinarci ai salmi e scrutare il contenuto della fede, che supera qualsiasi disputa.

Questo forma del discorso immediato, incontaminato e salvifico, per lo più riporta anche altri contenuti ed espone molto spesso altri insegnamenti rispetto a quelli che vengono ascoltati. La semplicità si accompagna al doppio uso della lingua e senza che vi sia inganno. Fece così anche Giuseppe il quale mentre aveva riconosciuto i suoi fratelli nell’aspetto e nella lingua patria, parlava loro in modo tale da non poter essere riconosciuto per nulla (Cf. Gen 42). Non agì in questo modo per ordire un inganno, ma per conseguire più facilmente un risultato di grande utilità. [Il testo sacro] riporta termini in ebraico, suggerendo significati molto profondi. Spesso attribuisce un significato negativo o positivo allo stesso termine in modo che si possa vedere che se due cose hanno lo stesso nome, differiscono poi tra di esse nella loro qualità. Paragona le cose celesti alle terrene, e in questo modo ciò che, per la sua grandezza appare inattingibile, possa essere colto attraverso delle immagini di cose familiari. Nelle espressioni affermative è di grande efficacia affinché ci vengano spiegate velocemente, con due o tre parole, reltà per noi vastissime e incomprensibili.

Per dirlo in breve, spesso con una sola sillaba annuncia l’ineffabile natura del Signore, come nella frase: Colui che è mi ha mandato (Es 3, 14). Ogni suo nome, se viene esaminato con acribia, lascia scorrere significati molto ricchi. Come un campo assai fertile produce erbe odorifere utili per la nostra salute, così la lettura sacra, quando presta attenzione [al testo] parola per parola, sempre da questo esercizio offre una cura alla mente ferita. {Molti padri hanno parlato a lungo delle forme verbali della sua retorica, i cui nomi ho proposto di tenerli ben presenti nei lbri di introduzione}. Tuttavia quella sorgente divina, per quanto si attinga ad essa con assiduità, non verrà mai scrutata a sufficenza.

Per non dilungarmi troppo a lungo in queste considerazioni generali, trattiamo, con l’aiuto di Dio, le cose che riguardano i salmi in modo specifico: una cosa è conosciuta con certezza, quando, dopo essere stata presentata sotto aspetti più generali, in un secondo tempo viene descritta nelle sue caratteristiche proprie.

Capitolo 16
L’eloquenza specifica del salterio

Prima di tutto gli stessi salmi (e soltanto essi) vengono chiamati con un numero specifico. Li abbiamo esaminati dopo essere ricorsi agli esperti di questa lingua con il loro volume ed abbiamo ritenuto opportuno rispettare l’ordine dei versetti, secondo l’uso degli oranti, per evitare che una autorità confusa scombusolasse un ordine stabilito in precedenza. In secondo luogo perché nessuna altra opera ispirata da Dio è contenuta in centocinquanta sezioni. Dove infatti si possono leggere tanti titoli dove compare una varietà così molteplice? [Soltanto] qui il termine sacro alleluia è cominciato ad apparire nei titoli. [Soltanto] qui la rievocazione storica tratta dal libro dei Re, posta già all’inizio, attesta di segnalare le virtù dei salmi. [Soltanto] qui appare il diapsalma posti nel testo. [Soltanto] qui le classi dei numeri mostrano il loro significato.

Il libro che incomincia dalla beatitudine del Cristo, percorrendo i misteri del nuovo e del vecchio Testamento, si conclude nelle lodi sacre e nel santo giubilo, affinché la Chiesa, giustamente, possa consolarsi con questo dono, proprio essa che ora viene ferita dalla sofferenza procuratagli da molte calamità. Per la grazia del Signore ha imparato a trionfare sebbene venga appesantita dalle sue calamità: avanza grazie alle persecuzioni, cresce sempre nelle afflizioni, è irrorata dal sangue dei martiri, si eleva ancora di più nella miseria, si dilata nella strettezza, si pasce di lacrime, si rinsalda nei digiuni e cresce proprio per quelle cose, per le quali invece il mondo viene meno.

Che cosa non troverai in quel libro con il quale il genere umano non possa essere soavemente consolato? È un tesoro nel cuore del mondo che sempre cresce, una grande consolazione per chi piange, una santa speranza per i giusti, un utile ricovero per i vacillanti, e mentre si prende ciò che è utile, la sua fonte continua a versare in continuità, senza esaurirsi. Il beato Atanasio, vescovo della città di Alessandria, nel libro dedicato al suo carissimo Marcello sulla qualità propria del salterio, così da detto e cito le sue stesse parole: chi recita le frasi di un salmo, quasi canta le proprie parole e salmeggia come se fossero state scritte da lui stesso, e non da altri, né le prende e le legge, come se parlassero di un’altra persona. Anzi, come se egli stesso parlasse da sé, così proferisce le parole allo stesso modo e quali siano le cose che vengono dette, le pronuncia come fossero state create da lui, e facendole scaturire dall’intimo, sembra sacrificare a Dio delle parole. [Athanas. Epist. Ad Marcellinum, 11 – PG 27, 24 A]

È proprio del salterio il fatto che per mezzo di esso entri la santità della legge divina. I principianti non cominciano dalla Genesi, non dall’apostolo; neppure la santa autorità del vangelo viene cercata tra le cose iniziali. Sebbene il salterio rappresenti il quarto codice della parola autorevole di Dio, tuttavia i principianti che affrontano le scritture sante, da lì iniziano opportunamente l’esercizio della lettura.

Capitolo 17
Elogio della Chiesa

O Chiesa, veramente santa, immacolata e perfetta, che, per il dono della grazia divina, tu sola vivifichi, tu sola santifichi e rinnovi con la tua attività il genere umano, smarrito per le sue colpe; nulla può essere aggiunto e nulla detratto alla sua devota confessione di fede. Fra tutti i salmi, fra di tutti i cantici, inserisci la lode della santa Trinità, affinché, dal momento che hanno ispirato le parole sante che diciamo, sia resa a loro una lode perenne e una gloria dolcissima. Tu che passi attraverso il maro agitato di questo mondo e le durissime tempeste delle eresie, a somiglianza dell’arca di quel Noè, che profetizzò con evidenza la tua realtà, portando a compimento il viaggio nella fede senza impedimento e senza tema del diluvio, sebbene tu non possa trovare pace a causa di questo e quell’errore, visto che ancora oggi incontri gravissime difficoltà tra le iniquità di questo mondo. Ciò che si vive al di fuori del tuo grembo vitale, risulta essere un naufragio mortale.

Infatti mentre il detestabile Sabellio erra riguardo al Padre, il demente Ario s’inganna a proposito del Figlio, Mani, il sacrilego, nega lo Spirito santo, mentre alcuni scellerati sopprimono in parte il vecchio testamento, ed altri ancora non seguano la grazia del nuovo, soltanto tu esponi tutte le verità senza recare danno alla fede dei fedeli, con l’aiuto di Dio. Insegni che il Padre è ingenerato, il Figlio generato, che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio ed annunci che la Trinità santa è un unico Dio, coeterna in se stessa e onnipotente in modo identico [in ogni persona]. Insegni che Cristo Signore ha conservato la sua divinità anche dopo aver assunto la nostra carne, e pur salvaguardando le caratteristiche di entrambe le nature, confessi che è un’unica persona. Prestando fede al Vecchio Testamento a partire dal Nuovo, sai che il Nuovo è derivato dall’Antico. Per esporre tutto in modo breve, non sai parlare se non di ciò che conviene credere. Infatti sebbene qui tu sia provata da molteplici angustie e venga scossa dall’ostilità di un nemico ingannatore, tuttavia, radunata dall’estremità di tutta il mondo, t’innalzi luminosa alla maniera di una bellissima piramide e ti fai da guida al regno eterno.

Tu vieni paragonata a buon diritto a questa figura, poiché innalzando il tuo capo prezioso da tutte le genti, conduci ai regni superni le anime dei giusti come un faro elevato: raccoglitore colmo di chicchi celesti, raduno felice di uomini santi provenienti da tutti i popoli, adunanza splendente di anime serene, costruzione incompiuta formata da pietre vive, felicità eterna di tutti i beati, più splendente del sole, più candida della neve, senza macchia e senza ruga. Di costei è scritto nel Cantico dei cantici: Chi è costei che avanza come un’aurora risorgente, bella come la luna, unica come il sole, terribile come un reparto militare schierato (Ct 6, 9)? E poco dopo: I tuoi occhi [sono] di colomba senza ciò che si nasconde all’interno: i tuoi denti come greggi di [pecore] tosate che risalgono dal bagno, tutte hanno dei parti gemellari e nessuna tra esse è sterile (Ct 4, 1-3). Come un nastro di porpora le tue labbra, madre e vergine, partorisci e rimani inviolata, generi e rimani integra; la tua bocca sparge il profumo di tutte le virtù e di essa dichiara lo sposo: il tuo profumo è come quello dei meli (Ct 7, 8). Poco dopo: l’odore dei tuoi unguenti è superiore a tutti i profumi. Favo stillante sono le tue labbra, o sposa, miele e latte sotto la tua lingua (Ct 4, 10-11). Tu meriti di ricevere il bacio di Cristo e di conservare sempre il tuo candore verginale.

A te infatti viene detto: mi baci col bacio della tua bocca, poiché le tue mammelle sono migliori del vino, fragranti di ottimo profumo (Ct 1, 1) e tutte le altre espressioni elogiative che quel libro divino contiene con una dottrina mistica. Dopo aver ascoltato questa premessa, che ci introduce nell’opera che segue, che è come un sommario di misteri celesti e preannuncio di un’esposizione santa, ora che siete presi in modo adeguato da stupore e, per grazia divina, infiammati di desideri celesti adesso, con l’aiuto di Cristo, cominciamo a mantenere le promesse.

Concedici, Signore, al quale appartiene tutto ciò che giova, di saper ascoltare in maniera saggia, piacevole e proficua. Abbiamo completamente bisogno del tuo soccorso e solo allora, se tu ci avrai dato il dono della predicazione, saremo capaci di spiegare, almeno fino ad un certo livello, le parole della tua grandezza. Amen.

L’ordine di esposizione

Prima che io degusti il miele del salterio celeste e pervenga agli argomenti della gloriosa passione, con l’aiuto del Signore, mi sembra opportuno, dopo averlo diviso in capitoli, introdurre dei prolegomeni (ossia degli argomenti posti in precedenza), attinti dal testo stesso dell’opera. Così facendo potrò istruire i lettori in modo più metodico e noi potremo scorrere tali suddivisioni senza alcun ostacolo.

Nella prima parte viene descritta la vita terrena del Signore. Nella seconda viene segnalata in modo sottile la natura della sua divinità. Nella terza dice che si sono moltiplicati i popoli che intendevano eliminarlo.

Nella quarta il profeta continua ad ammonire, affinché i giudei, smettano di pensare e di fare il male, dopo che hanno saputo che stanno per essere distrutti dalla potenza divina.

Nella quinta Cristo Signore chiede al Padre che la sua preghiera sia esaudita e per mezzo della sua risurrezione conceda agli uomini i beni promessi.

Nella sesta parte, tutto il salmo esprime le parole di un penitente, e ad esso si accompagnano altri sei salmi dello stesso tipo (penitenziale) i quali vengono esposti nella conclusione del salmo cinquanta.

Nella settima parte, Cristo umilmente di essere soccorso dalPadre, ma confida in un retto comportamento, il quale conviene soprattutto alla sua divinità; ma nella situazione dell’umanità assunta chiede di essere soccorso per impedire che il diavolo devasti la sua anima per una cattiva presunzione, e dopo aver gettato nella polvere il suo onore, la disperda.

Nell’ottava, raccogliendo insieme immagini e interpretazioni metaforiche, parla dello svolgimento di un dramma e, mediante similitudini di contenuto allegorico, riferisce tutto al Signore Cristo. Da parte nostra riportando queste figure al momento opportuno, avvisiamo il lettore interessato di lasciarsi sgombrare da ogni dubbio.

Nella nona, dopo aver moltiplicato i motivi di lode, che ora derivano dalla sua divinità e ora dalla sua umanità, dopo aver cambiato i protagonisti e i titoli introduce l’Alleluia, che significa Lodate il Signore.

Nella decima seguono i [salmi] graduali che conducono il nostro animo presso il Signore Salvatore con mente pura e umile richiesta di perdono.

Nell’undicima parte, dopo aver cambiato le parole, di nuovo, con un’esultanza di carattere innico, cantano insieme le lodi del Signore: esaltando la maestà del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, affinché nessuno possa dubitare che la santa Trinità è onnipotente in ogni persona, in quello che vuole fare in cielo e in terra.

Nella dodicesima, si lasciano in fine sette salmi i quali, con l’esultanza tipica degli inni, celebrano insieme tutta la gloria della Santa Trinità con animo devoto. Così l’intero libro del salterio, diviso in dodici parti, a somiglianza del numero degli apostoli, si conclude con una lode meravigliosa, per cui anch’esso compie ciò che sappiamo hanno fatto i discepoli di Cristo.

Nasconde con evidenza un altro mistero che riguarda questo libro il fatto che la terra sia stata purificata dai nostri peccati con un diluvio durato cento cinquanta giorni, così anche questi salmi, composti di questo numero, rende assolto in modo conveniente il genere umano macchiato dai propri peccati. Ora cominciamo ad esporre, a poco, a poco, le parole del salterio.


ESPOSIZIONE DEI SALMI
PRIMA PARTE

Salmo 1

Perché il salmo primo è privo di titolo

Per questo motivo il salmo presente non ha un titolo, perché al nostro capo, il Signore Salvatore, di cui si parlerà con compiutezza, non deve essere preposto nulla; tanto più che Egli è il principio di tutto, come dichiara egli stesso nel vangelo: Io sono il principio, e per questo vi parlo (Gv 8, 25). Sebbene anche altri salmi parlino a lungo di lui, nessuno tuttavia espone con tanta precisione quale sia stata la sua condotta di vita sulla terra. E poiché tutti gli argomenti di cui si parlerà faranno riferimento a lui, Colui che è presentato come il Primo di tutto, opportunamente, viene messo anche a capo di questo libro. Qualunque cosa venga riferita del passato, o serva d'ammonimento per il presente, o renda previdenti per il futuro, tutto ciò che questo libro sta per insegnare, tende interamente alla formazione dell'uomo beato. Dei [commentatori] dissero, infatti, che questo [salmo] tiene il posto di un titolo e altri di una prefazione. Tuttavia, sebbene alcuni ritengano che esso possa riferirsi a qualsiasi giusto, a nessuno tranne che a Cristo Signore si adatta in modo così veritiero.

In realtà se pensassimo che possa riferirsi a qualsiasi giusto, allora non sapremmo più spiegarci perché in un salmo si dica: ogni uomo è inganno (115, 11); oppure la frase del libro di Giobbe: nessuno è puro ai tuoi occhi, neppure il bimbo che ha un giorno di vita sulla terra (Gb 14, 4); e neppure l'altra: in verità non vi è alcun figlio dell'uomo che non abbia agito in modo iniquo e dei fedeli che non abbia fatto il male; né sapremmo spiegarci questo passo: come panno insozzato dal mestruo sono i nostri atti di giustizia (Is 64, 6).

Di conseguenza, non ad qualsiasi uomo giusto conviene applicare questo discorso, se non all'Unico di cui la Scrittura affermi: non commise peccato, né si trovò inganno nella sua bocca (1 Pt 2, 22). Egli, del resto, nel Vangelo attesta: ecco viene il principe di questo mondo e in me non può riscontrare nulla [di male] (Gv 14, 30). Giustamente deve essere riferito a Cristo Signore: non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti (Sal 1, 2) ecc. È un progetto ammirevole, un piano veramente celeste, che il salterio prenda inizio, per noi, da Colui che mostra di essere la porta salutare del cielo.

Perciò affrettiamoci ad entrare con grande gioia, perché sappiamo che la porta spalancata è lo stesso nostro Avvocato, come afferma l'Apostolo: non abbiamo un sommo sacerdote che non possa compatire le nostre debolezze (Eb 14, 15) e poco dopo: avviciniamoci quindi con fiducia al trono della sua grazia, per ottenere misericordia e per trovare grazia nel tempo opportuno (Eb 4, 16).

Ora facciamo in modo che le chiavi dei salmi possano girarsi ed aprirsi, affinché, con l'aiuto del Signore, meritiamo di entrare nelle stanze del nostro Re. Come ho già spiegato nella introduzione, esponiamo dapprima in che modo possa essere diviso e se la suddivisione sarà corretta, potremo leggerlo in modo trasparente e comprensibile; prima di esaminare i singoli versetti, già ci sarà più chiaro l'oggetto del componimento.

Divisione del salmo

L'intero testo di questo salmo espone ciò che viene riferito da un profeta. La prima parte presenta la vita del Verbo incarnato: se le cose che sono dette vorrai attribuirle solo alla maestà del Cristo, non potranno adattarsi bene.

La seconda parte ricorda che le iniquità dei peccatori riceveranno nel giudizio futuro delle pene adeguate; e così saremo più disposti ad accogliere con animo grato le cose promesse all'inizio, visto che quelle successive sembrano suscitare paura.

Esamina poi il suo progetto, che sembra essere degno della massima attenzione. Nei primi versetti, infatti, viene esposta la beatitudine del Signore Salvatore, per offrire esempi di vita al genere umano, e così mentre l'uomo di terra ci aveva portato la morte, quello celeste del futuro donasse salvezza. Ai primordi l'uomo ingannato meritò una condizione di vita assai dura, ma in seguito gli fu donata una redenzione gloriosa. Alla ignominiosa schiavitù del principio, successe una libertà desiderabile. L'uomo fu espulso dal paradiso ma accolto in cielo. Perse la felicità terrena, ma divenne compagno degli angeli. La tristezza venne dal diavolo, la gioia da Cristo. A tale proposito l'Apostolo dice: se per la disobbedienza di uno solo, molti sono stati costituiti peccatori, per l'obbedienza di uno solo, molti saranno costituiti giusti (Rm 5, 19).

Al principio di questo salmo, risplende davanti a noi la descrizione dell'uomo giusto, come la corona stupenda di un re glorioso. Un discorso breve e chiaro espone la materia proposta nelle forme diverse in cui consiste.

Questo inizio comprende evidentemente due specie di definizione. In primo luogo troviamo i due versetti che affermano: non andò, non indugiò, non sedette. Questo corrisponde all'ottava forma di definizione, detta in greco kat'aphairesin tou enantiou, e in latino: privazione del contrario. Essa precisa quello che non viene fatto, come dirà poi nel salmo quinto: non sei un Dio che si compiace del male (5, 5).

Nel terzo versetto, invece, si legge: ma si compiace della legge del Signore e nella sua legge medita giorno e notte. Siamo di fronte, qui, al secondo tipo di definizione, detta in greco ennoematike, in latino è denominata nozione. Questa definizione non afferma chi egli sia, ma mediante ciò che egli compie, ci fa conoscere in modo specifico quella nozione che andiamo cercando, come dirà nel salmo settantuno: Benedetto il Signore Dio d'Israele: egli solo compie meraviglie (71, 18).

Ricorda poi che una definizione si fa derivare o dalla materia, qualora si tratti di un corpo, o dalla forma, quando si tratta di una qualità; o anche dall'una e dall'altra, come avviene per l'uomo che appartiene in modo straordinario ad entrambi gli ordini riferiti. Se avesse detto subito ciò che il giusto è, non avrebbe dovuto poi precisare che cosa non è. Anche Euclide, esperto di geometria, avanza in questo modo, seguendo tale modo di procedere, quando dice: la linea è una lunghezza priva di larghezza. Prima dice che cosa è e dopo che cosa non è. Fanno altrettanto quelli che trasformano, con qualche differenza, i detti dei predecessori, per fingere d'esserne gli autori.

Ora mettiamoci ad esaminare i singoli versetti: al loro interno, come in un midollo, troveremo dei frutti dolcissimi.

Spiegazione del salmo

1. Beato l'uomo. Un inizio molto attraente e opportuno! Dal momento che lo Spirito Santo stava per correggere le mancanze degli uomini, ha considerato opportuno iniziare con una beatitudine, per incoraggiare con una prospettiva di speranza gli animi trepidanti e ed evitare così che soccombessero i cuori esitanti dei mortali. Chi non si sentirebbe stimolato ad affrontare le difficoltà più ardue, nella prospettiva di ottenere la felicità della beatitudine? Beato l'uomo, dunque è detto, ossia l'uomo dotato in modo considerevole, che ottiene tutto quanto desidera, come ci viene trasmesso dall'autorità dei padri. Il profeta ricorda che questo può essere espresso in due modi, affermando nel salmo centoquaranta tre: Beato il popolo che possiede questi beni (143, 15) e poi, aggiunge: Beato il popolo che ha il Signore per suo Dio. Perciò, come sta precisando, è beato nel mondo colui che sostenuto da grande sicurezza, persevera in una gioia ininterrotta e nell'abbondanza di beni terreni. A questo beato, che non viene scosso nel suo tenore di vita da alcuna contrarietà, ha aggiunto egregiamente il termine uomo: uomo deriva da forza; chi [è tale] non viene meno nel tempo della sopportazione, né si esalta nella prosperità; reso solido dalla stabilità del suo animo, rafforzato dalla contemplazione delle realtà celesti, si mantiene sempre libero da ogni timore. Questo [tipo di confronto] i nostri avi lo hanno chiamato etimologia. L'etimologia, infatti, è un discorso breve che mostra, in base a certe assonanze, da quale termine derivi il nome che cerchiamo di comprendere nel suo significato.

Non esitare di fronte al fatto che il salmista chiami uomo il Signore Salvatore, perché anche il profeta Zaccaria dice: ecco un uomo, Oriente è il suo Nome (Zc 6, 12). Ricorda che quando viene indicato in questo modo, si parla della natura umana da lui assunta; essere maschio ha relazione con la sessualità del corpo, e [ciò] non può avere a che fare con la divinità. Considerando che il Signore stava per assumere la natura umana, per la nostra redenzione, ha detto in modo esatto, uomo, perché si credesse che sarebbe stato un'unica persona composta di due nature.

Che non andò nel consiglio degli empi, nella via dei peccatori non stette, e non sedette nella cattedra della pestilenza. Dopo aver presentato l'uomo beato, ossia Cristo Signore, era utile che lo facesse conoscere in modo più preciso dalle sue azioni, a partire da quel progetto per il quale dovette soffrire, altrimenti sarebbe risultato meno chiaro un discorso, nel quale si fosse trascurato qualche cosa, mentre si proponeva di fornire una spiegazione esauriente.

È risaputo che gli uomini sbagliano in tre modi: nel pensiero, nell'azione, nel discorso, ma, andando in ordine, [il salmista] rifiuta ora di attribuire ciò [a Cristo] proprio col dire: non andò nel consiglio degli empi. Prima di tutto rifiuta di attribuirgli] quei pensieri detestabili, che appartengono al genere umano naturalmente, che Cristo non assecondò per nulla. Per non servirci di esempi estranei [al Salterio], il salmo trentanove dichiara con forza che dobbiamo pensare come riferito al Signore Salvatore il versetto: allora ho detto: ecco, io vengo; nel titolo del libro è scritto di me (Sal 39, 8). Andò significa infatti che, abbandonata la strada giusta, sviò per viottoli tortuosi.

In seguito nega che Egli abbia compiute azioni malvagie: nella via dei peccatori non stette. Venne nel mondo, che è proprio la via dei peccatori, ma non vi si fermò, perché passò immune da ogni vizio, con una condotta irreprensibile. Usando il termine via dei peccatori, pensa a qualcosa di vasto, dal momento che il percorso dei giusti è considerato stretto.

In terzo luogo aggiunse: e non sedette nella cattedra della pestilenza. Allude alle dottrine abominevoli, che spargono i veleni di insegnamenti esiziali. Giustamente, rifiuta di applicare ciò a Cristo che sanò le malattie del mondo intero con una parola curativa.

Qualcuno, poi, ha colto in questo passo una distinzione più complessa pensando che venga chiamato empio chi pecca contro Dio, peccatore chi agisce contro se stesso e pestilenziale chi nuoce al prossimo, lo opprime e lo danneggia. Qualunque significato tu attribuisca [a queste parole], sai che il Signore fu esente da tutto ciò.

La cattedra è una specie di sedile, costruita con varie materie, sulla quale ci si adagia comodamente grazie ad una curvatura nello schienale e come una custodia abilmente progettata accoglie coloro che si abbandonano al suo grembo. Questo mobile è assegnato, in modo proprio, ai dottori, come dice il Vangelo: Sulla cattedra di Mosé si sono assisi scribi e farisei (Mt 23, 2). Ricordiamo, poi, che essa può fungere [anche] da seggio giudiziario e da trono regale.

Dovremmo poi esaminare qui anche la successione delle parole usate, ed osservare come esse si adattino al caso di Adamo, a suo scapito: andò, quando si allontanò dal comando divino, stette, quando simpatizzò col peccato e credette, come un padrone tratto in inganno, di acquisire la scienza del bene e del male; si assise sulla cattedra di pestilenza, quando tramandò ai posteri come insegnamento un comportamento nocivo. Osserva quali termini appropriati abbia usato per definire le singole azioni: andò, stette, si assise. Questa figura retorica viene chiamata hipozeuxis [subordinazione], quando diverse parole sono assegnate in modo appropriate a singoli atti eseguiti. In ogni modo il salmista nega che il Signore Salvatore abbia fatto suo il comportamento proprio dei peccatori, come la stessa Verità afferma nel Vangelo: Ecco viene il principe di questo mondo, ma in me non può trovare nulla (Gv 14, 30).

2. Ma nella legge del Signore è la sua volontà. Non sarebbe stata una grande gloria l'essersi astenuto dal male, se non avesse potuto vantare anche azioni ottime, come fa sapere in un altro passo: allontanati dal male e fa il bene (Sal 36, 27). La Legge del Signore, chiaramente, è il santo comandamento che proibisce il male, ricevuta da Mosé sul monte Sinai, come è manifesto. Rimane in essa con tutta la propensione della mente, chi non commette peccato. Noi, infatti, sebbene per un certo tempo pensiamo ai precetti della legge, nel momento in cui pecchiamo la nostra volontà non rimane nella legge. Si fa riferimento, in modo conveniente, alla volontà affinché essa mostri la costanza di un esercizio perseverante, e mentre essa si mostra tenace, non è sperimentato il logoramento della fatica. Per evitare che tu consideri inefficace la volontà, parla del risultato della sua azione, perché non gli bastava soltanto volere il bene con la sola santa intenzione, se non saziava il suo desiderio con un impegno devoto e perseverante.

Qui si può trovare il sillogismo categorico che non possiamo tralasciare; essendo il fondamento del ragionamento, non poteva essere dimenticato se non per un atto di stoltezza. Ne darò la definizione e ne presenterò i membri di cui è composto, affinché coloro che non sono eruditi in queste cose, non alimentino qualche incertezza. Il sillogismo categorico è quello che i dialettici celebrano unanimemente con somma lode: è il discorso, nel quale, dopo che sono state poste delle premesse, ne derivano di necessità delle conseguenze, grazie ai principi già stabiliti. Da due affermazioni già esposte, ne ricava una conclusione, come ora risulta che venga fatto. La prima proposizione: Beato l'uomo la cui volontà è nella legge del Signore. La seconda proposizione: nessuno la cui volontà sia nella legge del Signore, si reca nel consiglio degli empi. Ne deriva una conclusione ovvia: nessun uomo beato si reca nel consiglio degli empi. Cerca di essere un diligente osservatore di questo in vari passi, poiché noi ci proponiamo di rilevarlo più raramente, essendo già molte le cose, attinte da varie materie e discipline, che ci siamo proposti di esporre insieme a questa spiegazione [dei Salmi].

E la sua legge medita giorno e notte. Dobbiamo comprendere ciò che afferma come secondo [elemento]: nella legge, e non sotto la legge, perché fu nella legge Colui che disprezzò il peccato. Gli altri mortali giustamente sono sotto la legge, perché sono inclinati dal peso dei peccati.

La legge viene chiamata così perché lega i nostri animi e custodisce i cattivi dentro le sue proibizioni. Egli meditava la legge non perché la leggeva, ma per la santità del suo intento, come troviamo esposto nel salmo trentanove: per fare la tua volontà, Dio mio, volli che la tua legge fosse nel mezzo del mio cuore (Sal 39, 9). Così con un solo salmo diamo fondamento a [due pensieri]: che sia lui il principio [costitutivo] del libro e che egli abbia sempre meditato i comandamenti del Signore. Nel salmo settantasette dichiara: Parlerò insegnamenti dall'inizio (Sal 77, 2). Quando dice: parlerò dall'inizio vuole forse evitare che la sua persona venga trascurata [nella spiegazione] di qualche versetto.

Da parte nostra, seguendo l'autorità di molti Padri, abbiamo dato voce alla Chiesa e al profeta, e abbiamo detto che si esprimono uomini molto retti ed anche peccatori, come mostreremo con evidenza nei vari passi, affinché la stessa varietà degli interventi possa piacere all'ascolto.

Giorno e notte. Questa composizione fa pensare ad una continuità del tempo. Se si vuole restare al senso letterale, non avrebbe alcun senso che qualcuno giorno e notte legga o predichi, mentre si dona al corpo il tempo di riposare e veniamo vinti dal bisogno di dormire. Piuttosto medita di continuo la legge del Signore colui che, compiendo tutto santamente, si comporta in ogni circostanza secondo una purezza celestiale. Questo in verità è certo che vale per Cristo Signore, sebbene, ad imitazione della sua santità, è chiaro che questo comando viene esteso anche alle sue membra, come afferma l'apostolo: qualunque cosa facciate, in parole ed opere, fate tutto per la gloria di Dio (1 Cor 10, 31). Anche in altri passi viene inculcata questa continuità come nel salmo cento diciotto ove leggiamo: Insegnami i tuoi comandamenti, Signore, e cercherò sempre i tuoi precetti.

I pagani hanno chiamato i giorni (dies) pensando alle loro divinità, cioè agli dei, e da essi hanno anche imparato a denominarli. La notte, invece, è stata chiamata così perché è svantaggiosa alla nostra vista e alle nostre azioni.

3. E sarà come un albero piantato lungo il corso delle acque. Da qui viene annunziata una felicità molto gloriosa e singolare; e dal momento che viene descritto un fatto mirabile, si parla dei suoi effetti con una similitudine grandiosa. Giustamente - io penso - il Signore Cristo è stato paragonato ad un albero fertile, a motivo della croce che accolse per la salvezza degli uomini. La croce, giustamente, viene chiamata albero di vita, per il fatto che proprio su di essa il Signore Cristo che è la nostra vita, fu appeso e al ladrone che confidò in essa fu detto: In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso (Lc 23, 43). Anzi anche oggi chi crede in essa, ottiene la vita eterna.

Oppure, come riferisce il racconto, era presente veramente nel paradiso un albero di vita immortale, se non fosse avvenuta una detestabile disobbedienza. Come avrebbe potuto introdursi la morte, se Adamo avesse mostrato un sentimento di devozione? Da questi fatti i santissimi Padri hanno fatto scaturire acqua mielata, dicendo: [Dio] diede il comandamento, per suscitare la libera decisione; stabilì la norma, per aumentare le nostre difese. Ma egli malauguratamente seguì l'avversario, e abbandonò disgraziatamente l'autore della vita. Allora, ingannato da una triste vicenda, perse la vita immortale di cui era in possesso e incorse nella morte, alla quale non era destinato.

Ma ritorniamo all'intento del paragone offerto, al fatto che dica, è piantato; in altre parole l'albero della croce è stato costituito da Dio, perché sempre restasse in vita e crescesse nella fede.

Questa figura viene chiamata parabola, che è un confronto tra cose dissimili nel loro genere. Così, in altri passi successivi, Cristo viene paragonato ad un monte, ad un leone o ad un verme.

Lungo il corso delle acque. Continua nel paragone della grazia. Infatti come l'acqua di questa terra, scorrendo, diventa vita per gli alberi rigogliosi, così l'acqua spirituale inonda il segno della croce, che è la salvezza delle anime fedeli, come si sa. Questa è l'acqua della quale si parla nel Vangelo: Se tu conoscessi chi è colui che ti chiede dell'acqua, l'avresti chiesta a lui, che ti avrebbe dato acqua viva (Gv 4, 10).

È vantaggioso per questo studio esaminare anche per quale motivo abbia detto: lungo il corso delle acque. Un'irrigazione sovrabbondante, infatti, avrebbe danneggiato l'albero, mentre un'eccessiva lontananza [dalla fonte] avrebbe provocato il suo inaridimento.

4. Darà frutto a suo tempo. Darà frutto, cioè costituirà le Chiese a tempo opportuno, quando riceveranno i sacramenti della beata incarnazione. Quale frutto meraviglioso! Ha saziato il genere umana con una fede dolcissima! Ora non volere gustare è commettere una colpa e, peggio ancora, è una vera prevaricazione astenersi da un cibo come questo. Frutto si dice da fruire. Osserva che ha detto darà: il termine presuppone che l'offerente sia dotato di razionalità e di volontà. Sebbene altri alberi portino frutto per un'energia spontanea, qui giustamente si dice che Egli dona, perché mostra di elargire premi eterni.

5. E la sua foglia non cadrà. La sua parola, per nessun motivo, si allontanerà dalla verità, ma come le foglie della palma rimangono sempre sull'albero, così anche queste [parole], rimanendo fisse nella verità, conservano [nel tempo] promesse sicure, come è detto anche nel Vangelo: Cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno (Mt 24, 15). Comprendi il motivo per cui le parole del Signore sono state paragonate alle foglie: come quelle proteggono i frutti, queste custodiscono le sue promesse.

Queste sono le acque salutari, le foglie salvifiche, a proposito delle quali afferma il beato Giovanni nell'Apocalisse : Mi mostrò un fiume di acqua viva limpido come un cristallo che usciva dal Trono e dall'Agnello; in mezzo alla sua piazza, e da una parte e dall'altra del fiume, [cresceva] un albero di vita che produce frutto per dodici volte, offre frutto ogni mese e le foglie di quell'albero sono destinate a guarire le nazioni (Ap. 22, 1-2).

E tutto ciò che fa gli riuscirà. In modo molto opportuno, [questo] viene detto in contrasto con l'azione operata da Adamo, dalla quale sono scaturite per noi grandi mali. Infatti come il Signore Cristo offrì al mondo la dolcezza della salvezza, così quello portò al genere umano l'amarezza della morte. Questa tipo di frase è composta di tre affermazioni: dichiara ciò che [Cristo] avrebbe evitato [di fare], riferisce ciò che avrebbe compiuto, in terzo luogo fa sapere quale beneficio avrebbe portato il frutto stesso. Questo viene detto in breve e con tono dimesso in relazione all'umiltà della carne assunta. Del resto se vuoi renderti conto della sua grandezza, ascolta l'Apostolo che dice: Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sottoterra (Fil 2,9). Anche nell'Apocalisse di Giovanni leggiamo: E vidi e udii la voce potente di molti angeli attorno al trono, di animali e anziani: era il loro numero dodici mila di dodicimila, migliaia di migliaia, che proclamavano a gran voce: L'Agnello che è stato immolato è degno di ricevere potenza, divinità, sapienza, forza e onore, gloria e benedizione. E ogni creatura che in cielo, in terra, sotto terra, nel mare e quanto è in esso, udii tutti proclamare: A Colui che siede in trono, e all'Agnello, sia benedizione, onore, gloria e potenza nei secoli dei secoli. E i quattro animali risposero: Amen. E gli anziani si prostrarono e adorarono, ecc. (Ap 5, 11 ss).

La divina Scrittura è piena di queste cose, poiché come nell'umanità assunta ci fu umiltà, così dopo la resurrezione del Signore Cristo viene proclamata la sua maestà. Passiamo ora agli altri versetti.

6. Non così, non così gli empi. Viene alla seconda parte [del salmo], dove ricorda ciò che dovranno soffrire empi e peccatori, affinché, avendo conosciuto i castighi a cui verranno sottoposti, respingiamo i loro atti. Questo schema si chiama paradigma. Lo schema è una figura retorica in cui le parole sono poste in ordine, dando un effetto di bellezza, mentre il paradigma è una narrazione che offre degli esempi, per esortare o atterrire. Esortò quando disse: beato l'uomo, e il resto; cercò di spaventare, quando affermò: Non così, non così gli empi. Si attua un progetto pedagogico molto efficace, quando si invita alla prosperità e si distoglie dall'avversità. Anche il Padre Agostino ribadisce tutto questo nei libri sulla Dottrina cristiana (IV, 4), dove insegna: Chi espone la Scrittura divina e la insegna, chi è il difensore della fede retta e l'estirpatore dell'errore, deve insegnare il bene e respingere il male. Questo tipo di provvedimento viene posto in esecuzione nei salmi quattordici, trentasei e centodieci: troviamo una separazione [tra gli uomini] nella comminazione del verdetto e poi sempre una magnificenza nel premio.

Dice dunque: Non così, non così gli empi… vale a dire: non sarà così per gli empi, come ho precisato sopra. Col ripeterla [due volte] mostrò la certezza dell'affermazione perché tu creda senza vacillare. Se cerchi un passo che confermi questo, ascolta l'Apocalisse di Giovanni che dichiara: E il diavolo che li seduceva fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, ove la bestia e il falso profeta, - questo può riferirsi a qualsiasi empio - venivano tormentati giorno e notte, nei secoli dei secoli (Ap 20, 9-10).

Come polvere spazzata dal vento sulla faccia della terra. Il paragone è assai aderente ai fatti. La polvere è il residuo della terra. L'uomo terreno, quando si gonfia al vento seduttore della superbia, dalla solidità della terra dei viventi, si sminuzza come polvere. A motivo della sua leggerezza non poté attenersi alla solidità dei comandamenti; giustamente, allora, viene chiamato polvere, perché è rivoltato come materia leggera dalle ventate dei vizi. Non pensiamo che questa pena gravissima sia stata paragonata alle sferzate dei venti, per il fatto che [tali colpi] trascinano, con impeti alterni, nell'aria celeste, i corpi molto leggeri. Il paragone vuole solo esprimere la facilità con cui avviene l'espulsione, non tratteggiare la durezza del giudizio.

La faccia della terra allude alla superficie del terreno, dove realmente si può depositare uno strato di polvere molto tenue. I greci la chiamano epifania, [una superficie] che presenta soltanto la dimensione della lunghezza e della larghezza. Questo [strato] si presenta in colori differenti, di diversa qualità; su di essa è possibile vedere, quanto può essere ammirato da occhi corporei.

7. Non sorgeranno gli empi nel giudizio. Empi sono coloro non confessano assolutamente la santa Trinità, per durezza di mente, né acconsentono, per quel che si vede, alle prescrizioni dell'Antico e del Nuovo Testamento. Oppure, come avverte l'apostolo: A parole confessano Dio ma nei fatti lo respingono (Tit 1, 16); costoro, non risorgeranno nel giudizio, perché sono già stati condannati per la loro infedeltà, come insegna il Signore nel Vangelo: Chi non crede nel Figlio è già condannato (Gv 3, 18). Infatti se risorgere nel giudizio significa dare ragione delle opere compiute, giustamente si dice che costoro non risorgeranno, perché è già evidente che sono stati condannati dalla sentenza divina. La fede cattolica insegna che tutti risorgeranno, come dice l'apostolo: Tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati (1 Cor 15, 51). Il giusto risorge per giudicare; il peccatore per essere giudicato; l'empio per essere punito, anche senza essere giudicato.

Né i peccatori nel consiglio dei giusti. Peccatori sono coloro che per la confessione di fede sono cristiani, ma, feriti da peccati meno gravi, si servono della preghiera del Signore, per liberarsi dal male. Empi sono coloro che, rifiutando il loro creatore, si sono macchiati da vari delitti, come [è il caso] dei bestemmiatori, degli impenitenti, degli idolatri, e di quelli implicati nei vizi capitali. Perciò sono due i tipi di peccatori: da una parte, quelli che rimangono nei loro crimini perché non offrono alcuna riparazione pacificatrice; dall'altra, quelli, invece, che abbandonano i loro peccati con la grazia della confessione, come leggiamo: Beato l'uomo al quale sono perdonate le colpe, e al quale sono rimessi i peccati (Sal 31, 4). Appartengono a questo numero anche i santi, perché nessuno è senza peccato, come insegna il beato apostolo Giovanni: Se diciamo che non abbiamo peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi (1 Gv 1, 8). Riguardo al primo gruppo di peccatori, egli attesta che non furono degni di essere salvati da alcuna pietà. Costoro non verranno affatto giudicati insieme ai giusti, perché il Signore nel testo evangelico promette il premio soltanto ai suoi fedeli.

Nel consiglio, ossia nel tribunale, poiché ogni processo regolare si celebra nel consiglio. Il termine consiglio [consilium], deriva da consultazione [consulendo]. Infatti nel testo precedente [l'espressione] consiglio degli empi è impropria: anch'essi credono di deliberare, sebbene sappiano di trattare tra loro ogni questione con propositi nefasti.

8. Perché il Signore conosce la via dei giusti e il cammino degli empi perisce. Dice che il Signore conosce la via dei buoni. Conferma che il progetto degli empi andrà in rovina, [ma parla] come se il Signore non conoscesse entrambi i cammini. Si tratta, tuttavia, di un'espressione allegorica: Dio conosce ciò che rimarrà in eterno; non conosce ciò che perirà. Egli stesso nel suo giudizio dirà ai peccatori: Non vi conosco (Mt 25, 12). Se, però, vuoi attenerti alla lettera, [ spiega come possa accadere] che non li conosca Colui che li ha creati. In modo simile è stato chiesto ad Adamo dopo il peccato: Adamo, dove sei? (Gen 3,9). Questo [ viene detto] non perché Dio non sapesse che egli si trovava nel paradiso, ma è rimproverato come indegno della conoscenza divina per il fatto che era caduto [in peccato].

E il cammino degli empi perisce. Sappiamo che la via dei giusti è il Signore, e che il cammino dei peccatori è il diavolo; questi certamente perirà, quando verrà condannato ad una pena eterna con i suoi seguaci. Si considera una via ciò per cui ogni passante può avanzare. Il cammino (iter) è ciò che deve essere rifatto una seconda volta (iterum), ciò che viene ripetuto nell'azione. Entrambi questi significati, però, possono cambiare, a seconda del senso dei passi. Infatti prima ha parlato di una via dei peccatori; in un altro salmo per i buoni è tracciato un cammino: E ci sarà là un cammino, nel quale mostrerò la salvezza di Dio (Sal 49, 23). Anche il profeta Isaia afferma: Darò un principio a Sion, e consolerò Gerusalemme nel cammino (Is 41, 27).

Ora facciamo un riepilogo [di questo componimento], come lo osservassimo in uno specchio, affinché risplenda per noi il volto bellissimo di tutto il salmo.

Conclusione

Tutto questo salmo tratta dell'impegno etico, e in relazione a questo, l'uomo retto è istruito, mentre il peccatore dal proposito scellerato, è minacciato. Non trascurare il fatto che Signore Cristo sia posto al principio dei numeri. Si tratta di un'unità speciale, semplice e perfetta, che non manca di nulla e rimane sempre in se stessa. Da questa sorgente, esce una moltitudine di numeri, ma ad essa fa sempre ritorno, sebbene si sia moltiplicata; senza di essa, nessuno potrebbe riuscire ad intraprendere un calcolo o a progredire in esso.

Giustamente Cristo viene posto in questo inizio della numerazione, perché come dice l'apostolo: da Lui, per Lui e in Lui sono tutte le cose (Rm 11, 36). I greci chiamano monade questa Trinità. Infatti se si tratta di una sostanza incorporea ed immutabile, allora questa si identifica con Dio; se è incorporea ma mutevole, allora corrisponde all'anima; se è corporea e mutevole, allora corrisponde al corpo. Questa monade di tale unione, come è stato detto detto, viene spiegata dai matematici. Ricorda, poi, che la monade, sebbene sia la sorgente e l'origine della numerazione, non va considerata affatto un numero. Solo ciò che, pur provenendo da un'unità, appare come molteplice, come insegna Nicomaco, soggiace a numerazione. Il numero infatti è un insieme di unità, oppure una raccolta di quantità emanata da unità. Ciò che diciamo è già supposto, come indicazione, dal nome stesso. Il numero, infatti, viene denominato così dalla numerosità. I nostri Padri non ci hanno ordinato di trascurare questa disciplina; è infatti vera ed immutabile, ed è presente in ogni creatura a misura della sua consistenza. Si legge infatti in Salomone: Dio ha fatto tutto è secondo misura, numero e peso (Sap 11, 21). A Lui penso che dobbiamo rivolgere il nostro sguardo, al quale, per mirabile disposizione, risalgono tutte le cose [da Lui] derivate.

Nel salmo primo viene descritta la vita terrena di Cristo; poi viene indicata in modo più allusivo l'onnipotente natura della sua divinità. In terzo luogo il profeta dichiara che si sono moltiplicate le nazioni che volevano annientarlo; in seguito sette salmi penitenziali purificano i cuori dei fedeli; più avanti ancora scorre un dramma [presentato] in immagini e in prefigurazioni e, in base a somiglianze di tipo allegorico, quasi tutte fanno riferimento al Signore Salvatore, come cercheremo di far rilevare nei luoghi opportuni. Dopo tutti questi aspetti, cantando le lodi di Cristo con una varietà straordinaria, non cessa fino alla fine di celebrare la sua santità. In questo modo dunque veniamo a conoscere tutte le cose che fanno riferimento a lui, e a causa di lui sono state raccolte.

Salmo 2

1. Salmo di Davide. È comprovato che in alcuni codici neppure questo salmo ha un titolo, per cui negli Atti degli apostoli, si legge [in un passo in cui viene citato]: … come è detto nel primo salmo: Perché le genti fremettero, ecc. Tuttavia, se comprenderai con intelligenza, non risulterà che ci sia una contraddizione. Si dice che [il versetto citato] è posto nel primo salmo, ma quello che dobbiamo considerare come il primo per l’iscrizione del titolo è lo stesso identico che appare come secondo in ordine di numerazione e primo per quanto riguarda il titolo.

In modo simile, si trovano moltissime affermazioni, le quali, sebbene prese alla lettera sembrino discordi tra loro, esaminate con maggior attenzione, risultano invece che sono concordanti, come avviene nel campo vastissimo della concordanza tra i Vangeli. [Il titolo] è stato accolto come autentico da tutte le Chiese, affinché la serie di titoli prendesse inizio opportunamente da qui, dove incomincia il rimprovero ai Giudei. Di conseguenza ci fu un motivo per cui il suo titolo fu trasferito dalla sua precedente posizione. Dal momento che abbia precisato per quale ragione il titolo abbia subito questo spostamento, ora, con l'aiuto di Dio, esponiamo il significato di ogni parola.

Il salmo è un inno, composto secondo una precisa regola metrica, il quale, a somiglianza dello strumento musicale di cui ho parlato, vuole indicarci la virtù superna. Davide poi, oltre al fatto di essere considerato come l'autore di tutta quest'opera, per ispirazione divina, viene menzionato in modo appropriato in alcuni passi [di questo libro]. È certo che l'interpretazione dei nomi, come ho spiegato nella prefazione, ci apre alla conoscenza di significati più profondi; atteniamoci allora a ciò che vollero tramandare gli interpreti dei nomi ebraici. Davide significa forte di braccio, oppure desiderabile, [denominazioni] che a nessuno sono attribuibili in modo più conveniente che a Cristo, il quale è veramente il potentissimo e colui che merita di essere cercato col più grande desiderio. Perciò qui in Davide dobbiamo vedere il Signore Cristo, e il profeta parla della sua passione. Anzi il Signore stesso pronuncerà [direttamente] la sua parola; e questo fatto si ripeterà assai spesso nei salmi successivi, a tal punto che quando troviamo Davide possiamo pensare a Cristo.

Infine per evitare che l'animo dei cristiani rimanga dubbioso a causa delle contese suscitate dagli eretici, mentre dovrebbe credere ad ogni verità in modo sincero e stabile, stabiliamo, in modo sintetico e in base all'autorità dei Padri, quale sia l'essenza del suo nome. Ascoltiamo il beato e dottissimo Agostino, il quale dichiara nella sua esposizione del vangelo di Giovanni (Tr. LXXVIII, 3, 4/10): Riconosciamo la duplice natura di Cristo, la divina, per la quale è uguale al Padre; l'umana, per la quale il Padre è [a lui] superiore; entrambe, poi, insieme, non sono due ma un solo Cristo, perché Dio non è quattro ma tre Persone; e per questo Cristo è Dio, con la sua anima razionale e la sua carne (Commento al Vangelo di Giovanni, 78, 3) . Riconosciuta questa verità, evitiamo con sicurezza venefici errori.

Divisione del salmo

La bella forma di questo salmo è composta da quattro sezioni. Nella prima il profeta parla dei Giudei a proposito della passione di Cristo. La seconda consta delle parole degli stessi insipienti Giudei. La terza è formata dalle parole del Signore Salvatore, riguardo al suo regno onnipotente e alla sua ineffabile generazione, nella misura possibile per la pochezza umana. Nella quarta, infine, parla il profeta stesso; ammonisce i popoli affinché accorino alla fede cristiana, una volta conosciuta la grandezza divina. Fa loro sapere che essi stanno per perire, come traviati dalla retta strada, se non apprenderanno la dottrina della religione cattolica, che è del tutto vera. Tale insegnamento [del resto] viene impartito anche da altri profeti con una predicazione appropriata.

Spiegazione del salmo

2. Perché le genti fremettero e i popoli pensarono cose vane? Questa figura [retorica] in greco si dice erotema, in latino, domanda. Essa può essere formulata in molti modi, ma per non dilungarmi, [dirò] che noi formuliamo una domanda quando vogliamo apprendere ciò che non conosciamo; è questo il caso che incontreremo in un salmo successivo: Quanti saranno i giorni del tuo servo? Quando farai giustizia dei miei persecutori (Sal 118, 84)?

Interroghiamo anche su cose che conosciamo, come in questo caso: Sono forse gli Dei dei popoli a inviare la pioggia? I cieli daranno acqua, se tu non vuoi? (Ger 14, 22). C'è anche un'interrogazione che ha lo scopo di punire, come quella che è posta qui; il profeta infatti minaccia i popoli, perché fremono contro il Signore Salvatore, sebbene non abbiano motivo di adirarsi. Il fremito è proprio degli animali, ed esso, a ragione, viene attribuito ai agli uomini adirati, quando, lasciata ogni razionalità, ardono di furore bestiale.

Poiché noi dovremmo di frequente servirci delle figure, è necessario che dall'inizio ne diamo una definizione, affinché, una volta precisata nelle sue caratteristiche, possano essere riconosciute facilmente. La figura è, come è dato di capire dal nome stesso, una formulazione del discorso lontanissima dall'uso più comune che agli occhi interiori appare sempre come qualcosa di caricato; stando alla tradizione degli antichi la possiamo chiamare ostentazione e apparenza. Giustamente il padre Agostino le pone tra le forme di locuzione.

Non ci meravigli il fatto che questo venga fatto riguardo ai giudei, poiché sembrano essere considerati parecchie volte come popoli e genti. Si legge infatti negli Atti degli Apostoli: convennero veramente in questa città contro il tuo santo Figlio, che hai unto, Erode e Pilato con le nazioni e i popoli d'Israele (4, 27).

Hanno meditato cose vane perché spesso ritornavano sulle Scritture divine senza ricavarne un frutto di comprensione. È stato profetato in innumerevoli passi, riguardo al Signore Salvatore, che il Messia sarebbe venuto, proprio colui che essi, commettendo un grave errore, non hanno riconosciuto come già venuto, in modo che ancora oggi sperano che venga. Giustamente hanno meditato cose vane coloro che non hanno potuto rendersi conto per nulla del suo avvento salvifico.

3. Assistettero i re della terra, e i principi si radunarono insieme contro il Signore e contro il suo Cristo. Assistettero, non allude alla loro presenza ma alla loro intenzione. Infatti la passione del Signore non è avvenuta davanti ai re. I re della terra stanno a significare quell'Erode, che fece uccidere i bambini allo scopo di perseguitare il Signore e l'altro Erode, suo nipote, che diede il consenso con Pilato all'uccisione del Salvatore. Giustamente dice che assistettero, perché approvandolo con le loro menti sacrileghe, compirono unanimi il medesimo delitto. Principi è riferito ai farisei. Questo termine talora significa i sovrani, talora i capi. È chiamato principe colui che ottiene le cose più ragguardevoli.

Si radunarono insieme, in un'unica volontà, non in un unico luogo di convegno: infatti leggiamo che essi hanno progettato questo delitto in diverse riunioni. Affinché, poi, tu comprenda come il Padre possa ricevere, l'oltraggio del Figlio, ha parlato di entrambi: Contro il Signore, cioè il Padre; contro il suo Cristo, cioè il Figlio, come egli stesso dice nel Vangelo: Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato (Gv 5, 23).

4. Spezziamo le loro catene. Queste sono parole degli insensati Giudei. Consideravano catene, quelle [norme] che piuttosto scioglievano dai peccati. Credettero di spezzare queste catene, se avessero potuto aggredire con volontà assassina il Maestro della legge e i suoi apostoli. Le loro, infatti, sono in riferimento a Cristo e ai suoi apostoli, perché nella formula del plurale evidentemente vengono condensate le regole del Signore.

Scuotiamo via da noi il loro giogo. Agirono in modo da continuare a meritarsi di essere paragonati a stolti giumenti, i quali non scuotono via da sé il giogo, se prima non si siano liberati dalle loro catene, ingannati del tutto da un desiderio alquanto vano. Infatti, mentre il giogo del Signore Salvatore è soave e il suo carico leggero (Mt 11, 30), considerarono insopportabile il suo dominio. Si affrettarono miseramente a scuotere via da sé, ciò che potevano sobbarcarsi e portare.

5. Chi abita i cieli, se ne ride di loro, e il Signore li schernirà. Qui per cieli si devono intendere gli uomini santi, come Egli stesso dirà in un altro passo: I cieli narrano la gloria di Dio (Sal 18, 2). Li scelse con grande intelligenza quali persone degne di essere ricordate, per umiliare in modo più efficace l'orgoglio e la malizia degli empi. Il riso e lo scherno sono presi dalle nostre abitudini. È chiaro che il Signore non ride con la milza, né atteggia il viso a smorfia; con la sua forza opera in modo spirituale, ciò che ha deciso.

Questa figura è chiamata in greco metonimia [cambiamento del nome], in latino trasnominatio, [la usiamo] tutte le volte in cui indichiamo la realtà di una cosa in modi diversi, con parole estranee e in senso metaforico. Giustamente il profeta dice che la perfidia dei giudei meritava irrisione, perché tentarono di produrre falsi testimoni contro la verità, perché vollero crocifiggere il Signore della gloria, perché suggellarono stoltamente gli antri del sepolcro del Cristo onnipotente che sarebbe risorto. Tanti pesanti delitti hanno operato in modo demenziale e vano contro la potenza del Signore.

6. Allora parla loro nella sua ira e nel suo furore li sgomenta. Affinché non pensiamo gli empi siano soltanto degni di derisione, ora li ricorda per minacciarli severamente. Ira e furore sono parole che hanno la stessa funzione delle precedenti [riso e irrisione]. Dio infatti giudica con tranquillità e rovescia le sorti conservando una compassione durevole: non si accende contro i malvagi per un sommovimento d'animo improvviso ma sospende le occasioni della sua grazia. È chiamata ira il contraccambio reso ai peccatori. La divinità beata non è soggetta a cambiamenti ma si conserva sempre in se stessa, eterna e immobile. La mutazione appartiene piuttosto all'umana debolezza, che passa dalla letizia alla tristezza, dalla pacatezza all'ira, dalla benevolenza all'avversione.

Allora parla, sta a significare quel momento in cui verrà a giudicare il mondo. Giustamente chiama ira e furore [l'atto] con cui rende ai peccatori ostinati tutto ciò che corrisponde ai loro meriti.

7. Io sono costituito sovrano da lui, sul Sion suo monte santo. Finora il profeta aveva parlato lui stesso, ora, utilizzando una figura, chiamata dai greci exallage [scambio], e dai latini permutatio, riferisce il discorso del Signore Salvatore, che attesta di essere stato costituito Re dal Padre. Questo è scritto in riferimento a lui anche nel titolo della passione: Re dei Giudei (Gv 19, 19). Neppure Pilato osò eliminarlo, sebbene fosse colui che lo aveva consegnato ai giudei perché fosse crocifisso. Questo [titolo] anche i Magi lo hanno riconosciuto con l'atto stesso di cercarlo: Dov'è nato il Re dei giudei? (Mt 2, 2).

Segue sul Sion mio monte santo. Questo nome racchiude molti significati. A volte significa la Chiesa, a volte lo stesso Signore Salvatore, a volte la Gerusalemme futura. Poiché questo termine è ripetuto spesso, conviene meglio esplicitarne il senso, con congrue giustificazioni, nel passo particolare [in cui appare]. In questo caso Sion significa la Chiesa, chiamata monte per la grandezza dell'onore e la stabilità della fede. Sion in ebraico significa osservatorio, [un'immagine ] che si presta bene per la Chiesa la quale, rafforzata com'è nella speranza futura, contempla le promesse del Signore con la capacità anticipatrice della mente; si gloria non tanto dei presenti, quanto dei benefici futuri. Giustamente la chiesa viene chiamata Sion, perché la sua visione sta tutta nella sua potenza contemplativa. Su di essa Cristo è veramente Re, perché è lui che la regge e la governa.

Annunzierò il decreto del Signore. Ciò avviene con il messaggio del Vangelo, che porta a compimento, con la sua manifestazione, la predicazione dei profeti.

8. Il Signore mi disse: Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato. Il Signore allude al Padre, ma anch'egli è Signore, come dirà nel salmo cento nove: Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra (Sal 109, 1). Prestiamo attenzione alla dichiarazione fatta: mi disse, Tu sei mio Figlio; proprio le stesse parole che gli avrebbe rivolto dopo il Battesimo: questi è il Figlio mio diletto, nel quale mi sono compiaciuto (Mt 3, 17). Affinché tu comprendessi che Cristo è una sola persona, cioè il Verbo di Dio fatto carne, aggiunse: Oggi ti ho generato.

Questo [onore] non lo ha in comune con altri, ma tutto è esclusivo del Figlio Unigenito, poiché solo lui avrebbe potuto designare e ribadire come creatore delle cose. Dicendo oggi, manifesta la coeternità della sua maestà. L'oggi, presso Dio, non ha alcun principio né alcuna fine. Non è né presente, né passato, né futuro; sempre rimane, sempre è; e tutto quanto avrà detto, quello sarà sempre nell'oggi, come Egli nella Genesi ha ordinato a Mosé di riferire a suo riguardo: va' e annunzia ai figli d'Israele: Io sono Colui che sono; e Colui che è mi ha mandato a voi (Es 3, 14). Di conseguenza con un termine che ha relazione col presente ha voluto indicare la sua divinità. Sappiamo che è caratteristico della Scrittura divina alludere all'eternità con l'uso del tempo presente, chiamato oggi.

Ti ho generato, significa quella nascita della quale Isaia ha detto: La sua generazione chi potrà narrarla? (Is 53, 8). Luce da Luce, Onnipotente da Onnipotente, Dio vero da Dio vero: dal quale, nel quale e per il quale tutto [esiste] (Rm 11, 36). Di lui parla l'Apostolo nella lettera agli Ebrei: Splendore della gloria, impronta della sua sostanza, sostiene tutto con la sua parola; dopo aver compiuto l'espiazione dei peccati, siede alla destra della maestà nei cieli: tanto superiore agli angeli, quanto migliore del loro è il nome che ha ereditato. A quale degli angeli ha detto: tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato? (Eb 1, 3-5), e tutto il resto, che quel testo espone a proposito sulla grandezza del Signore Cristo.

Perciò cessino le vane dispute, e taccia la perfidia degli insegnamenti degli ariani. Questo la fede cattolica, questo una mente sana comprende: l'Unigenito Figlio di Dio non può essere separato dal Padre, né per natura, né per il tempo, né per la potenza. È un pregio di quest'opera esaminare in quale maniera in questi due versetti per mezzo delle parole del Padre abbia voluto dichiarare agli uomini ciò che Egli è. Infatti non poteva far giungere a ciò che gli è proprio sostanzialmente [stabilendo] il genere e le differenze, un'astrazione che è possibile far valere per le creature, più che per il Creatore. Infatti in che modo sarebbe stato possibile trovare un genere superiore alla sua natura, mentre egli è il Creatore di tutto? Di conseguenza la definizione che lo riguarda é quella definizione che viene detta sostanziale, che, facendo astrazione delle differenze, raggiunge ciò che è proprio. In questo caso non si può parlare di [definizione] sostanziale, poiché nessuno può essere in grado di comprendere quale sia la sostanza di Dio. È possibile, tuttavia, come qualcuno ha creduto opportuno pensare, definire Dio in tal modo: Dio è una sostanza incorporea, semplice ed immutabile. Ora esaminiamo molto attentamente le parti di questa definizione. Afferma per primo: sono stato stabilito re da Lui. Ma anche i re della terra sono stabiliti da Dio. Aggiunge, sopra Sion il suo santo monte, annunciando il comando del Signore. Tuttavia anche i profeti, anche i predicatori della Chiesa sono stati scelti. Prosegue ancora: Il Signore mi disse: Tu sei mio Figlio: anche Israele è chiamato figlio, come nell'Esodo viene detto al Faraone: ti ho ordinato: lascia partire Israele, il mio figlio, e non hai voluto (Es 4, 23). Non c'è dunque ancora [alcun carattere proprio] che possa designare con evidenza la persona dell'Unigenito Figlio. Allora viene aggiunto: oggi ti ho generato, [un discorso] che, come è provato, non viene rivolto a nessun altro; lui soltanto è stato generato al di fuori del tempo, per mezzo del quale l'universo è stato creato. La scienza secolare ha attribuito questa definizione, vera e bellissima, alla propria scuola, definendola di carattere sostanziale, sopra la quale poteva essere trovato un altro genere.

9. Chiedi a me e ti darò le genti come tua eredità. Questo è detto a motivo dell'abito e della forma servile, per i quali il Figlio è della Vergine. Qualsiasi cosa Cristo abbia ricevuto nel tempo, acquistò ciò che non aveva in quanto era un uomo. In questo passo gli viene comandato di chiedere a motivo della sua natura inferiore, affinché possieda ciò che avrà ricevuto. Infatti, quanto alla potenza del Verbo, tutto ciò che possiede il Padre, allo stesso modo, lo possiede anche il Figlio; né lui deve chiedere ciò che nel contempo conosce di possedere già.

Le genti rappresentano le nazioni diffuse in tutto il mondo, che la parentela coglie come distinte e separate. Una gente viene chiamata così dal genere.

Segue tua eredità. Dicendo tua, manifesta quella natura in Cristo di perfetta divinità. Infatti il fatto stesso che dica tua, dichiara di riferirsi all'incarnazione del Verbo, affinché non si pensi che esista una qualche divisione, quando tutto è posseduto da una sola maestà, come egli stesso dichiara nel Vangelo: Tutto ciò che il Padre possiede è mio, tutto ciò che ha il Padre mi appartiene (Gv 16, 15). Eredità deriva da heros, cioè da padrone, poiché in essa domina con libero potere.

E in tuo possesso i confini della terra. Qui si rende noto che tutte le genti avrebbero creduto nel nome di Cristo, per mezzo del quale il mondo, liberato dalla superstizione, è stato riconciliato con Dio. Infatti anche qui chiama tuo possesso, ciò che ricevette nella sua umanità, [che è] quanto da sempre possedeva nella sua divinità: alla sua maestà non poteva essere dato ciò che già aveva.

Si chiama confine, come alcuni stabilirono, una pietra che è inferiore a tre piedi. Non credo che si debbano trascurare [nel commento] i confini della terra. Confini della terra sono i termini che cingono l'elemento terrestre e ne determinano l'estremità, così da inglobare non solo lo spazio terrestre ma anche la sostanza diffusa di tutta l'aria, e la pienezza di tutte le creature. Come lui stesso nel Vangelo ha compendiato tutto brevemente, dicendo: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra (Mt 28, 18), e l'apostolo: affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, sulla terra e sottoterra (Fil 2, 10).

10. Li reggerai con una verga di ferro. Viene descritta la sua azione abituale alla maniera di un regno. Se vorrai attenerti al senso letterale, ti sarà di scarsa utilità sentire che ci sono cose che sono spezzate e frantumate. Osserva, però, dapprima ciò che dichiara: li reggerai, per eliminare il sospetto che egli eserciti un potere tirannico. I suoi sudditi sono coloro che giungono alla salvezza. La verga significa il potere regale con la quale promette ai peccatori il contraccambio della sua punizione. [È] di ferro, non perché Dio adoperi un bastone metallico, ma [perché] con la durezza del ferro viene tratteggiato il rigore della sua giustizia. Questa è la verga di cui si parlerà nel salmo quarantaquattro: la tua verga è retta, la verga del tuo regno (44, 7). Quello che fa con questo bastone, lo spiega nel seguito del discorso: questa verga, frantuma per la vita, questo bastone custodisce i deboli, questo scettro restituisce i morti alla vita. La chiama verga secondo l'uso degli uomini, perché egli regna con la sua potenza e non lascia che quelli che vi si appoggiano, cadano a terra.

E come vaso di argilla li frantumerai. In altre parole, attraverso l'impegno della conversione, frantuma in loro le bramosie terrene e la vita dell'uomo vecchio simile al fango. Osserva in questi paragoni, come egli abbia espresso in modo egregio i motivi di questo fatto nei particolari verbi usati. Ha denominato verga di ferro il potere del Signore; vaso di argilla, i popoli superbi, [ un vaso] che, non appena sia stato percosso, si frantuma in tanti cocci piccolissimi. In modo appropriato il peccatore è stato paragonato ad un vaso di fango, perché si rompe facilmente e mostra un'esistenza fangosa. Ma poi viene ripristinato in meglio quando, con l'aiuto della grazia divina, viene trasformato in un uomo spirituale.

11. E ora sovrani, siate saggi. Viene alla terza parte [del salmo], nella quale ormai il profeta, dopo aver manifestato gli avvenimenti segreti più terribili, invita il genere umano ad obbedire umilmente al Creatore. Qui si rivela una forma di discorso assai bella, quella conduce ad una decisione. Non appena ha fatto stupire i cuori dei mortali, facendo loro conoscere il mistero, si tramuta in un persuasore molto salutare e necessario, affinché essi servano in verità al Signore con timore e tremore, mettendo innanzi, [a cominciare] dall'utile e dall'onesto, ciò che nelle decisioni ha moltissimo valore, il compiere prontamente le cose dette. È utile infatti: affinché il Signore non si adiri e perdiate la via retta. È onesto: Beati coloro che confidano in lui. Così ho concluso, con un'analisi completa, la spiegazione della forma retorica della deliberazione. Ritorniamo, adesso, all'analisi del testo.

Sono re coloro che dominano i vizi, quelli che riescono, con l'aiuto di Dio a capire e a mettere in pratica queste cose. Infatti nei re non dobbiamo sempre vedere quelli che si vestono di porpora. Appartengono ai re anche quelli che conducono una vita da semplici cittadini, come insegna l'apostolo: Ormai senza di noi siete diventati re, e magari regnaste, così che anche noi potremmo regnare con voi (1 Cor 4, 8).

Erudite, o giudici della terra. Erudire significa istruire. Infatti il nome stesso indica la conoscenza [appena] appresa: il nuovo viene considerato inesperto [rude]. L'uomo dirozzato, quasi sollevato dalla sua inesperienza, separato dalla ignoranza, viene posto nell'ambito della scienza. Questo viene attribuito in modo opportuno a coloro che hanno domato i peccati della carne. Costoro, infatti, giudicano sapientemente la terra, quando, repressi i vizi, impongono ai loro corpi i precetti del Signore, mediante la sua grazia. La terra è chiamata così da calcare, poiché viene calpestata dai passi dei viandanti.

12. Servite Dio con timore. Un avvertimento breve e completo, per il quale veniamo indotti a servire il Signore Dio con un timore pervaso d'amore. Come un atteggiamento di presunzione negligente favorisce la colpa, così un timore encomiabile esclude sempre il peccato. E affinché il servizio di Dio non fosse considerato duro e triste, ha aggiunto:

Esultate con timore davanti a Lui. Il timore del Signore non provoca tristezza ma gioia; Colui che ci rende beati, ci fa anche santi. E ancora, affinché questa esultanza non ci faccia negligenti, aggiunge, con timore; associati insieme [gioia e timore] esprimono in modo adeguato la riverenza religiosa.

13. Apprendete la disciplina, fino a quando il Signore non si adiri e voi deviate dalla strada. Magnifica esortazione! Questo apprendete la disciplina, preannuncia la difesa [offerta] da uno scudo contro i pericoli dei vizi. L'utilità di questo fatto meraviglioso è precisata poi dal profeta quando dice: fino a quando il Signore non si adiri e voi deviate dalla strada. Dice fino a quando a motivo della pazienza usata dal Signore, che sopporta a lungo i trasgressori. E voi deviate dalla strada, ossia dal re celeste Cristo che è Via per coloro che camminano rettamente verso la vita; [che è] Guida dei viandanti, Percorso per coloro che si affrettano verso la beatitudine; come dichiara egli stesso nel Vangelo: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). È via per l'incarnazione, nella quale ha offerto l'esempio di un comportamento buono; verità, perché sarà il giudice; vita perché è Dio.

14. In breve si accende la sua ira. È usata l'immagine dell'incendio; esso, tanto più divampa, quanto più consistente è il combustibile. In breve, disse, perché, appena ha deciso, passa all'azione. In lui non c'è differenza tra la deliberazione e l'azione, ma quello che decide, lo esegue simultaneamente. Osserva come sopra lo abbia presentato, in questo mondo, nell'atto di sopportare [col dire]: fino a quando. Parlando del giudizio, invece, ha precisato che avverrà in breve; così in un passo viene annunziata la misericordia dell'Onnipotente e in un altro la sua potenza. In quel giudizio non ci sarà da compiere un esame dei singoli uomini, ad uno ad uno, ma, con una parola istantanea, tutti verranno giudicati nello stesso momento, così come avvenne alla creazione. È messa a proposito l'espressione: quando divampa; con essa viene proclamata la fine di una grande pazienza, oltre alla quale a nessuno è concesso di sperare in qualcosa.

Beati quelli che confidano in lui. Un finale appropriato, dopo che è stato spiegato a lungo il termine al quale ognuno si deve affrettare. Confidare in lui infatti è già ricevere un premio, perché questa fiducia viene alimentata in noi dalla grazia, come afferma l'apostolo: da lui viene ogni volere ed operare (Fil 2, 13).

Conclusione del salmo

Ora, completata la spiegazione, riportiamo brevemente al centro [dell'attenzione], il salmo, ricco di sacramenti celesti, affinché sia colta sua qualità [essenziale], una volta che siamo stati in grado di comprendere [il significato] delle sue parti. Guardiamo il salmista, [vediamo] quanto sia adorno della grazia della divinità. Prima [della sua venuta] annunciò la parola del Signore, di nuovo, dopo di essa, ne riprese la proclamazione. Nell'anticiparla è stato profeta, nel diffonderla è stato un apostolo: predisse con fede integra le cose future, e continuando nel suo ufficio, echeggiò [il vangelo] con piena verità. Il Signore stesso, poi, dal centro, come rimbombando dal cielo, manifestò a noi gli arcani della sua potenza, affinché potessimo apprendere, in vista della nostra salvezza, sia la gloria della sua divinità, sia i misteri della sua incarnazione a nostro vantaggio.

In relazione, poi, a questo numero due, che è composto da due monadi, [osserviamo questo:] nell'unica persona del Signore Cristo sono poste due nature, senza confusione tra esse e in pieno rispetto dell'integrità di ognuna. Di queste [due nature], una regna, e l'altra serve; la prima ha creato, la seconda è stata creata; perciò la prima, per la quale ha potuto assumere [la nostra umanità], è esente da sofferenza, mentre la seconda, che è stata assunta, è sottoposta alla sofferenza. Infatti, come avvertono i Padri, dobbiamo assegnare le sofferenze alla carne, i miracoli alla divinità; dobbiamo discernere con l'intelletto le nature ed evitare gli errori colpevoli. La divinità ha stretto a sé l'umanità in modo da non confondersi con l'umanità, cosicché l'una e l'altra permangono unite insieme, senza essere mescolate.

Dopo la resurrezione, sebbene l'umiltà dell'incarnazione sia stata glorificata, tuttavia egli rimase veramente nella sua umanità. Da Risorto, infatti, ha detto all'apostolo Tommaso: Stendi la tua mano e osserva, uno spirito non ha carne ed ossa, come vedi che io ho (Gv 20, 27); ha preso e mangiato una porzione di pesce e un favo di miele (Lc 24, 42); negli Atti degli Apostoli leggiamo: Ritornerà allo stesso modo con cui l'avete visto salire al cielo (At 1, 11); e anche il profeta annuncia in riferimento ai peccatori, che non hanno voluto contemplare la sua maestà: Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto (Zc 12, 10); tale visione è concessa soltanto ai beati, come afferma il Vangelo: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5, 8). È molto esiziale non credere che le due nature continuino a sussistere in Cristo, in modo integro, dal momento che la Verità stessa, con molteplici esempi, lo ha voluto annunciare a suo riguardo.

Questo [insegnamento] è stato, poi, riaffermato dal padre Atanasio d'Alessandria, da Ilario di Poitiers, da Ambrogio di Milano, da Agostino e Girolamo, da Cirillo e da molti altri Padri, per svellere dalle fondamenta la possibilità di riprendere una inutile controversia.

Questo [insegnamento], infine, fu decretato e stabilito da Papa Leone, in unità col santo concilio di Calcedonia: chi vuole essere cattolico deve confessare un solo Cristo, da due nature e in due nature, perfettamente unite nella loro integrità. Se teniamo presente questo nella nostra mente, con l'aiuto di Dio, camminiamo in permanenza nelle norme della Chiesa.

SALMO 3

1. Salmo di Davide quando fuggiva dal cospetto del figlio Assalonne. Assalonne, mentre stava inseguendo crudelmente il padre Davide, trascinato dall'impeto della mula nel fitto di un querceto, rimase ben sospeso in aria, poiché s'era impigliato col collo in alcuni rami. [Abbiamo qui] una prefigurazione del traditore del Signore: Giuda concluse la sua vita con un laccio attorno al collo, mentre il persecutore di David spirò soffocato.

In base alle attestazioni riportate dalla storia dei Re, questo è posteriore, di fatto, al salmo cinquanta: infatti, dopo aver commesso il peccato di adulterio e di omicidio, come sappiamo, gli si scatenò contro la persecuzione del figlio Assalonne; ma è per il suo contenuto salvifico, che questo salmo è stato reputato adatto a formare questo numero. Era opportuno che venisse per terzo perché preannuncia la potenza della Trinità Santa e i misteri della risurrezione del terzo giorno.

La liberazione di Davide è un segno della risurrezione del Signore e l'animo dei cristiani, corroborato da questi esempi, si rafforza nella costanza contro le avversità. Abbiamo un ulteriore esempio [di spostamento anche] in quest'altro caso: l'Ottateuco viene posto prima di Giobbe, sebbene si sappia che Mosé sia venuto molti anni dopo.

La Bibbia è stata ordinata, per lo più, non in base alla successione cronologica degli eventi ma secondo la qualità dell'insegnamento esposto.

Ricorda che ci sono altri salmi che parlano brevemente della passione e risurrezione del Signore; altri ancora, la annunziano in modo più preciso e più chiaro, ma il [salmo] presente detiene il primato, perché ne parla in modo sintetico.

Divisione del salmo

Tutto questo Salmo preannunzia in modo appropriato la figura del Cristo Signore. La sua persona è costituita dalla forza dell'onnipotente divinità e dall'umiltà dell'umanità assunta, sussistente non per una mescolanza confusa ma per un'armonia invisibile.

Nella prima parte Egli si rivolge al Padre, criticando aspramente i persecutori che proferivano parole empie contro di lui. Nella seconda parte, istruisce il popolo fedele, affinché non abbia timore della morte, confortato dall'esempio del suo Creatore nella speranza di una risurrezione più che certa.

Spiegazione del salmo

2. Signore, quanto si sono moltiplicati coloro che mi perseguitano? È un inizio simile a quello del salmo secondo. Là, tuttavia, si trattava dell'interrogativo di uno che stava rimproverando, mentre qui [il protagonista] si meraviglia che i popoli si siano sollevati contro di lui, poiché è consapevole di essere venuto allo scopo di salvarli. Dicendo, mi perseguitano, mostra di addolorarsi della loro enorme cecità, dal momenti che respingono la loro salvezza con una decisione ostinata, come verrà detto nel salmo trentaquattro: Mi rendevano male in cambio del bene, desolazione alla mia anima (Sal 34, 12).

3. Molti insorgono contro di me, molti dicono alla mia anima. Furono molti in quanto perfino dal numero dei discepoli si aggregò a loro il traditore Giuda. E, poiché viene ripetuto spesso, [con] molti, viene resa manifesta l'amara moltitudine degli empi, i quali mai si poterono sfoltire dalla compattezza dei cospiratori. Questa figura retorica è detta epembasis: la ripetizione delle parole di una numerazione, fatta di proposit, per amplificare l'ampiezza della cosa di cui si tratta.

Neppure Dio lo salva. Questo discorso richiama gli insulti dei giudei che dicevano: Ha salvato altri, ma non ha potuto salvare se stesso (Mt 27, 42). Credevano che il Padre non amasse il Figlio, visto che permetteva venisse ucciso nella sua carne. Stolto discorso di una turba abominevole, [che pensava] perché la redenzione del mondo doveva dipendere dalla debolezza? In realtà la morte insaziabile non poteva essere vinta in altro modo, se la vita non avesse infranto le porte della sua tirannia. Le tenebre, infatti, non possono perdurare, qualora vengano diradate dall'incedere della luce.

4. Ma tu Signore sei mia difesa, mia gloria e sollevi il mio capo. Mia difesa è in riferimento alla forma del servo; l'incarnazione del Verbo è l'assunzione dell'umanità. La gloria sua e l'esaltazione del suo capo corrisponde alla carne, assunta dal Verbo onnipotente, affinché la natura divina e quella umana formassero un'unica persona, senza alcuna confusione. Questo contribuisce a demolire la posizione dei Pelagiani, i quali credono che l'uomo, contando su si sé, possa fare qualcosa di bene. Mi domando, infatti, chi è capace, senza il soccorso della generosità divina, di fare il bene, quando la natura umana per grazia , per la quale è unita a Dio, è collocata alla destra del Padre? Questo viene spiegato dal beato Agostino nell'Enchiridion (Cap. 35), in modo ampio e utile, come sa fare di solito.

È adoperato qui la figura bellissima, detta in greco, auxesis [accrescimento], la quale, con l'aggiunta di alcuni nomi ad alcune parti [della preposizione], riesce a intensificare l'effetto. Dice infatti: Ma tu Signore sei mia difesa, mia gloria e sollevi il mio capo. L'Apostolo riprende questo insegnamento, dicendo: Chi ci separerà dall'amore di Cristo? La tribolazione, l'angustia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada (Rm 8, 35), ecc.?

È simile ad essa l'altra figura retorica chiamata climax, in latino graduazione: [essa compare] quando, a partire da alcuni livelli, sia nella lode come nel disprezzo, si opera un continuo aumento. Tra le due figure si pone questa differenza: l'auxesis, procura un aumento della cosa, senza alcuna ripetizione dello stesso termine; nel climax, invece, è necessario che l'ultima parola, posta nel primo membro della frase, venga ripetuta assolutamente nel membro successivo, come fa l'Apostolo: Sapendo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza la virtù provata, la virtù provata la speranza, la speranza poi non delude (Rm 5, 4-5).

5. Con la mia voce ho gridato al Signore, e mi ha esaudito dal suo santo monte. Quando ha detto, mia, rivela la purezza santissima della sua preghiera. Nessuna immagine della fantasia poteva portare detrimento a quella integrità [di orazione], come viene sottratta per lo più agli altri mortali a causa della debolezza della carne. Ciò che afferma: Con la mia voce ho gridato al Signore, vieneripreso dal Vangelo, là dove il Figlio prega: Padre, glorifica il Figlio tuo (Gv 17, 1). Infatti quanto hadetto mia, include ciò che egli ha detto per mezzo dei profeti. Quello che viene in seguito, e mi ha esaudito dal suo santo monte, anche questo riappare nel Vangelo, là dove una voce si fece udire a lui: l'ho glorificato e ancora lo glorificherò (Gv 12, 29). In molti passi, il monte giustamente significa, lo stesso Signore, i suoi santi e la Chiesa. Nel caso presente si deve osservare l'espressione dal monte, ossia dalla sommità elevatissima della divinità, come dice anche un altro salmo: la tua giustizia è come il monte di Dio (Sal 35, 7). Era giusto che la natura dell'umanità assunta, che sulla terra aveva mostrato un esempio di singolare pazienza, ricevesse in cielo il dominio su tutte le creature.

6. Ho dormito e mi sono riposato, mi sono risvegliato perché il Signore mi ha sostenuto. Giunge alla seconda parte [del salmo], nella quale vengono corroborati i cuori dubbiosi, affinché credano ben presto che sarebbe risorto, colui che avrebbero visto crocifisso da mani empie. Ho dormito, dice, perché è risorto molto presto; [questo è simile] a ciò che avviene nel nostro dormire, dove non incontriamo il termine della vita, ma un riposo temporaneo.

E mi sono riposato, indica una pausa vissuta in sicurezza; non come accade agli empi che giacciono nella morte, inquietati come sono dalla consapevolezza dei peccati [commessi da loro], ma questo riposo fu un beato assopirsi di quel sacro corpo.

Risvegliarsi, poi, è il risorgere molto presto; col quale la carne, abbandonata la mortalità, ricevette l'immortalità e la gloria in eterno. Precisa poi il motivo del suo risvegliarsi: poiché il Signore mi ha sostenuto. La natura umana non poteva risorgere da se stessa, in virtù propria, se la potenza divina non l'avesse prese, come dice egli stesso: Ho il potere di dare la mia vita e il potere di riprenderla (Gv 10, 13).

7. Non temerò le migliaia di genti che mi circondano. Non poteva temere un popolo iniquo, che era posto in custodia alla sua divinità. È scritto nel Vangelo che nella sua passione è stato circondato da una moltitudine di gente. Infatti ciò che dice: non temerò, non significa che non sarebbe morto, ma che non avrebbe temuto la morte, poiché sapeva anticipatamente che sarebbe stata di tre giorni e che avrebbe giovato al mondo.

8. Sorgi, Signore; salvami, o Dio mio: poiché tu hai percosso tutti coloro che mi avversavano senza motivo. Dio non viene riscosso come se dormisse o si riposasse, ma è costume della Scrittura, per esprimere il motivo [di un fatto], affermare qualcosa di Dio, mediante un'immagine tropologica, adeguandosi alla nostra abitudine. Il tropo è un modo del dire che, dall'ambito al quale appartiene, viene trasferito in un altro ambito che non è il suo. Salvami, Dio mio. Allude alla risurrezione; non poteva accettare di soffrire il tramonto della vita, colui che doveva soccorrere la nostra umanità. Coloro che mi avversano, questo non riguarda solo la mia morte, ma anche le proposizioni ereticali; sono quelli che si oppongono alle norme della Chiesa con dottrine inique, senza un esame attento della verità. E giustamente costoro vengo puniti con la cecità del loro intelletto, perché hanno deciso di abbandonarsi a desideri perversi.

Hai spezzato i denti dei peccatori. Vale a dire di coloro che calunniano con parole mordaci, che parlano della potenza divina con dottrine esecrabili. Il termine denti (dentes) deriva dal verbo sottrarre (demendo). Bene a proposito, allora, le lingue dei detrattori sono chiamate denti. Come i denti eliminano alcuni bocconi di cibo, così costoro corrodono la buona fama delle persone con le loro denigrazioni. [Tutto questo è vero], sebbene ciò possa adattarsi bene anche ai giudei, i quali dicevano: Se è il re dei giudei, scenda ora dalla croce e gli crederemo (Mt 27, 42). Hai spezzato, cioè hai ridotto al nulla. Infatti veramente si sono spezzati, quando lo riconobbero nella gloria della risurrezione, colui che vollero uccidere, per l'aspetto misero della sua umanità.

9. Del Signore è la salvezza, sul suo popolo la tua benedizione. Viene proferita questa sentenza contro quelli che, come ha detto sopra, ebbero i denti spezzati. Dicendo, infatti, del Signore è la salvezza, getta in costernazione coloro che avevano pensato di distruggere, con una presunzione miserevole, la salvezza di Cristo, come si trattasse di un uomo appartenente alla terra. Perché, o empi, travagliate inutilmente? Come potete eliminare la vita eterna o privare il Salvatore della sua salvezza? Sul tuo popolo la tua benedizione. In una sola frase sintetizza sia ciò che gli uomini devono credere sia quanto Egli assicura che possano ricevere da lui.

Conclusione

Il salmo è breve ma annulla la enorme malvagità dei pagani, i quali pensano che la gloria della maestà superna non avrebbe mai potuto abbassarsi all'umiltà della passione. [Annulla] gli insipienti, le cui convinzioni vengono confuse [dal fatto della redenzione], [insipienti] dai quali il mondo è consapevole di essere liberato, come dice l'AP: Cristo Gesù è venuto in questo mondo a salvare i peccatori, dei quali il primo sono io (1 Tm 1, 15).

Ora consideriamo in quale modo ci venga offerto un vero progetto di filosofia celeste: il primo salmo parlando della [filosofia] morale di Cristo Signore, il secondo di quella naturale, cioè della [sua] sostanza [composta] da umanità e divinità e il terzo della sua risurrezione, contiene in qualche modo un aspetto profetico, una prospettiva da cui è percorsa tutta la Scrittura. Per questo motivo anche il patriarca Isacco scavò tre pozzi, manifestando [con questo gesto] che i precetti del Signore sono avvolti da un triplice significato. La Sapienza offre lo stesso insegnamento (Pr 22, 20) affinché fissiamo in noi, nei nostri cuori, queste sue parole ed anche tutte le altre, con un triplice [esame].

Nei salmi successivi potrai individuare facilmente questi tre aspetti, o mescolati tra essi e posti ad uno ad uno, in modo che il lettore accorto non possa non riconoscerli. Non pretendere che noi te li segnaliamo ogni volta, perché dobbiamo trattare molti altri argomenti.

Infine, il numero di questo salmo allude alla santa Trinità, la quale, sebbene possegga una natura caratterizzata da indivisibile unità, è manifesto che essa è costituita, tuttavia, da tre persone.

Salmo 4

1. Per la fine. Salmo di Davide. Cantico. Osserviamo accuratamente, ad una ad una, che cosa ci fanno conoscere queste espressioni che nella prefazione abbiamo accreditato come veri titoli dei salmi. Fine non significa solo la dissoluzione di una cosa, ma anche la perfezione delle realtà spirituali. Infatti, come dice l'Apostolo: il fine della Legge è Cristo, per la giustizia di ogni credente (Rm 10, 4), che è la perfezione gloriosa di tutti i beni. Perciò il termine che viene posto (come titolo), per la fine, avvisa che esso deve essere riferito a Cristo Signore, oppure, come è parere di altri, si deve pensare che è riferito noi, per i quali, secondo lo stesso apostolo, è giunta la fine dei secoli (1 Cor 10, 11). Questo, almeno, si deve riconoscere che non può riferirsi alla conclusione, dal momento che costatiamo di essere ancora gli inizi della sua opera. Il Salmo era, come abbiamo detto, uno strumento musicale, sonoro all'estremità, con il quale si accompagnavano i canti divini; il cantico, poi, era il componimento con cui risuonavano le lodi superne con voci umane. Entrambi sembrano ora essersi associati affinché, con gli strumenti musicali e con le voci dei cantori, vengano celebrati i sacrifici celesti, con una proclamazione adeguata. Così, con queste parole, tutti veniamo avvisati che questo cantico parlerà del Signore Cristo.

Divisione del Salmo

Il salmo intero è espressione della santa madre Chiesa, la quale non è [un'idea] plasmata nei nostri cuori come un'immaginazione fantastica, un'entità che non ha consistenza, come [l'immagine] di una patria, di una città, o di qualcosa di simile, ma la Chiesa è la comunione di tutti i santi fedeli, [costituiti] da un'anima sola e da un sole cuore, [è] la sposa di Cristo, la Gerusalemme del mondo futuro; ad essa si rivolge il Signore Gesù nel Cantico dei Cantici: Mi baci coi baci della sua bocca (Ct 1, 1); e in un altro passo: Chi è costei che sale tutta risplendente? (Ct 8, 5); ancora: Unica è la mia colomba, la mia sposa (Ct 6, 8). Perciò è proibito qui insinuare qualche dubbio, ove appare che una verità tanto grande è confermata da tante testimonianze. Perciò sosteniamo che sia la Chiesa a parlare dietro questa figura immaginosa, poiché sappiamo che essa è sempre presentata nella forma di una persona del tutto affidabile. Nella prima parte chiede che la sua preghiera venga esaudita, mentre rimprovera gli infedeli che, venerando Dei falsi, trascurano il culto del vero Dio. Nella seconda parte ammonisce la massa [degli uomini], affinché si proponga di offrire un sacrificio di giustizia, dopo aver abbandonato ogni superstizione ingannevole. E per favorire la conversione dei gentili con l'annuncio di una promessa, ricorda che Dio ha elargito ai cristiani immensi benefici.

Spiegazione del salmo

2. Quando ti ho invocato, mi hai esaudito, Dio della mia giustizia, nella tribolazione mi hai dilatato. Pietà di me, Signore, e ascolta la mia preghiera. Consideriamo per quale motivo avvenga che la madre Chiesa, nelle stesso versetto, dica di essere stata esaudita, e si mostri ancora nello condizione di una orante. Essa presenta la forma della preghiera perfetta: sebbene si siano realizzati i desideri che avevamo formulato, sempre veniamo esauditi per una degna aspirazione. Noi dunque dobbiamo sempre pregare, come suggerisce l'Apostolo: pregate senza posa. In ogni circostanza, rendete grazie (1 Ts 5, 17-18).

Dio della mia giustizia, afferma poi rettamente la Chiesa, con la quale confessa, con una sensibilità ortodossa, l'unità e l'onnipotenza della Trinità. Dal testo sacro siamo sollecitati anche noi, sue membra, ad una ad una, ad esprimerci in modo simile, come leggiamo in Giobbe: Presta attenzione alla mia innocenza (Gb 27, 5); e Paolo, l'apostolo dice: Mi darà la corona di giustizia (2 Tm 4, 8); il profeta dirà nel salmo sette: Se c'è iniquità nelle mie mani (Sal 7, 4). Non perché furono senza peccato in modo assoluto, ma ci sono delle azioni nelle quali gli uomini fedeli appaiono con evidenza innocenti.

Segue, nella tribolazione mi hai dilatato. La tribolazione è [l'opportunità], grazie alla quale la Chiesa sempre si dilata, [e ciò avviene quando] nel medesimo tempo ci sono i confessori, i martiri sono coronati, e tutta la massa dei giusti, convertitasi, accresce sempre di numero. Aggiunge: pietà di me, Signore, e ascolta la mia preghiera. La madre santa diceva di sé che avrebbe ottenuto misericordia, se la sua preghiera, a favore dei suoi figli, fosse stata ascoltata: ciò che viene donato alle [singole] membra, viene elargito senza alcun dubbio a tutto il corpo.

3. Figli dell'uomo, fino a quando sarete duri di cuore, perché amate la vanità e cercate la menzogna? Mentre nel versetto precedente aveva pregato per noi, con forza si rivolge al genere umano, perché non permanga nel gravissimo errore del culto dei demoni e così possa essere esaudita la preghiera profusa per esso; renderebbe inutili a suo riguardo le invocazioni degli oranti, chiunque non abbandonasse la complicità con i peccatori.

Segue, fino a quando sarete duri di cuore; giustamente ha detto chi sono duri di cuore da lungo tempo, coloro che, dopo l'annuncio della verità, preferirono adorare idoli falsi; tale insegnamento è simile a quello del vangelo: Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non ha compiuto cose degne, sarà stimato meritevole di molte percosse (Lc 12, 47). In antico il mondo ricevette una punizione moderata, perché è chiaro che ignorava il suo Signore. Dopo la venuta del suo Creatore molto giustamente merita di ricevere molte percosse, perché perseverava a cercare ancora gli incantesimi degli idoli.

Segue: Perché amate la vanità e cercate la menzogna? Vanità è il nome generico per tutti i vizi; ma è denominata propriamente vanità, ciò che si riconosce come estraneo a Dio. Anzi come la fiducia in Dio è una fermezza che dà frutto, l'allontanamento da Lui è una vanità inconsistente; lo insegna anche Isaia: Adorando cose vane e false, hanno abbandonato la tua misericordia (Is 2, 8-9).

[Il salmista] accusa perciò coloro che bruciavano di turpissimo amore per gli idoli e doveva parlare per rimprovero; come se dicesse: Perché amate la vanità che vi porta alla morte? Dobbiamo amare le cose che ci sono utili, non quelle nocive; anzi è meglio esecrare quelle azioni a causa delle quali ci tormenta la pena di una dannazione eterna. Cercate la menzogna. Questa non dovete cercarla ma rifuggirla. La menzogna sta a significare gli idoli, i quali hanno meritato di ricevere questa denominazione perché si sopo posti contro la dignità della verità.

4. Sappiate che il Signore ha magnificato il suo Santo; il Signore mi ha esaudito quando gridavo a Lui. Prolunga il suo rimprovero salutare, per volgere all'amore per la vera religione i cuori degli insensati, una volta liberati dalla loro nequizia; rivela loro il mistero della verità, affinché non rifiutino di accogliere con venerazione la santa incarnazione. Il suo Santo è il Signore Cristo; come anche altrove è stato confessato della stessa Verità: Custodisci l'anima mia, perché sono santo (Sal 85, 2).

Aggiunge: Il Signore mi ascolta quando lo invocherò. Giustamente confidava che sarebbe stato esaudito perché invitava i popoli a glorificare il Signore Santo. Quando lo avrò invocato, afferma, cioè quando supplicherò Dio [compiendo] opere buone. È un grido di per se stesso chi si avvicina a Dio in silenzio e fa che vengano ascoltati coloro che si adoperano costantemente nelle opere buone.

5. Adiratevi ma non vogliate peccare; ciò che dite nei vostri cuori, e sui vostri giacigli pentitevi. Questo è attribuito bene ai Giudei, affinché, nel caso che si adirino, si astengano almeno dalle loro abitudini illecite; questo [invito] tuttavia lo riferiamo giustamente come rivolto a tutti. È un'ira scusabile quella che non porta a compimento nei fatti il sentimento di sdegno, come è scritto: Vale di più chi domina la propria ira di chi conquista una città (Pr 16, 32). Viene perciò aggiunto un comando che ha un carattere terapeutico: se siamo sconvolti dall'ira, evitiamo di peccare [travolti] da un'audacia temeraria. Se a causa della debolezza umana non possiamo dominare in modo perfetto il movimento passionale, con l'aiuto della grazia, tuttavia, possiamo [almeno] contenerlo, con una disciplina razionale. Per questo il beato profeta accetta ciò che è istintivo ma proibisce ciò che si tramuta in colpa. Se siamo colmi di risentimento e non facciamo nulla per contrastare questo stato d'animo, al pensiero di Dio, proprio a causa di questo sentimento, diveniamo noi stessi un ostacolo per essere esauditi [da Dio ed ottenere] quanto ci era necessario. È evidente che [per il solo stato d'animo] siamo considerati colpevoli, quand'anche non avessimo compiuto, ciò che il nostro risentimento ci suggeriva. Altri invece preferiscono un'altra interpretazione: dobbiamo adirarci con noi stessi dei peccati compiuti in passato, per liberarci dall'iniquità che ancora è presente in noi; non possiamo abbandonare le colpe più recenti, se non avremo condannato i misfatti del passato con un pentimento lodevole. Che cos'è pentirsi, se non accusare se stessi, avendo in orrore l'azione commessa, ed imporsi da sé una pena, prima che la imponga il giudice adirato contro di noi?

Aggiunge: ciò che dite nei vostri cuori e sui vostri giacigli pentitevi. Manifesta che Dio conoscere i pensieri segreti degli uomini; dice, infatti: ciò che dite nei vostri cuori, quello che non pensate che venga ascoltato e per questo continuate a crederlo nascosto perché non è diffuso dal suono delle parole. Segue: e sui vostri giacigli pentitevi. Il domicilio delle fiere viene chiamato giaciglio da giacere. I pensieri degli uomini crudeli sono detti giustamente da giaciglio, sebbene questo termine talvolta compaia riferito impropriamente al bene; come è quello dei santi: s'allieteranno nei loro giacigli (Sal 149, 5). Provate compunzione, significa fare penitenza; infatti la desiderata conversione delle anime avviene grazie alla compunzione; come se dicesse: abbandonate le vostre intenzioni cattive prima di attuare dei delitti.

Segue poi la pausa del diapsalma: esso segna la divisione fra le parti del salmo, poiché da questo momento vediamo che incomincia un'altra parte. Abbandonato il vecchio uomo, ci viene richiesto, in modo salutare, di offrire noi stessi come nuovo sacrificio.

6. Offrite sacrifici di giustizia, e sperate nel Signore. Nella prima parte la Madre clementissima ci aveva invitato ad abbandonare le antiche superstizioni, ora, in questa seconda parte, ci esorta a presentare noi stessi come offerta a Dio, per impedire che uomini rinati non si diano da fare per macellare vittime animali. Ha molto più valore offrire a Dio gli animi devoti degli uomini, che sacrificare animali. Infatti se Cristo stava per offrire se stesso per noi, quanto più conviene che anche noi offriamo noi stessi in sacrificio, e così potremo provare la gioia di imitare il nostro Re. Ha detto: Offrite sacrifici, e perché tu non pensi a vittime animali, aggiunse: di giustizia; ossia vivete rettamente e offrite sempre a Dio i vostri cuori puri. E aggiunge: Sperate nel Signore, affinché una ricompensa più felice segua una vita onesta. Non possiamo ora ricevere con pienezza , anche se presentiamo al cospetto di Dio azioni rette, ma dobbiamo imparare a sperare nel Signore, per conseguire in futuro la promessa salutare. Questa speranza non procurerà alcuna delusione, una tale desiderio non ci spingerà al male, come afferma l'Apostolo: La speranza non delude: perché l'amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori grazie allo Spirito Santo che ci è stato donato (Rm 5, 5).

7. Molti dicono: chi ci farà vedere il bene? Siamo stati contrassegnati dalla luce del tuo volto, Signore. Dopo aver discusso sui compiti, i cuori dei fedeli vengono edificati in vista della salvezza. Molti dicono, sapienti ancora secondo la carne, poiché non avrebbero dovuto di per sé essere neppure pochi a dire: Chi ci farà vedere il bene? Si tratta di quel bene annunciato sempre dalla Chiesa, la risurrezione futura, nella quale tutti i giusti otterranno i premi eterni. Questo [interrogativo] deve essere letto come se contesse un tono accusatorio, come se affermassero: ci viene promesso quello che non vediamo per nulla; dobbiamo desiderare quei [beni] che ora non siamo in grado di ottenere. Rispondendo a costoro, viene richiamato un dono, che già al presente possediamo. Siamo stati contrassegnati dalla luce del tuo volto, Signore. Come la moneta dell'imperatore porta la sua immagine, così i fedeli portano impressa in se stessi i contrassegni del Principe celeste: il diavolo tentacolare viene espulso da questa fortezza, e non riesce a vincere chi viene tentato dalla sua malvagia macchinazione, colui che ebbe come prigioniero, per aver persuaso il primo uomo. La croce è l'invincibile fortezza degli umili, umiliazione dei superbi, vittoria di Cristo, rovina del diavolo, distruzione dell'inferno, rafforzamento dei celesti, morte degli increduli, vita dei giusti. Giovanni vescovo della città di Costantinopoli, nell'elogio della croce, ha superato in splendore le molteplici stelle delle altre (acclamazioni): la croce è la speranza dei cristiani, la Croce è la vittoria dei romani, la croce è risurrezione dei morti, guida dei ciechi, la strada per chi si converte, la croce è il bastone dei vacillanti, la consolazione dei poveri, ecc., e tutte le altre acclamazioni rimanenti che sono state profuse da lui per ispirazione divina. Questi sono doni reali, doni già offerti al presente, alla vista dei quali le lingue dei maledicenti sono costrette a restare rinchiuse nelle loro gole malefiche. Questa figura in greco si dice peusis (indagine) e in latino scambio: dove si formula una domanda alla quale è subito data una pronta risposta.

Aggiunge: La luce del tuo volto Signore. Nel sigillo della croce, [vediamo impressa] la luce volto di Dio: sempre in coloro che scelgono di non lasciarsi macchiare da nessuna malvagità, vediamo risplendere una luce, come dice l'Apostolo: Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, dal quale siete stati contrassegnati nel giorno della redenzione (Ef 4, 30). Quanto sia efficace questa croce, l'Apostolo lo ha racchiuso in un altro passo, in una sintesi encomiabile: La parola della croce è stoltezza per coloro che si perdono; per coloro che si salvano, è potenza di Dio (1 Cor 1, 18). Perciò tacitiamo le parole sacrileghe. Grandi e opportuni sono i doni del Signore contro il principe delle tenebre, una luce del Signore è presente in noi.

8. Hai dato gioia al mio cuore: da quando frumento, vino ed olio suoi si sono moltiplicati. Enumera ancora i benefici posseduti dai Cristiani. Non [si riferisce] alla gioia che esprimiamo nel riso sguaiato, ma alla letizia [che proviene] da una retta fede, che il Signore infonde di solito nella coscienza sincera. Allora gioiamo veramente, quando conserviamo una retta fede e, con l'aiuto di Dio, custodiamo una conversione sincera. La frase è breve, ma tale da abbracciare tutto. Che cosa possono cercare di meglio [ancora] i dubbiosi, di quanto [già] sperimentiamo combattendo per il nostro Re sotto il segno della Croce e di quanto già possiamo godere nella fede integra, con l'aiuto del Signore? Aggiunge: da quando frumento, vino ed olio suoi si sono moltiplicati. Ritorna da coloro che sono interessati ai beni terreni. Non trascurare [di scoprire il significato] di questi tre [elementi], cioè frumento, vino ed olio, dei quali ha precisato che [sono] suoi. Appartiene infatti al Signore il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6, 42). Appartiene a lui il vino: Il tuo calice inebriante che è assai eccellente! (Sal 22,5)! Appartiene a lui l'olio: Hai cosparso di olio [profumato] il mio capo! I peccatori non possiedono questi beni che appartengono a Dio, possiedono i loro beni, quelli terreni, coi quali mantengono in vita il corpo, senza dare giovamento all'anima. Frumento viene detto da frumen (laringe), cioè la parte superiore della gola; gli antichi infatti chiamavano in questo modo la sommità della gola.

Si sono moltiplicati, con le loro azioni, ossia si sono saziati di voluttà mondana. Qui riscontriamo il fenomeno di cui ho parlato nella prefazione, in una stessa frase vengono offerte le ragioni profonde di fatti diversi, come viene fatto in questo caso.

9. 10. In pace mi corico e mi addormento. Perché tu solo, Signore, mi hai posto nella speranza. Contro i clamori umani e le felicità passeggere, che vengono stimate dalla gente mondana come le più interessanti, ha posto come bene supremo, egregiamente, la pace del cuore, che non può essere sperimentata da coloro che sono implicati nelle attività mondane. Questa pace affiora in una vita molto tranquilla, quella condotta da una persona che non vive in contrasto con se stessa ma che, continuando a ricevere i benefici del Signore, gode di una pacificazione piacevole. Ha parlato di essa il Signore nel Vangelo: Vi dono la mia pace, mi lascio la mia pace (Gv 14, 27). Per evitare che tu pensi ad una pace terrena, aggiunge: Nell'immutabilità dormirò e mi riposerò. Nell'immutabilità, questo termine significa: ciò che non cambia per nessuna vicissitudine, ma, rimanendo sempre in se stesso, è costituito da una eternità stabile. Dormirò, vuole alludere al termine della vita; e riposerò, manifesta di indicare la beatitudine futura, quando ormai ai santi verranno donati un riposo e una sosta gloriosa. Aggiunge infine il motivo di questo riposo: Perché tu, Signore, in modo singolare, mi hai posto nella speranza. Singolare perciò è la speranza della Chiesa nelle sue membra, poiché riceve da sola il regno di Dio, che non può essere conquistato dal popolo di Babilonia. Quando dice: mi hai posto, allude alla ricompensa degna ed efficace, che ora possediamo nella speranza, ma allora possederemo in realtà. Riceveremo allora quel dono di quiete, se, con l'aiuto di Dio, avremo speranza che verrà dato.

Conclusione

Dopo aver esaminato questo discorso d'istruzione della [nostra] madre, consideriamo l'inizio, la metà e il termine, e scopriremo, in seguito a queste indagini rispettose, l'intenzione [profonda] di un mistero tanto grande. L'essenza del salmo viene scoperta se esponiamo in questo modo la struttura già esaminata del componimento. Nel primo versetto la santa Chiesa pregò di essere esaudita a favore delle sue membra; e affinché la sua preghiera venisse ascoltata, chiese al genere umano di abbandonare il culto degli idoli, sapendo di avere come Salvatore il Signore, al quale si deve veramente il culto.

In seguito insegnò al popolo il modo con cui avrebbe dovuto sacrificare e che cosa si sarebbe dovuto rispondere ai bestemmiatori. In seguito precisò la particolare beatitudine promessa da Dio ai suoi santi. Così ha completato il progetto di tutta la dottrina cristiana, affinché gli uomini conoscessero con evidenza quanto avrebbero dovuto fare e sperare.

Questo numero quaternario ci insegna di vedere in esso la predicazione al mondo con la forza del Vangelo. Fu opportuno che tutta la massa della terra, suddivisa in quattro punti cardinali, venisse sollecitata a credere nella salvezza del Signore, e benché fosse formata da popoli diversi, la chiesa fosse una sola sulla faccia della terra. Infatti anche l'anno viene suddiviso in quattro stagioni, tutto l'orbe viene percorso inutilmente da quattro venti principali; la grandezza dell'animo umano viene fatta consistere in quattro virtù: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Questo numero è stato studiato dai pitagorici con tanto impegno, da indurli ad affermare che è sacro.

Salmo 5

1. Per la fine; per colei che ottiene l'eredità; salmo di Davide. Nel salmo precedente, ho già spiegato per quale motivo sia stato posto [nel titolo] per la fine. Con colei che ottiene l'eredità, si intende la Chiesa: in questo salmo, la sua persona è introdotta a parlare. Essa accede ai beni del Signore Salvatore e li possiede. Si dice che consegue l'eredità, perché dal Cristo Risorto giunsero a lei beni spirituali; ossia, il fondamento inespugnabile della fede, il premio sicurissimo della speranza, il vincolo soave della carità, ecc. Queste [ricchezze] per ora le ha soltanto come caparra {imagines}, ma in futuro le possederà, perennemente, in pienezza {virtutes}. Il Vangelo parla di questa eredità dicendo: Beati i miti perché possederanno in eredità la terra (Mt 5, 4). Di nuovo la Chiesa del Signore viene chiamata eredità, come è detto nel salmo secondo: Chiedi a me e ti darò le genti in eredità e in tuo possesso i confini della terra (Sal 2, 8). Essa rettamente viene definita eredità, poiché è certo che è stata acquistata dal suo sangue prezioso. Non dissentire su questo, sebbene nella Scrittura divina [eredità] sembri significare diverse cose, perché queste convergono tra loro nell'interpretazione e nella verità. Il salmo, anche se è attribuito a Davide, dobbiamo considerarlo imperniato sul Signore Cristo, come abbiamo spiegato sopra.

Divisione del salmo

Tutto questo salmo viene proferito dalla persona della Chiesa Cattolica. Nella prima parte, chiede che la sua preghiera venga esaudita, annunciando da parte del Signore che gli eretici e gli scismatici verranno esclusi dai doni.

Nella seconda parte implora di essere di essere condotta, per dono divino, alla patria beata, mediante l'interpretazione delle Scritture divine come sentiero sicuro, asserendo poi che gli infedeli verranno radicalmente esclusi.

Alla fine, richiamando i premi dei beati, [cerca] con un'unica testimonianza, di convertire i peccatori predicendo loro la pena e di incoraggiare i giusti ai premi promessi.

Spiegazione del salmo

1. Ascolta con le orecchie, Signore, le mie parole; intendi il mio grido. Grazie ad una figura allegorica di cui abbiamo già parlato nel quarto salmo, queste parole, in modo assai opportuno, sono messe in bocca alla Chiesa affinché l'Amata attenda il Signore, l'Invitata si affretti, in modo che, dopo aver attraversato, grazie al suo aiuto, la nequizia di questo mondo, si unisca per sempre al suo Sposo, [come sposa] senza macchia e senza ruga (cfr. Ef 5, 27).

In questo [versetto], a prima vista, mediante le parti di una preghiera disposta in tre membri, viene manifestata la forza della Trinità, che alla Chiesa si addice di avere. Dicendo infatti: Ascolta con le orecchie, Signore, le mie parole, allude alla salmodia espressa con la voce. Quanto segue: intendi il mio grido, significa: fa scaturire il sentimento del cuore; in accordo a quanto dice l'apostolo: Dio mandò lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, per mezzo del quale diciamo: Abba, Padre (Gal 4, 6). Si parla delle orecchie di Dio, per usare un'analogia con quelle fisiche, per mezzo delle quali gli uomini possono avvertire i suoni provocati dalla percussione dell'aria. Orecchio (auris) viene da udire (ab auditu).

Osserva, poi, quale sia il motivo per cui chiese che il suo grido venisse ascoltato. Questa voce non consisteva soltanto nel rumore delle labbra, ma nel sentimento del cuore, il quale di solito non viene udito dalle orecchie ma percepito dalla luce dell'intelligenza.

3. 4. Guarda la voce della mia preghiera, o mio Re e mio Dio, poiché a te pregherò, o Signore. Prima aveva detto: intendi il mio grido; ora aggiunge: guarda la voce della mia preghiera, per affermare che questa preghiera era perfetta, perché infiammata dall'affetto dell'anima.

È necessario ora esaminare per quale motivo, cambiando le parole, introduca l'esercizio dei nostri sensi. Guarda la voce, dice; la voce di solito è un fenomeno che viene udito; perciò Dio non si serve di questi sensi legati a delle membra fisiche, ma porta a compimento la sua azione usando una sola potenza. Egli infatti vede ciò che noi udiamo, ascolta ciò che noi vediamo, scruta nell'intimo ciò che pensiamo e non c'è alcuna cosa che possa nascondersi alla sua luce.

Lo schema viene chiamato metabole, ossia ripetizione di uno stesso contenuto con parole diverse: ridicendo per tre volte la medesima cosa, vuole proporre lo stesso contenuto. Ha detto infatti: ascolta con le orecchie le mie parole; poi ha aggiunto: percepisci il mio grido; infine ha concluso: guarda la voce della mia preghiera; tutte queste invocazioni si fondono in una sola, come se avesse detto: esaudisci la mia preghiera.

Aggiunge poi: O mio Re e mio Dio: perché a te pregherò, Signore. Giustamente [questo passo] di solito costringe alcuni a chiedersi come mai al centro del versetto la beata Chiesa abbia nominato per tre volte la maestà celeste. Dice infatti: O mio Re e mio Dio, aggiungendo: perché a te pregherò, Signore. Rivolgendosi, però, a queste tre persone, non ha detto ascoltate, ma ascolta: [ha fatto questo] perché la santa Chiesa cattolica non confessa un solo Dio ma la Trinità; senza confondere [tra loro le persone], come ha fatto Sabellio, ma [rispettando] la distinzione tra loro e la loro perfezione. Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio; tuttavia, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono tre Dei, ma un Dio solo. Qui [nell'essere divino] non c'è nulla che sia più grande o più piccolo, se non nella comprensione traviata degli Ariani, la quale ormai, da parecchio tempo fino ad ora, non ha riconosciuto di essere in errore.

Osserva la disposizione meravigliosa delle parole. Prima ha scritto: Re; con questo nome le Scritture divine chiamano il Signore Cristo; Egli stesso nel Vangelo conferma questo modo di procedere, quando dice: per mezzo di me, si va al Padre (Gv 14, 6). Poi dice che Dio è il Padre; in seguito che il Signore è lo Spirito Santo. Ove sembra che i nomi indichino una separazione per alludere alle persone che vengono distinte, tuttavia si deve, correttamente, credere e confessare un unico Dio, come si legge: Ascolta, Israele, il Signore tuo Dio e un Dio solo (Dt 6, 4). Pertanto si imprima negli animi questa convinzione: la retta fede [esige] la distinzione delle persone, nell'unita della natura.

5. Al mattino ascolta la mia voce. Al mattino mi porterò davanti a te e starò a vedere. Mi porterò davanti: deve essere collegato con entrambe le affermazioni, se si vuole elaborare un'analisi completa [del discorso].

Invoca al mattino, colui che, al chiarore, si avvede del comportamento passato. Allora diciamo che viene il mattino, quando allontanate le tenebre, biancheggia l'alba di una luce chiara. La Chiesa, che riconosce di aver sperimentato le tenebre del peccato, radunata nel mezzo dell'oscurità di questo mondo, allora ritiene meritatamente di essere esaudita, quando erompe nella luce di un comportamento celeste.

Ripete il termine al mattino, perché di fatto sentiva che la sua mente illuminata, per grazia divina, la guidava sempre nella sua preghiera. Comprendi perché venga detto al mattino: la mente illuminata comincia a conoscere la verità già da quando è ancora principiante nel bene: non pensare che, una volta abbandonato il peccato, voglia indugiare ancora in esso, dal momento che ha potuto udire, quello che insegna il profeta Ezechiele: L'empio, in quel giorno in cui si sarà allontanato dalla sua empietà, non ricorderà tutte le sue iniquità (Ez 18, 21. 22).

Stare davanti, significa stare presso colui che è presente. Con questa parola viene indicata la continuità della devozione religiosa. Può dire a ragione di stare con Dio, colui che è considerato degno di apparire alla sua presenza, come ha dichiarato Elia parlando di sé: vive il Signore alla cui presenza io sto (1 Re 17, 1). In precedenza aveva detto, mi esaudirai, e ora aggiunge: e starò a vedere, poiché nella risurrezione vedrà Colui che qui ha supplicato con preghiere sante.

6. Poiché tu non sei un Dio che si compiace del male. Non abiterà il malvagio presso di te, né gli iniqui potranno rimanere alla tua presenza.

7. Detesti quanti operano il male e distruggerai coloro che dicono la menzogna.

Dio ha in abominio l'uomo di sangue e di inganno. Nel primo salmo avevamo detto che la proprietà di una definizione ennoematica sta nel fatto che, attraverso la negazione di ciò che non appartiene [ad una cosa], lascia trasparire ciò che intende affermare; in seguito, dichiarando ciò che una cosa è, può rendere chiaro con maggior evidenza quanto intendeva affermare. È quanto si osserva in questi tre versetti. Dice infatti: Tu sei un Dio che non vuole conoscere l'iniquità. Che cosa può volere Dio, se non ciò che di fatto comanda? Lo attesta Isaia: Io sono il Signore, che parlo di giustizia e annuncio la rettitudine (Is 45, 19).

Segue: il malvagio non starà alla tua presenza. Così intende escludere i peccatori dal regno di Dio, coloro che non hanno cambiato vita in alcun modo. Infatti è chiaro che, quanti sono immersi nel peccato, lo vedono soltanto carnalmente, come sta scritto: Guarderanno a colui che hanno offeso (Zc 12, 10); infatti coloro che sono stati condannati alla pena della geenna, non vogliono stare vicino a lui.

Aggiunge: non potranno rimanere. Dichiara che essi giungeranno in massa al giudizio del Signore, ma non dice che rimarranno al cospetto di Dio, perché saranno condannati alla pena eterna. Non c'è nulla che Dio non veda, essendo presente ovunque e viene riconosciuto come il tutto. Costoro invece dicono che non stanno affatto alla sua presenza, dal momento che sono privi della sua grazia e del suo dono.

Finora Dio è stato definito col negare ciò che Egli non è, adesso in altri tre modi viene manifestato, invece, ciò che è. Dice infatti: Detesti quanti operano il male. Non dice coloro che hanno operato, perché verranno condannati nel giudizio soltanto quelli che si sono imbrattati fino al termine della loro vita con crimini nefandi. Alle denominazioni particolari dei vari crimini, opportunamente ha dato un nome comune, cioè operatori di iniquità, affinché tu comprenda che [ qui] si tratta di tutto ciò che si oppone alla volontà di Dio.

Ha aggiunto: distruggerai coloro che dicono la menzogna. Queste affermazioni suscitano un interrogativo, dal momento che Dio pare soltanto detestare gli operatori di iniquità, mentre conferma di eliminare coloro che dicono menzogne, mentre stando al senso letterale, sembra che compiere il male sia fare cosa più grave che dire la menzogna. Ma qui egli allude agli eretici i quali, insegnando la falsità, hanno ucciso le anime dei loro adepti. Che cosa ci può essere di più grave dell'errore che provoca la rovina dell'altro? Alla fine dice: Dio ha in abominio l'uomo di sangue e di inganno. L'uomo di sangue è colui che si macchia di sangue umano, ma anche colui che inganna il vivente. Aggiunge e di inganno. Si fanno molte cose per errore, senza il concorso della nostra volontà. Uomini di inganno sono coloro che, pur conoscendo bene ciò che è male, osano di fare ciò che porta alla rovina. Quando dice ha in abominio, significa, come ho spiegato in precedenza, che verranno esclusi dal regno del Signore. Sono considerati oggetto di abominio coloro che non otterranno il suo premio.

Così ha completato da ogni aspetto le definizioni ennoematiche, affermazioni che sono state pronunciate per essere di grande utilità per gli uomini; perché, parlando in sintesi, comprendessero i peccatori che Dio li disapprova e allontana da sé.

8. Ma io nella tua grande misericordia. Entrerò nella tua casa. Poiché aveva detto che i malvagi sono da aborrire, era necessario che egli attestasse di essere ammesso nella casa del Signore per grazia divina. Infatti sebbene ora la Chiesa sia (già) la casa del Signore, tuttavia, per mezzo di ogni beato, che costituiscono le sue membra, può dire di stare per entrare nella Gerusalemme futura. Allo stesso modo parliamo di patria e di città, ed usando questi termini, sappiamo che vanno riferiti ai loro abitatori. Ma poiché, come si sa, quella futura Gerusalemme è edificata con la moltitudine dei santi, come da pietre vive, opportunamente ha detto: entrerò nella tua casa, come se ne portasse a compimento l'edificazione con un completamento perfetto.

Mi prostrerò verso il tuo tempio nel tuo timore. Dobbiamo esaminare perché non abbia detto nel tuo tempio ma verso il tuo tempio, poiché, come ho spiegato, non dobbiamo trascurare neppure una sillaba riguardo a questi misteri. Il tempio santo è il corpo del Signore Salvatore, che è adorato giustamente dalla chiesa; così infatti ha detto riguardo al suo corpo: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo riedificherò (Gv 2, 19).

Aggiunge: nel tuo timore. Ha inserito una menzione del timore, per poter parlare della compunzione del cuore: la fede solo allora è davvero solida, quando il rispetto verso Dio è congiunto ad un amore puro.

9. Guidami Signore nella tua giustizia, a causa dei miei nemici, guida la mia via davanti a te. Ha già spiegato che la sua preghiera verrà esaudita al mattino e ha ricordato che i peccatori subiranno un'esclusione mortale, ora entra nella seconda parte [del salmo] e chiede che il Signore lo guidi alla gioia eterna, perché egli aveva sofferto per molteplici angustie. Dice infatti: nella tua giustizia, quella con cui hai compassione delle persone pentite e con cui assolvi con la potenza giustissima della tua pietà quanti hanno condannato se stessi nel pentimento. Se infatti respinge i ribelli, è giusto che voglia accogliere i supplicanti. A causa dei miei nemici, ossia eretici e pagani. I primi contraddicono in base ad una dottrina perversa, gli altri si oppongono di continuo a motivo dell'incredulità. A causa di questi chiede di essere condotta nella giustizia del Signore, dal momento che gli avversari non prestano fede alla sua predicazione.

Guida la mia via davanti a te, conduci la mia vita fino alla visione della tua serenità. Non possiamo giungere fino a lui contando sulle nostre forze, poiché camminiamo sempre per sentieri tortuosi.

10. Nella loro bocca non c'è verità, inutile è il loro cuore. Se poco fa aveva chiesto di essere condotto, per la sua giustizia, al cospetto del Signore, e poter così ricevere per suo dono una parte della eredità di quei beati, ora appare nell'atto di rimproverare la falsità degli uomini. Fa sapere così che gli eretici incalliti non potranno ottenere, a causa della loro ostinazione, quei premi che sono preparati dal Signore per i suoi fedeli. Giustamente dice: nella loro bocca non c'è verità, poiché il loro cuore era ingombro di cose vane. La lingua obbedisce alla decisione della mente e la sua mobilità entra in azione in seguito all'ordine stabilito dal cuore secondo l'ordine naturale.

11. Un sepolcro aperto è la loro gola, le loro lingue agiscono in modo ingannevole. Tramite una figura allegorica introduce una celia molto azzeccata. La gola del mentitore è un sepolcro da morti, quando egli rimugina nella gola una vanità funesta, che infligge il male della morte. Ha aggiunto bene: aperto, perché, se fosse chiuso, puzzerebbe di meno. Presta attenzione a ciò che ha detto: le loro lingue agiscono in modo ingannevole. Spesso infatti parlano soltanto di inganno ma non portano a compimento quanto hanno detto ma qui, per rendere note le loro colpe più gravi, ha aggiunto agivano, affinché si manifestassero nella loro malizia non solo nel linguaggio ma anche nei fatti esecrabili.

Giudicali, o Dio. Rimangano delusi dei loro propositi. È costume della profezia predire il futuro. La chiesa non ha sperato questi eventi per il desiderio che venissero maledetti, mentre essa riceveva il bene che è riservato a chi appartiene al novero dei giusti. Ma era necessario che dicesse questo a riguardo dei caparbi, che Dio avrebbe condannato, come essa sapeva. Rimangano delusi dei loro propositi, ossia non vedano realizzarsi, ciò che pensavano di ottenere. Rimanere delusi significa propriamente trovarsi come defraudati per il venir meno della propria speranza.

Per la moltitudine delle loro empietà, cacciali via, poiché ti hanno esasperato, Signore. Da questa affermazione impariamo, che uno è respinto da Dio soltanto nel caso in cui accumula peccati. La quantità dei peccati segna la misura del [nostro] ripudio: tanto il peccatore si trova distante da lui, quanto di fatto si allontana per il numero delle colpe.

Cacciali via, a causa dei pensieri presuntuosi, precisa: perché ingannati da una prospettiva temeraria si vedevano partecipi di ogni bene. Diciamo che sono espulsi, in quanto vengono respinti lontano da un luogo più interno. I cattivi malati hanno esasperato il buon medico perché hanno respinto con una ostinazione insensibile i rimedi di salvezza.

12. Si rallegrino coloro che sperano in te: esulteranno in eterno. Dopo aver parlato delle giuste pene degli empi, ora la Chiesa torna [a parlare] dei santi, dei quali conosce la felice raccolta; non vuole tacere a proposito dei premi riservati ai buoni che stanno per essere elargiti, come è certa. Osserva come essa ciò che chiede supplicando nel principio del versetto, lo promette nella seconda parte: non vuole che venisse considerato come incerto, quanto sapeva che sarebbe accaduto sicuramente. E perché non pensi che questa gioia sia temporanea, precisa: in eterno: qui la gioia non cessa perché si gode di continuo dei premi ricevuti. Presta attenzione al suo discorso, quando afferma che coloro che sperano nel Signore esulteranno in eterno, perché in questo tempo presente sembrano godere anche gli empi, ma nel futuro esulterà solo la chiesa.

Abiterai in loro. Si glorieranno in te tutti coloro che amano il tuo Nome. Questa affermazione dipende dal versetto precedente; può essere osservata in breve ma non necessita di essere esaminata con acuratezza. Infatti se cerchi il significato di quella promessa di cui s'è parlato poco fa - esulteranno in eterno ascolta quanto viene detto in breve: Abiterai in loro. Quanto è grande e ineffabile la generosità del donatore! Chi può donare qualcosa di simile, visto che in questo caso a donare è lo stesso Signore di tutto? Qualsiasi persona generosa dona agli altri [attingendo da] ciò che possiede, ma Dio che è un bene inesprimibile dona in premio se stesso. Quale fortuna può essere paragonata al fatto che il Creatore di ogni bene cominci a colmarci? Si glorieranno, dice in quanto potranno godere dell'avverarsi di quanto avevano desiderato. In te: perché tu sei l'eredità promessa a loro; e perciò esulteranno in eterno, perché in eterno si glorieranno del Signore. Tutti quelli che amano il tuo nome. Questo significa: sono felici in quella patria, tutti quelli che si gloriano della partecipazione al Signore stesso; nella misura con cui, per una misteriosa disposizione, Dio si dona ad ognuno, in base alla qualità dei meriti.

13. Perché tu, Signore, benedici il giusto. Ha annunziato la grandezza del premio e l'immensità della gioia; per quale motivo l'umanità venga riempita senza merito da tanti beni lo diremo in breve: nessuno attribuisca ai propri meriti ciò che appare un dono per la benedizione del Creatore.

Signore, ci circondi con la tua benevolenza come uno scudo. Consideriamo con quale conclusione soave e nobile termini il salmo presente, per il fatto che indica con una sola parola i benefici del Signore, che non possono essere esposti da alcun libro. La benevolenza del Creatore, che ci abbraccia con dono ineffabili, è chiamata scudo, poiché ci protegge e ci comunica beni splendidi. Uno scudo posto sul capo funge da corona, collocato davanti al cuore, è una difesa. Questo è lo strumento che protegge tutti i fedeli: custodisce la chiesa sparsa in tutto il mondo; abbraccia anche il cielo, dal quale vengono custodite tutte le cose. È una difesa che non è inviolata da alcun assedio, un'arma che difende da qualsiasi rischio di morte; per essa la morte, vinta, deve soccombere, e la salvezza degli uomini risorge dalla disperazione.

La buona volontà: la chiamata divina precede qualsiasi merito, non trova la persona degna d'amore, ma la rende tale; perciò bisogna chiamare dono gratuito, ciò che altrove (presso i Pelagiani) è considerato atto di giustizia. Questa è la benevolenza che ci chiama ed attrae. Nessuno può pensare o fare qualcosa di utile, se prima non ne riceviamo la capacità dal Creatore del bene, come insegna l'Apostolo: Non possiamo pensare che ciò provenga da noi, come se dipendesse da noi, ma la nostra capacità viene da Dio (2 Cor 3, 5). Taccia, allora, l'insipienza dei Pelagiani, non osi vantarsi falsamente di qualche bene, finendo col defraudare il vero Donatore.

Conclusione del salmo

Quanto attraente è questo discorso della santa madre [chiesa] che abbiamo udito; essa ci genera alla fede e ci conferma nella formazione religiosa. Istruisce gli ignoranti, riscalda i piccoli, conforta gli afflitti e li chiama ad alimentarsi al suo petto, poiché sa che i suoi insegnamenti sono nutrimento. Eleva delle suppliche, perché impariamo a pregare; respinge i peccatori, affinché ci separiamo dagli iniqui; confida nel Signore, affinché anche noi ci appoggiamo su di lui. Come una madre degna di venerazione, consegna ai figli le parole da dire, affinché riscaldandosi in noi il sentimento della preghiera, possa comunicarci il salterio; esso è di sostegno alle azioni umane e all'attività conforme ai comandamenti divini. Ripetiamo anche noi ciò che ci ha insegnato, gustiamo ciò che essa crede, amiamo con forza ciò che essa preferisce e così, facendo nostro il suo sentimento, allora ritorneremo ad essere suoi figli, liberi da ogni indugio.

Il numero cinque, al quale appartiene questo salmo, è da assimilare al Pentateuco, un libro che viene compreso in modo retto solo dalla chiesa cattolica perché essa ha ricevuto la pienezza della rivelazione che prima era stata promessa ed attesa.

Salmo 6

1. Per la fine; negli inni; per l'ottava; salmo di Davide. Che cosa significhi per la fine è già saputo. L'inno è una lode a Dio, composta secondo precise regole metriche. Con l'ottava, invece, come alcuni pensano, è significata la venuta del Signore, quando terminata la settimana del tempo, verrà a giudicare il mondo. Di conseguenza il salmo stesso prende inizio nel massimo tremore dicendo: Signore non castigarmi nel tuo sdegno e non punirmi nella tua ira.

Sant'Ilario nel Prologo al Commento ai Salmi, san Girolamo nel Commento al libro dell'Ecclesiaste e sant'Ambrogio nel Commento al Vangelo di Luca, là dove il Signore si trasfigura, e sant'Agostino nel Discorso sul monte, dove tratta delle Beatitudini, hanno parlato di questa ottava in modo diffuso e preciso. Ciò che piacerà al lettore, lo scelga come riferimento per sé Quanto è stato pensato da tali uomini ci deve bastare, dal momento che i loro insegnamenti, se fossero raccolti insieme, a stento potrebbero essere contenuti in un volume molto grosso. [Cf. Hilar. Comment. Super ps., instruct. 13.14 – CSEL 22. 12; Hieron. Comment. In Ecclesiast. 11, 2 – CC 72; Ambr. Expos. Evang. sec. Luc. VII, 6 – CC 14, 217, Aug. De Sermone Domini in monte, I, 12 – PL 34, 1229-1235].

In relazione a questo giorno, il profeta Amos avverte: guai a coloro che aspirano al giorno del Signore; che cosa sarà per voi il giorno del Signore? Sarà giorno di tenebra e non di luce (Am 5, 18). In modo analogo si esprime il profeta Sofonia: la voce del giorno del Signore è dura e amara (Sof 1, 14). Introdotto ora il penitente, lo ammonisce con forza, nelle parti diverse della preghiera, ad evitare che in quel giorno destinato al giudizio venga punito per i suoi crimini. Che cosa c'è di più salutare, di più provvidenziale, che colui che non può contare sui propri meriti a causa dei delitti commessi, sia incoraggiato a supplicare la bontà divina, mentre si trova ancora in questo mondo che è il luogo della penitenza?

Alcuni dicono che questo giorno verrà dopo seimila anni a partire dalla creazione del mondo, in considerazione al fatto che il Signore, come si legge, nel tempo della creazione, nel settimo giorno si è riposato dalla sua opera e che un giorno vale per mille anni, come si legge: davanti a Lui mille anni sono come un solo giorno (Sal 89, 4). Altri ritengono che dopo settemila anni, cioè, trascorsa che sia la settimana di questo eone, debba essere considerato ottavo giorno la stessa luce eterna; tanto più che, come si sa, la resurrezione del Signore nostro è avvenuta [all'ottavo giorno]. Tuttavia il Signore nel Vangelo afferma che il Figlio dell'uomo non conosce [la scadenza di] questo giorno (Mt 24, 36; Mc 13, 32) ed allora è alquanto inopportuno cercare affannosamente di stabilire ciò che la divina provvidenza non ha voluto far conoscere, per la nostra utilità. Perciò ci basti ci sapere, per chiarire il significato del titolo [di questo salmo] che, una volta concluso il corso di questo mondo, verrà quel giorno.

Ora affrettiamoci a comprendere il testo che ci è stato donato. Se lo chiediamo con cuore puro, come potremmo dubitare di essere esauditi mentre veniamo istruiti da lui e in vista di lui? Fa, o Signore, che veniamo compunti con pienezza d'amore, per la nostra giustificazione, tu che ci hai donato questa regola salutare di preghiera.

Ricorda che questo è il primo salmo penitenziale, viene poi il trent’uno, il trentasette, il cinquanta, il centouno, il centoventinove, il centoquarantadue. Di questi, poi, parleremo a suo tempo. Non credere che il numero di sette sia stato usato casualmente, ma sappi che i nostri padri hanno detto che i nostri peccati ci possono essere perdonati in sette modi: primo, col battesimo; secondo, con la sofferenza del martirio; terzo, con l'elemosina; quarto, col perdonare al fratello le offese ricevute; quinto, col convertire un peccatore dall'errore del suo comportamento; sesto, con l'abbondanza della carità, settimo, con la penitenza. Si deve aggiungere anche la comunione al Corpo e al Sangue del Signore nostro Gesù Cristo, purché sia ricevuta in maniera degna. Si possono trovare anche altri modi di perdono; è naturale che la benevolenza divina sia superiore al numero delle nostre richieste.

Divisione del salmo

In questo salmo l'uomo penitente e devoto prega in quattro modi. Nell'esordio chiede che il giudice gli sia benevolo. L'esordio è un discorso volto a ben disporre l'animo dell'uditore a quanto dirà in seguito, in questo caso (a ben disporre) il giudice potente, poiché egli è il sole che conserva il potere in eterno. [Prega] consapevole della sua debolezza, poiché per quanto si sforzi di piangere, non riuscirà a reggere il giudizio. [Prega] confidando nella sua abituale compassione, poiché non vuole essere nominato tra i morti, ma confessare le lodi che [salgono] dagli uomini viventi.

Nella seconda parte racconta le proprie pene, per le quali appare afflitto e contrito. Il racconto è la narrazione chiara e precisa che presenta la causa probabile dei fatti accaduti. Segue una correzione salutare ed estremamente utile. Si separa infatti dai peccati, cosa che sa essere molto gradita al buon giudice; affinché l'anima si estranei da essi, ai quali la giustizia stessa si dimostra contraria.

Rimane la conclusione, dove ormai viene detto qualcosa di definitivo, al punto che non si desidera nient'altro. Si pone in contrasto e rifiuta tutti gli iniqui, poiché non voleva avere alcun rapporto con essi. Così con queste decisioni attua l'essenza di una penitenza proficua.

Vengono attribuiti anche a Dio atteggiamenti propri dell'uomo, mediante delle metafore: si dice che ascolta come un giudice, che avvia delle indagini come un magistrato istruttore, come se, ignorandoli, dovesse venire a conoscenza dei fatti accaduti. Questo tipo di figura retorica nella Scrittura Sacra lo troverai molte volte.

Si nota che tutto questo salmo ha per tema il timore del futuro giudizio; è proprio dell'anima retta paventare i pericoli imminenti, ed avere paura di quanto merita di ricevere. Infatti se ci ponessimo davanti agli occhi il messaggio che leggiamo nel profeta Malachia, faremo attenzione a restare sulla retta via e ci faremo correggere da un timore proficuo. Dice infatti: chi sopporterà il giorno della sua venuta e chi potrà reggere alla sua presenza? Verrà come fuoco di fornace, come lisciva dei lavandai e siederà per fondere e per purificare l'argento (Ml 3, 2-3). In modo simile Salomone, premunendoci, dichiara: Prima di parlare, predisponi la tua anima; e poco dopo: Ricordati dell'ira del giorno finale e tieni presente alla tua vista il giorno del giudizio (Qo 18, 23-24).

Spiegazione del salmo

2. Signore, non rimproverarmi nella tua ira. Per prima cosa dobbiamo conoscere l'onnipotenza divina, [comprendere] come la sua sapienza abbia arricchito in modo completo molteplici discipline ed arti, così che essa appare risplendere mirabilmente ornata a coloro che la cercano; ripensata con diligenza offre dei semi [di sviluppo] a diverse dottrine. Da essa provengono le cose che vengono scoperte, quelle che i maestri delle scienze profane trasferirono in seguito nei loro libri. Tra le circostanze che gli oratori hanno introdotto nei processi che vengono celebrati, hanno parlato anche di una supplica di concessione; [si riscontra] nel caso in cui il reo non si dichiari innocente del reato contestato, ma supplichi di essere perdonato. Se, presso i giudici terreni, il [reo] appare nella situazione di uomo inerme e privo di ogni possibilità di difesa, presso Dio si trova ad usufruire di una invincibile risorsa. Il colpevole, infatti, che non può essere salvaguardato da alcuna iniziativa, viene soccorso soltanto da una sincera confessione. Questo [è il dono che] viene concesso ai penitenti: mentre desiderano essere assolti, essi stessi hanno il coraggio di condannare le proprie azioni. Così come ammonisce Isaia: Confessa subito la tua malvagità e sarai giustificato (Is 43, 6).

Dobbiamo esaminare quale sia la disposizione conveniente e salutare di queste parole. Egli non chiede al Signore, il Padre, di non essere punito, come è parso ad alcuni, ma di non essere condannato con un giudizio severo; per molti, infatti, l'essere castigati è un fatto salutare, come si legge nell'Apocalisse di Giovanni: Io quelli che amo li correggo e li punisco (Ap 3, 19). È quanto accadde a Davide, che fu corretto dall'intervento di un profeta. Corregge anche il Figlio, come si legge in un altro salmo: ti rimprovero, ti pongo davanti i tuoi peccati (Sal 49, 21). Corregge infine lo stesso Spirito Santo, come è scritto: quando verrà il Paraclito, egli accuserà il mondo di peccato (Gv 16, 8).

Ditemi ora, o perversi, dove sta la disuguaglianza di natura e di potere, mentre [qui] si attribuisce loro la medesima azione? Rimangano in silenzio gli iniqui Ariani! Quanti vogliono introdurre sacrileghe divisioni all'interno della Trinità, costoro manifestano di volere escludersi da se stessi dal regno del Signore.

Non punirmi nel tuo sdegno. L'ira e il furore del giudice provocano la condanna del reo; l'ira, in altre parole, è un movimento concitato dell'animo che stimola a comminare la pena da assegnare. Tuttavia mentre l'ira è un'indignazione che si protrae nel tempo, il furore è un sentimento improvviso dell'anima.

Queste cose sono dette in modo allegorico, usando dei termini che si prestano ad assumere altri significati. Del resto il Signore non è scosso dall'ira, né turbato dal furore, ma rimane sempre nella stessa tranquillità della sua gloria. In modo simile anche Mosé dice: come il Signore si è rallegrato nel farvi crescere, così gioirà nell'affliggervi e nel turbarvi (Dt 28, 63). [Il salmista] chiede di essere punito prima del giudizio e non durante il giudizio, perché chi viene punito in quest'ultima circostanza, senza dubbio subirà la condanna. Bisogna fissarsi nella mente che il giorno del giudizio è chiamato ira e furore, per il timore suscitato dalla sua maestà; come è detto nel salmo secondo: allora parla loro nella sua ira e nel suo furore li sgomenta (Sal 2, 5); di questo fatto un altro profeta dice: quel giorno sarà giorno dell'ira, della tribolazione e dell'angustia (Sof 1, 15).

3. Abbi pietà di me, Signore, perché sono malato. Dichiarare di essere malati, muove la misericordia del Medico celeste ed è facile ricevere da lui i rimedi, quando gli facciamo conoscere le ferite manifeste. [Il salmista] non ha detto [abbi pietà] perché lo merito ma perché non posso sostenere la tua giustizia. Quanto è grande la bontà del Creatore! Noi riceviamo in dono dallo stesso giudice, [le parole] gli dobbiamo dire; veniamo istruiti da lui a ricorrere alla sua misericordia, per non essere consumati dalla giustizia. Chi può pensare di non essere ascoltato da lui, se l'animo dell'orante è tale quale Egli si è degnato di farci conoscere?

Risanami, Signore, poiché le tutte le mie ossa sono turbate. Continua a supplicare. Confessa al Medico benevolo che la sua malattia penetra fino alle ossa, come fosse liquefatta, perché non differisca l'aiuto dal momento che sta per trovarsi in fin di vita, come lui sa. Per ossa dobbiamo qui pensare, per allegoria, alla fortezza d'animo, la quale, se viene meno, fa svanire tutto il vigore, così come quando le ossa sono infrante, la struttura del corpo non ci sostiene più.

4. L'anima mia è molto turbata, ma tu, Signore, fino a quando? Perché tu non pensi al corpo, quando parla di ossa, precisa che è la sua anima a trovarsi nel turbamento. Ha fatto bene, poi, a dire molto, affinché il Soccorritore misericordioso non differisse l'intervento più a lungo, [come sarebbe accaduto] nel caso in cui non avesse saputo che egli era molto turbato. Fino a quando, è da sottintendere, ritardi [la tua azione], tu che non hai l'abitudine di trascurare sino alla fine le preghiere degli oranti? Questa supplica è da raccomandare nelle grandi angustie, così verrà apprezzata ancora meglio la salvezza che si otterrà. Osserva come questo penitente cerchi sempre di evitare la giustizia del Signore mentre desidera incontrare la sua abituale misericordia.

5. Volgiti e libera la mia anima; salvami per la tua misericordia. Dicendo a Dio volgiti, chiede una pausa alla sua azione di rivalsa, affinché la sua giustizia non esiga da noi le dovute compensazioni. Oppure, dice a Dio, volgiti, per servirsi del nostro modo di pensare, come si suole invocare quelli che si distolgono, i quali o non vogliono guardare o evitano di avvicinarsi. Libera la mia anima, dal castigo imminente, quello meritato dagli erranti. Egli allontana da noi le pene dovute, quando sono sospese dal suo benevolo perdono. Opportunamente ha scritto volgiti come preghiera del penitente, poiché a coloro che si riconciliano Dio ha fatto questa promessa: volgetivi a me e io mi rivolgerò a voi (Zc 1, 3). Salvami per la tua misericordia. Quanto felicemente questa preghiera è esposta in parole appropriate e proficue! Chiede di essere salvato, non secondo i suoi meriti, ma seconda la misericordia divina, poiché quanto più si spera in essa, tanto più facilmente si riceve il perdono.

6. Nessuno tra i morti ti ricorda: nell'ade chi ti confesserà? Può meravigliare il fatto che dica che in morte nessuno si ricorda di Dio, mentre [da morti] si potrebbe temere ancora di più l'ira divina, ormai prossima. Ma noi giustamente abbiamo chiamato dimentichi di Dio, gli increduli, dei quali Isaia dice: nessuno negli inferi ti loda, né i morti ti benediranno (Is 38, 18). Quando l'apostolo dice: nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sottoterra (Fil 2, 10), questo deve essere riferito ai soli increduli ed ostinati, i quali non meritano di ricevere alcuna stima per il fatto che lo confessano. Giustamente allora egli si affretta ad ottenere il perdono, perché, dopo il tramonto della luce, non rimane che la sola retribuzione dei meriti.

Nell'ade chi ti confesserà? È sottinteso, per ottenere il perdono; come Salomone dice degli empi: diranno tra loro, ci pentiamo e soffriranno per l'angoscia dello spirito (Sap 5, 3), ecc. Il ricco che osservava Lazzaro immerso nella pace, mostra di confessare anch'egli i suoi peccati (Lc 16, 23), ma non fu ascoltato nel desiderio della sua supplica, perché è il tempo della vita terrena il momento adatto della confessione, ove si ottiene il perdono. In queste parole dobbiamo elaborare altre osservazioni. Nella morte, ossia nel passaggio della vita; nell'ade, [l'ade richiama] l'attesa nei vari luoghi che le anime imparano a sopportare per arricchirsi di meriti. In entrambi i casi viene negata la possibilità di accogliere la confessione. Finora abbiamo trattato delle cose iniziali; ora seguiamo il testo [del salmo].

7. Ho faticato nel mio gemito. La buona volontà [del salmista], già anticipata nell'esordio, ritorna per far conoscere le sue opere e dichiara di aver portato a termine la penitenza con grandi sofferenze; il pentimento, se viene espresso non soltanto con parole vane ma anche con un'afflizione lodevole, [rende] del tutto degni di perdono.

È chiamato gemito anche quello che viene emesso da coloro che sono curvati sotto un carico pesante o sono doloranti per una ferita. I cristiani, però, devono cercare [di avere] quello che si realizza per la compunzione del cuore, che [affiora] quando ci ricordiamo dei nostri peccati o quando veniamo presi da paura al pensiero del castigo futuro. Il gemito è un lutto prolungato. I fedeli lo desiderano giustamente, poiché esso consola gli afflitti, purifica i penitenti, mette in fuga il demonio, riconcilia con Cristo; [fa provare] un'amarezza intrisa di dolcezza, [fa sgorgare] lacrime di gioia, diventa un'afflizione salutare. Il beato Giovanni ha esposto questo argomento in due libri, al punto che merito presso i Greci ha ricevuto il nome di Bocca d'oro (Crisostomo). [Ioh. Chrysostom. De Compunctione – PG 47, p. 393-422]

Laverò ogni notte il mio letto. Se vuoi attenerti al senso letterale, giustamente egli lavava con le lacrime il letto che aveva macchiato nella notte. Tuttavia è impossibile che l'abbondanza di lacrime fosse tale da poter dire che puliva non solo la faccia ma anche il letto. Perciò con letto è meglio intendere il piacere fisico al quale ci abbandoniamo nel nostro letto, quando divampa la voluttà. È possibile che l'uomo possa purificarsi con poco, se è capace di pentirsi aiutato dall'ispirazione divina. Il letto viene chiamato così a motivo delle erbe scelte e morbide; in antico sopra di esse si stendevano i corpi di quelli che volevano acquietarsi per dormire.

Irrorerò di lacrime il mio giaciglio. Irrorare significa fare qualcosa di più efficace che lavare. Ma vediamo come mai, quando poco fa aveva parlato di letto, abbia voluto parlare anche di giaciglio. Il giaciglio significa il cumulo dei peccati; lo irriga di lacrime, affinché, sciolto da pioggia salutare, l'uomo produca nuovi frutti di virtù, e diventi da peccatore giusto, da triste a gioioso, da ammalato sanissimo. Se vuoi invece interpretare il giaciglio come un serie di vestiti, vai incontro di nuovo a difficoltà insormontabili, come quella che riguardava il lavaggio del letto. Oppure puoi considerarla come un'iperbole, una figura retorica, con la quale [i letterati] sogliono dilatare qualcosa in una grandezza esagerata, come si dirà nel salmo centosei a proposito dei naviganti: salgono fino al cielo, e scendono fino agli abissi (Sal 106, 26). E nel salmo cinquanta: lavami e sarò più bianco della neve (Sal 50, 9); sebbene non vi possa essere niente di più candido della neve. Nel Deuternonomio Mosé ha comandato a Giosué [figlio di] Nave: Questo libro della Legge non ti cada dalle mani, lo mediterai giorno e notte, perché tu custodisca la tua via (Gs 1, 8). In modo simile un altro penitente dirà nel salmo centouno: mi nutrivo di cenere come di pane e la mia bevanda la mescolavo col pianto (Sal 101, 10) e altre cose simili.

8. Il mio occhio è turbato per l'ira. Poco fa ha detto di essersi rattristato nel gemito e ha assicurato di aver pianto; allora non sembra opportuno che tutto d'un tratto venga a dire di essere turbato dalla propria ira: confessa piuttosto che l'occhio del suo cuore è turbato a causa dell'ira del Signore. Che cosa c'è di più pericoloso di spingere all'indignazione Colui che, se non se non usa misericordia, può annientare? L'occhio viene chiamato così per una luce rapida (ocior) che scruta velocemente cose non conosciute, oppure perché [ciò che si incontra] con le palpebre coperte risulta essere occulto.

Invecchiai fra tutti i miei nemici. Invecchiai, ossia rimasi nella decrepitezza del vecchio uomo, Adamo, il quale, a differenza nell'uomo nuovo, cioè Cristo, è chiamato rettamente vecchio. Fra tutti i miei nemici: sia gli spiriti diabolici, sia i nostri peccati. Queste sono le potenze davvero contrarie, quelle che fanno scendere le anime nel tartaro e anche adesso blandiscono crudelmente. Così ha concluso quanto si era ripromesso, un discorso, breve e chiaro, come era stato comandato, adatto a rasserenare il giudice irato. Ora dobbiamo parlare della correzione salvifica.

9. Allontanatevi da me tutti operatori d'iniquità, perché il Signore ha ascoltato la voce del mio pianto. Finora ha parlato delle sue afflizioni, ed ora espone la prova della conversione: chi aveva peccato con un gruppo di malvagi, dopo averli allontanati da sé, si mostra interessato dei comandamenti divini. Questo riscontro che si basa sulle caratteristiche delle persone, viene dedotta dal comportamento. È questa la maniera con cui dimostra di voler correggersi, nel fatto di separarsi dall'amicizia coi i malvagi. Osserva infatti ciò che dirà ora.

10. Il Signore ha esaudito la mia supplica, il Signore ha accolto la mia preghiera. La supplica è una preghiera fervorosa fatta con frequenza, la sola che conviene per molte cose e ricompone le dissonanze. Ha accolto, intende dire ha preso, come se si trattasse di qualcosa afferrata con le mani. Comprendi il grande mistero di gioia: dichiara che la sua preghiera è stata percepita dall'udito e accolta come un dono. Così sogliono fare le persone liete: ripetono la stessa cosa in molti modi, per cui esultano per il grande sentimento di soddisfazione. Non trascurare il fatto che dica per tre volte di aver offerto al Signore lo stesso dono: con le sue invocazioni mostra di aver creduto alla santa Trinità.

11. Arrossiscano e siano sconvolti tutti i miei nemici, si vergognino molto presto. Dopo aver percorso queste tre parti, viene alla conclusione finale. La conclusione è l'esito e il limite di tutto il discorso, ove ormai, avendo meritato di essere ascoltato, esulta con gioia. Questa modalità di penitenza, infatti, inizia col pianto e cessa nella gioia; con questo esempio puoi conoscere quanto sia vero ciò che si legge: chi semina nel pianto, mieterà nella gioia (Sal 125, 5).

Osserva come la coscienza del penitente, divenuta libera dal peccato, obbedendo alle norme della Chiesa, subito prega per i suoi nemici affinché si convertano. Come egli ha ricevuto il perdono, così anche i suoi nemici carnali possano tornare alla grazia del Signore. Infatti quando dice arrossiscano, desidera che essi siano illuminati da un tale spirito di compunzione, da provare vergogna per le azioni compiute e da capire che sono nocivi quegli atti che prima consideravano proficui. Siano sconvolti, poi, viene detto in riferimento al timore per il giudizio futuro e per l'annuncio conturbante della Scrittura: affinché i più miseri degli uomini non cadano in quelle pene che sono minacciate dalla legge divina come imminenti. Se dice miei, vuol dire che ha abbandonato l'odio che aveva riservato al cumulo delle colpe.

Segue: Tornino indietro, perché non sia consentito che vadano là dove si sono ripromessi ma, una volta ritornati, vengano liberati dalla fossa della morte. Questo venne detto anche a Pietro che pensava secondo gli uomini: Torna indietro, Satana (Mc 8, 33), cioè non ti piaccia più, ciò che ti piace. Il malvagio, qualora ritorni indietro, viene purificato, se invece è il giusto a ricredersi, allora compie il male. Ma poiché qui sta parlando dei peccatori, giustamente ha desiderato per loro una inversione lodevole. Per evitare che essi non pensassero di rinviare ancora a lungo, ha aggiunto: si vergognino molto velocemente. O nobile desiderio di una santa mente! Chi, nella difesa dei propri interessi, si è spinto così tanto quanto ha fatto costui a favore dei suoi nemici più accesi? Di questi il Signore ha misericordia, di quanti non trascurano le occasioni di misericordia. È scritto anche nel Vangelo: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Mt 5, 7).

Conclusione

Sebbene dobbiamo prestare a tutti i salmi un'attenzione diligente, poiché da essi attingiamo grandi aiuti per la nostra vita, tuttavia penso che dobbiamo esaminare con massima attenzione quelli penitenziali, perché offrono al genero umano delle medicine appropriate. Con essi riceviamo purificazioni salutari per l'anima, così, morti al peccato, torniamo in vita, e, piangendo, raggiungiamo la gioia eterna.

[Quanto è stato detto] appartiene ad uno dei modi con cui si può affrontare un giudizio: il reo, introdotto alla vista dei giudici, sta davanti a loro e diluisce il suo peccato con le lacrime; confessandolo, lo dissolve e per il fatto che si condanna da sé, si serve del sistema migliore per essere assolto. In questo caso non c'è bisogno di un accusatore, ma egli diventa l'accusatore di se stesso. Merita il perdono, chi non si scusa della colpa commessa, né può essere sottoposto al giudizio, colui che non prova neppure a negare i propri peccati.

In questo caso cessa ogni procedimento, non si cerca di più di giungere alla sentenza, qui cadono tutte le circostanze concomitanti, poiché tutto viene manifestato in piena verità. Rimane necessaria solo quell'azione che viene chiamata indulgenza, poiché il reo non si scusa di ciò che ha commesso, ma desidera farlo conoscere. O inestimabile misericordia del Creatore! Il colpevole ha fatto in modo che la sentenza si mutasse in suo favore, poiché si è accusato con forza. Mai un accorto avvocato poté ottenere dal giudice tanto, quanto meritò [di ottenere] costui, con la sua semplicità, dalla misericordia divina.

Non ti sfugga che al numero sei, che nell'ordine dei numeri risulta essere perfetto, viene aggregata la persona del penitente. Al sesto giorno [Dio] creò l'uomo, alla sesta era del mondo Cristo Signore si degnò di venire nel mondo per liberarlo; al sesto giorno decise di farsi crocifiggere per la salvezza dell'uomo; questo numero sembra dunque alludere in modo assai conveniente alle origini dell'uomo e all'assoluzione dei peccatori.

Il beato Agostino non pensò di poter trascurare questo argomento dell'utilità, della forza e della grazia della penitenza e vi accennò in tanti ricchi libri, in vari passi; tuttavia in un libro particolare affrontò questo tema in modo ammirevole e breve, con la sua solita brillantezza [Aug. Sermo 352, de utilitate agendae paenitentiae – PL 39, 1549-1560].

SALMO 7

1. Salmo di Davide, che cantò al Signore per mezzo delle parole di Cusai, figlio di Iemini. Tutto questo argomento viene esposto in maniera più esauriente nel libro dei Re. Tuttavia riepilogherò brevemente gli elementi indispensabili per fornire una spiegazione del titolo. Quando Davide era oppresso dalla guerra crudele suscitatagli dal figlio Assalonne, fece venire al suo accampamento il suo amico Cusai per usufruire del suo consiglio, nella speranza che gli rivelasse in segreto, quanto veniva tramato contro di lui. Il suo stesso nome richiama il fatto che ho appena detto. Cusai, secondo l'insegnamento del padre Agostino, significa silenzio: egli lo mantenne fedelmente, quando gli fece conoscere nel modo più segreto ciò che era stato tramato per il futuro. Figlio di Iemini, significa figlio della destra. Anche questo corrisponde bene a lui, poiché gli fornì consigli sulla sua salvezza, compiendo un tradimento doveroso. Allo stesso modo il Signore nostro rimase in silenzio tra i giudei, quando visse i misteri della santa incarnazione. Fu un silenzio per gli increduli, mentre per i fedeli venne avvertito come parola. Il profeta, a somiglianza di Cusai, cantò questo salmo come anticipazione del mistero futuro del Signore. Come Davide sopportò la persecuzione ingiusta del suo figlio Assalonne, da lui generato ed educato, così il Signore affrontò l'odio scaturito da un'arroganza detestabile da parte del popolo che aveva liberato e conservato. Dobbiamo sapere poi che questo salmo è il primo di quelli che preannunziano i futuri misteri del Signore attraverso gli avvenimenti accaduti a Davide. Lo seguono infatti il salmo ventisei, il trentatre, il centoquarantatre; conviene leggerli tenendo presente lo figura dell'allegoria, cioè l'inversione: essa mentre afferma una cosa, vuole anche alludere ad un'altra.

Divisione del salmo

Il profeta porta l'argomento sul mistero futuro del Signore Salvatore, e a questi viene assegnato, in modo opportuno, il nome stesso di Davide secondo un significato mistico. Nella prima parte, con la sua persona, supplica il Signore affinché, con la sua potenza, lo liberi, da tutti i persecutori. La persona umana è una sostanza razionale, individuale, distinta dalle altre sostanze identiche grazie a proprietà particolari.

Nella seconda parte chiede lo stesso dono: che [Dio] lo soccorra con la gloria manifesta della sua risurrezione.

Nella terza parte, introduce a parlare lo stesso protagonista nella condizione umana della sua umiliazione; chiede di essere giudicato in base alla sua giustizia e alla sua fedeltà: che gli iniqui vengano persuasi ad evitare il castigo e i buoni ricevano i premi gratuiti promessi.

Nella quarte parte il profeta parla nuovamente, e ammonisce i giudei nella speranza che costoro, per paura del giudizio futuro, recedano dall'opera malvagia che si sono proposti, dal momento che non potrebbero sopportare le punizioni meritate.

Ora conviene indagare con mente sollecita, affinché possiamo meritare di penetrare la virtù del salmo, per dono divino.

Spiegazione del salmo

2. Signore Dio Mio, in te ho sperato, liberami da tutti i miei persecutori e salvami. Il profeta, pur vedendo di essere pressato dalla questione del figlio suo Assalonne, chiede di essere liberato da tutti i nemici, soprattutto da quelli spirituali, che massimamente conviene prevenire: i nemici carnali assalgono il corpo, ma quelli spirituali cercano di uccidere le anime. Liberami dal peccato, salvami dal diavolo. Veniamo liberati dal suo potere, quando, per la misericordia di Dio, ci purifichiamo dalla sporcizia dei delitti. La frase posta in precedenza presenta il motivo per il quale dovrebbe essere liberato: ha confermato di sperare in lui.

3. Perché non rapisca come un leone l'anima mia, mentre non c'è chi possa liberarmi e salvarmi. Il diavolo è equiparato al leone, ma anche Cristo spesso è paragonato a lui: il primo rapisce per uccidere, il secondo libera per dare salvezza. Ha assegnato termini appropriati ai diversi protagonisti: prega il Signore per essere liberato e così non possa essere rapito dal leone.

Soggiunge: mentre non c'è chi possa liberarmi e salvarmi; in altre parole, se tu smetterai di venire in soccorso, allora il diavolo riuscirà a rapire, proprio mentre il Creatore sarà impedito dall'aiutarci a causa del nostro rifiuto, dovuto ai nostri peccati. [Dio] infatti redime i fedeli, egli che diede il proprio Figlio come inestimabile prezzo per il genere umano. La salvezza non può venire da altri, se non dall'Autore della salvezza. In questo modo [il salmista], servendosi di queste luminose parole, ha presentato il Signore Cristo.

4. Signore Dio mio, se ho fatto questo, se c'è iniquità nelle mie mani. Qui egli dice: se ho fatto questo, e proseguendo spiega che cosa intenda dire con questo, quando afferma: se c'è iniquità nelle mie mani. Questa figura viene detta epexegesis, ossia spiegazione di un termine già usato. Ma questo non devi intenderlo in modo assoluto: perché non esiste un uomo che non abbia qualche iniquità nelle mani. Dicendo questo allude alla persecuzione del figlio Assalonne, dalla quale il profeta si vedeva oppresso ingiustamente. In che modo, poi, lo abbia trattato come nemico, lo mostra il testo dei Re (2 Sm 18, 5). Nel momento in cui inviava un esercito contro di lui, diede ordine ai comandanti di fare grande attenzione alla salvezza di Assalonne, che poi dovette piangere morto, con immenso dolore. Meritatamente dice che nelle sue mani non ci fu iniquità almeno in questa circostanza, proprio perché aveva voluto che egli gli sopravvivesse.

5. Se ho restituito il male ai miei avversari, cada, vuoto, per le mani dei miei nemici. La seconda attestazione della pazienza di cui ha parlato [sta in questo]: non ha voluto vendicarsi dei persecutori. Infatti trattò Saulo con grande misericordia, e lo restituì sano, quando spesso gli era stato consegnato e poteva farlo morire. Lo testimonia il testo di cui h parlato poco fa. Saul e Assalonne lo ricambiavano col male, proprio loro che in precedenza avevano ricevuto da lui un servizio di bontà. Nessun restituisce, se prima non ha ricevuto. Ma quest'uomo, pieno di Dio e assai fermo nella virtù della pazienza, si costringe ad usare una benevolenza perfetta, disposto, nel caso gli capitasse di rendere male per male, a cadere vuoto nelle mani dei suoi nemici, cioè, svuotato della ricompensa di una grande mitezza; e non riferisce [ad altri] di questa lotta, affinché sia il Signore ad imporgli la corona. Se esamini in profondità, troverai che vengono esposti alcuni contrassegni della passione del Signore, quando l'infedele giudeo contraccambiò col male, sebbene dal suo Creatore avesse ricevuto sempre dei beni ineffabili.

6. Il nemico perseguiti la mia anima, la afferri e calpesti a terra la mia vita e trascini nella polvere il mio onore. Considera come nemico il diavolo, che distrugge le anime che ha catturato. Dopo averle vinte, provoca la morte, non la salvezza. Questo fa delle anime, che ha vinto in modo crudele, e le costringe a macchiare le loro azioni con la sporcizia della terra. Di conseguenza l'ordine delle parole è disposto in modo consequenziale: prima ha detto che intende catturarle e poi che le avrebbe calpestate.

E la mia gloria getti nella polvere; cioè l'onore dell'uomo catturato, il quale sa di essere stato creato a immagine e somiglianza divina. Lo getti in quella polvere che viene spazzata dal vento sulla superficie della terra. Così mentre pone per sé una condizione, descrive con un tocco preciso la rovina dei peccatori.

Dopo aver spiegato i tre versetti precedenti, dobbiamo dire perché in essi compaia la seconda forma del sillogismo ipotetico, il quale può apparire anche con questa modalità, come è risaputo. Il sillogismo ipotetico, cioè condizionale, è [quella figura] che collega ad una conclusione un [presupposto messo] sotto condizione o un presupposto espresso in modo condizionale. La sua formulazione avviene nel modo con cui si può cogliere da questa frase: Signore Dio mio, se ho fatto questo, se c'è iniquità nelle mia mani, se ho restituito il male ai miei avversari, cada, vuoto, per mano dei mie nemici: il nemico perseguiti la mia anima, la afferri e calpesti a terra la mia vita e getti nella polvere la mia gloria.

Secondo le norme dei dialettici la conseguenza risultante (reciprocatio) da questa argomentazione sarebbe questa: se non cadrò, vuoto, per mano dei nemici, se il nemico non perseguiterà la mia anima e non la afferrerà, se non calpesterà a terra la mia vita, se non getterà nella polvere il mio onore, Signore mio Dio non ho fatto questo, non c'è iniquità nelle mie mani, non ho restituito il male ricevuto dai miei avversari.

Da questa conseguenza si apre la seguente prospettiva: allora non cadrò, vuoto, per mano dei nemici, allora non perseguiterà il mio nemico la mia anima, allora non l'afferrerà né calpesterà in terra la mia vita né getterà nella polvere il mio onore. Questa conclusione deriva dalla conseguenza [accolta]. Quindi, Signore Dio mio, non ho fatto questo, non c'è iniquità nelle mie mani, non ho ripagato col male i miei avversari.

Queste cose trattiamo in modo sommario e semplice, per non dilungarci. Se qualcuno, desidera avere una conoscenza completa di queste figure o di queste forme di sillogismo, semplici o composti, consulti Aristotele, tra gli autori greci, o Mario Vittorino tra i latini e facilmente ognuno si consoliderà in questa materia, che ora forse giudicherà difficile. [Aristot. Prior. Analytic. Libri II, Boethio interpretante – PL 64, 639 sqq. ; Marius Victorinus de Definitionibus – PL 64, 891 sqq]

7. Sorgi, Signore, nel tuo sdegno, esaltati nei domini dei tuoi nemici. Sorgi, Signore mio Dio, nel precetto che hai comandato. Viene alla seconda parte nella quale passa a trattare quella somiglianza col Signore Salvatore che aveva indicato. Ma questa preghiera si eleva a tre livelli. Il primo è questo: chiede che sorga nell'ira, cioè che restituisca il contraccambio. Tuttavia non provoca Dio all'ira perché sa che egli è molto mite, tanto più che prima aveva detto, parlando di sé: se ho ricambiato il mio nemico con il male, ma parla così alla maniera umana, in modo allegorico. In verità questo contraccambio, denominato ira, deve essere rivolto contro il diavolo, il quale tante volte riceve una punizione, quante il peccatore, già a lui sottomesso, viene sottratto al suo potere. Esaltati nei domini dei nemici, cioè mostra la tua grandezza nel possedimento del diavolo, quello che egli conserva nei peccatori. Dio è magnificato in loro, quando convertendosi, offrono una confessione di lode.

Il secondo livello è questo: Sorgi Signore, nel precetto che tu hai comandato, è lo stesso discorso che aveva detto prima parlando di ira, vuole parlare di contraccambio, non di violenza. Diede questo messaggio come comando quando nel Vangelo disse ai suoi discepoli: il terzo giorno risorgerò e vi precederò in Galilea (Mt 26, 32). Mentre compiva queste cose, è stato esaltato in tutta la terra, dominata fino a quel momento dalla potenza del diavolo e gli rese il contraccambio quando gli sottrasse ciò che possedeva. Osserva come, a modo di profezia, annunzi le cose future come se fossero già accadute: nel precetto che hai comandato, cioè quella che sta ancora per dare; come quello che si trova nel salmo ventuno: trapassarono le mie mani e i miei piedi, contarono tutte le mie ossa (Sal 21, 18), ecc.

8. L'assemblea dei popoli ti circonderà e per essa ritorna in alto. Prima aveva chiesto che venisse, ora invece mostra [di chiedere] che egli possa essere esaltato alla sua venuta. Come se dicesse: Tu stai per venire a liberarci, ma le folle dei giudei, con mente insana, ti perseguiteranno. Assemblea [lett: sinagoga] significa, qui, la raccolta degli empi non il raduno di anime devote. Se infatti il popolo dei giudei, nella sua totalità, avesse creduto in lui, sarebbe stato accolto con animo devoto.

Per essa ritorna in alto. Per essa, cioè la sinagoga, la quale, invece, fu infedele a causa del comportamento ostile. Non poté abitare in essa poiché ella oppose un rifiuto a causa della sua infedeltà. Ritorna in alto, in sintonia con la frase del Vangelo: Nessuno ascende al cielo, se non colui che è disceso dal cielo (Gv 3, 13). Ritornare è, infatti, andare a ritroso fino là dove si era partiti, ripetendo il cammino. Di questa gloriosa ascesa, in un altro salmo dirà: Ascese sopra i cieli e volò, volò sulle ali dei venti e pose nella tenebra il suo nascondiglio (Sal 17, 11).

9. Signore, giudica i popoli. Giudicami, Signore, secondo la mia giustizia, e secondo l'innocenza delle mie mani che è in me. Viene nella terza parte del salmo, dove ormai parla il Signore Cristo, dalla condizione umana per la quale ha patito. Infatti quando dice: Signore, giudica i popoli, attesta la grandezza del Padre onnipotente. Invece quando chiede: Giudicami, Signore, secondo la mia giustizia, e secondo l'innocenza delle mie mani che è in me, fa parlare l'umiltà dell'umanità, che ha preso dal grembo verginale di santa Maria. In un solo versetto ha racchiuso i segreti di realtà così grandi. Osserva in che modo sia stato conservato l'ordine di tutta la verità. In precedenza il profeta aveva dichiarato l'innocenza delle sue mani in relazione ad un'unica questione, ora, invece, si esprime in modo globale nella persona del Signore Salvatore, poiché riconosce di non aver avuto alcun peccato. Giustamente chiese di essere giudicato secondo la sua giustizia, perché da maestro perfettissimo ha messo in pratica i precetti della sua divinità: non restituì male per male; per le colpe di altri salì innocente sulla croce; pregò per i persecutori mosso da una misericordia inestimabile, e fece tutto il resto che viene narrato dal testo evangelico con verità.

Ma poiché ciò viene attribuito in speciale modo alla purezza del cuore, qui viene detto, secondo l'innocenza delle mie mani. Questo modo di parlare è una forma tipica delle Scritture divine, che si serve di un mutamento di termini, come troveremo nel salmo decimo: Le sue palpebre interrogano i figli dell'uomo (Sal 10, 5), benché non siano le palpebre ad interrogare ma la lingua.

10. Poni fine al male degli empi e guida il giusto. Chiede di affrettare il momento della morte, affinché venga glorificata presto la sua ascensione. L'iniquità dei peccatori giunse al punto culminante, quando il Signore fu crocifisso. Non avrebbero potuto aggiungere altro ancora, neppure se fossero impazziti di crudeltà. Lo stesso termine lo usò lui stesso trovandosi sulla croce: Tutto è compiuto (Gv 19, 39). Il giusto venne guidato, quando risorse dai morti e salì al regno dei cieli. Così sembra invocare per impegno d'amore ciò per cui la vita di tutti avrebbe raggiunto la pienezza.

Tu che scruti cuori e reni Dio giusto. Questo è proprio della potenza di Dio sia esaminare i nostri cuori, sia penetrare con la luce della sua potenza la forza del nostra animo. Infatti sebbene le potenze celesti siano molto più elevate di noi, tuttavia a nessuna creatura è dato di conoscere in modo pieno i segreti dei nostri pensieri. Ci conosce perfettamente solo Colui che ci giudica, per questo penso che venga detto: Chi sei tu che pretendi di giudicare un servo straniero? (Rm 14, 47); ossia che non comprendi i suoi pensieri. Infatti non possiamo essere manifesti neppure a noi stessi nella misura in cui appariamo al cospetto di Dio. Leggiamo a proposito dell'uomo: I peccati chi li comprende? (Sal 18, 13). Penso che il termine cuori sia stato messo al posto di pensieri, e i reni al posto di forza d'animo molto costante, oppure al posto di piaceri fisici.

11. Il mio aiuto viene dal Signore, che salva i retti di cuore. Ci parla dell'incarnazione assunta per noi, per rianimarci. Infatti sebbene sembri parlare di se stesso in riferimento [alla sua umanità], a ciò per cui è soggetto al Padre, infonde tuttavia speranza in coloro che credono in lui con inestimabile devozione. Infatti sebbene sia formato di un'unica persona di Dio e uomo, l'umanità considera un aiuto per sé la potenza del Verbo, che elargì perdono e salvezza ai retti di cuore. Comprendi che all'inizio il profeta chiese di essere liberato: qui invece il Cristo promette a se stesso l'aiuto del Signore, come dice nel Vangelo: Tutto ciò che il Padre possiede è mio, e quanto possiedo è del Padre (Gv 16, 15). Chiede come servo: promette a se stesso come Signore.

12. Dio è giudice giusto, forte e paziente: sarà forse adirato tutto il giorno? È giunto alla quarta parte, nella quale il profeta celebra la lode al Padre da se stesso, mentre incute grande timore ai giudei ostinati e conferma nella speranza coloro che desiderano ritornare a lui. Dio viene considerato giusto, poiché, al termine, dona a ciascuno secondo la sua opera. Forte, perché nessuno può opporsi alla sua volontà. Paziente, perché ogni giorno attende che si convertano coloro che avrebbe già potuto condannare a causa dei loro delitti. Forse sarà adirato? [Questo] deve essere detto con stupore, perché tale ipotesi negativa è rifiutata. È detto che si adira alla maniera dei giudici, i quali quando desiderano vendicare dei delitti pronunciano la sentenza con severa indignazione. Ma questo non conviene a Dio, perché dove c'è una vendetta appassionata, non c'è una giustizia imparziale. Tutto il giorno, cioè in ogni momento, così come quando viene commesso il peccato. Dove sarebbe la pazienza ammirevole, se la pena seguisse l'offesa in modo immediato?

13. Se non vi convertirete, egli farà vibrare la sua spada, tenderà il suo arco e lo preparerà. Minaccia i giudei ostinati i quali, disprezzando la legge divina, si posero al servizio degli idoli con un culto del tutto infame. A costoro egli dice: se non vi convertirete, farà vibrare la sua spada; cioè invierà il suo Figlio unigenito, di una chiarezza splendente. Diciamo che vibra ciò che ora appare come luce, ora ombra tremolante. Questo è quanto è accaduto a partire dall'incarnazione di Cristo Signore: qui egli mostrò agli increduli le tenebre e ai credenti la luce della sua divinità. La spada indica poi la parola, come dichiara anche l'apostolo: la spada dello Spirito cioè la Parola di Dio (Ef 6, 17). Nell'arco, poi, vediamo significato la Scrittura del Nuovo e dell'Antico Testamento, la quale, curvandosi in due pieghe, si abbassa sulle spalle dei credenti. Essa viene avvertita come un giogo soave dai fedeli ma ai ribelli viene annunciata come arma temibile. Viene aggiunto: ha teso, perché non si pensasse che la sua pazienza fosse venuta meno. Alla fine ha precisa: lo ha preparato, per adeguarsi totalmente al modo di fare degli arcieri, i quali, dopo aver puntato il loro arco in direzione del bersaglio ed aver teso le braccia, dispongono la mano a scagliare la freccia. Vediamo adesso quali frecce abbia scagliato l'arco così predisposto.

14. In esso ha preparato vasi di morte; fece ardenti le sue frecce. In questo versetto viene manifestato il progetto della maestà divina: poiché attraverso l'arco, ossia il Vecchio e Nuovo Testamento, come ho già detto, giunge un'azione di morte ma viene anche donata una freccia che comunica vita. Furono scagliate da questo arco come delle frecce, cioè gli apostoli i quali, grazie all'ardore del loro animo, ossia la forza del desiderio, inviarono insegnamenti di salvezza, come fossero delle frecce, con le quali gli empi furono feriti e i fedeli ottennero una cura efficace. Fece, significa portò a compimento; anche quella parola che venne seminata con autorità dal padre Gerolamo. [Hieron. Psalt. Iuxta Hebreos 7, 14 – edid. De Sainte-Marie, p. 15]

14. Ecco ha partorito ingiustizia, ha concepito dolore e ha generato iniquità. Esaminiamo con acutezza le parole che sono state pronunciate. Il popolo dei giudei ha partorito ingiustizia, quando, pur avendo visto il Signore operare miracoli per la salvezza degli uomini, tramò di dare fine alla sua potenza. Ha concepito dolore, quando li rimproverava con molteplici parabole, per convertirli dalla loro perversità. Ha generato iniquità, quando gridò: Crocifiggilo, crocifiggilo (Lc 23, 21). Opportunamente ha scritto partorito, come se avesse messo al mondo figli molto empi. Ogni frutto, per somiglianza richiama il produttore, come è detto in un altro testo: dai loro frutti li riconoscerete (Mt 7, 20). Sebbene venga prima il concepimento e dopo il parto, giustamente ha parlato prima del parto perché non si pensasse che questa iniquità fosse stata ingenerata da un male estraneo, ma fosse chiaro che apparteneva a loro.

16. Ha aperto una fossa, l'ha scavata e cadde nella fossa che fece. Si chiama fossa una [cavità] il cui fondo rimane nascosto, mentre il terreno all'intorno conduce dentro la buca. Questa, costituito da una depressione leggera, inganna coloro che la scorgono infondendo loro una tranquillità ingannevole perché non lascia capire quanto essa sia profonda. Fu una fossa d'iniquità di questo genere anche quella che scavò la malvagità di Giuda: ha aperto, perché per primo intraprese lo sterro; l'ha scavata, perché la completò fino alla sua dannazione; cadde nella fossa che fece, ossia nella voragine della morte. Questo termine può significare in modo appropriato un precipizio o un sepolcro, come attesta Salomone: Chi scava una fossa al prossimo, cadrà in essa (Pr 26, 27). Incomincia lui ad agire male, ma prima di danneggiare un altro, provoca la rovina a se stesso.

17. Si ritorcerà il suo dolore sulla sua testa e la sua ingiustizia discenderà sul suo vertice. Qui per testa dobbiamo intendere la nostra anima, quella parte di noi grazie alla quale siamo senza dubbio più elevati. Ad essa stanno sottomessi i peccati, quando vengono tenute a freno gli istinti pericolosi. Se accade che l'anima venga dominata dal male, avviene di necessità che abbiano la prevalenza su di lei tutte le negatività che traboccano da una massa d'iniquità.

Viene chiamato vertice, ciò che muove i capelli a destra e a sinistra, ossia la sommità della testa. Giustamente lo chiamiamo anche ragione, perché è il punto culminante della parte contemplativa dell'anima, per cui è costituita ad immagine del glorioso Creatore. Se essa viene travolta dalla massa dei peccati, necessariamente precipiterà sopra la ragione, tutto ciò che s'era accumulato per la crescità dell'iniquità.

Se poi esaminiamo il termine stesso scopriremo che esso sottintende molteplici significati. Il primo consiste in questo: l'iniquità, mentre discende precipitando dall'alto, percuote con violenza. Inoltre espone in modo efficace in quale modo gli empi vengano torturati; infatti mentre i peccati piovono sopra di loro, vengono trascinati dai loro misfatti e dai loro crimini verso le pene comminate. È chiamato dolore, un acuto sentimento che è dominabile.

18. Loderò il Signore secondo la sua giustizia e canterò il nome di Dio l'Altissimo. Dopo aver esposto le opere del Padre, con le quali aveva distolto dal male il popolo giudaico proprio grazie alla manifestazione dei miracoli, sintetizzando in modo completo quello che ha detto, dichiara di confessare il Signore con prontezza. Confessare viene detto in due circostanze: la prima quando condanniamo i nostri peccati con umile pentimento; come riscontriamo nel profeta Daniele: Confesserò i miei peccati e i peccati del mio popolo (Dn 9, 20). La seconda, di cui ora stiamo parlando, quando celebriamo le lodi del Signore con grande gioia, come leggiamo nel Vangelo: Ti loderò, o Padre, Signore del cielo e della terra: hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli (Mt 11, 25). Qui non si parla affatto di peccato, ma soltanto di motivi di ringraziamento. Questa confessione deve essere intesa come lode pubblica, offerta con animo lieto dall'uomo di Dio. Secondo la sua giustizia: sia perché costringe i superbi a pagare per i loro crimini, sia perché si degna si perdonare gli umili. Cantare significa compiere a fatti i comandamenti del Signore e cantare inni con la voce e con il cuore; è ciò che il profeta si ripromette di fare, poiché sapeva che questo era veramente gradito a Dio.

Conclusione

Si sono aperti davanti a noi i mirabili misteri di questo salmo, se ci pensiamo attentamente. Nella prima parte insegna la penitenza fruttuosa, che rende perfetti i cristiani. La pazienza è la sopportazione riconoscente di tutte le fatiche e di tutti i dolori dell'uomo religioso, in vista dei beni futuri e per l'amore verso il Signore.

Nella seconda parte il Signore stesso promette la salvezza ai retti di cuore.

Nella terza gli empi vengono atterriti, per impedire che, perseverando nell'errore, vengano condannati nel giudizio.

Quanto è grande, veramente, la misericordia del Creatore! Non vuoi abbandonare coloro che tu sai dovranno comparire al tuo giudizio; e per un mistero di misericordia immensa, sottometti i colpevoli, mentre perdoni a chi confida in te. Chi potrebbe passare indenne il tuo giudizio, se non gli venisse incontro in anticipo la tua misericordia?

Il numero sette ci invita a meditare sul riposo eterno e a questa speranza si protende il salmo presente, affinché, una volta compreso il significato di questo numero, cantiamo con gioiosa esultanza. Non c'è alcun dubbio del fatto che, trascorsi questi giorni che competono al periodo di azione, il settimo venga destinato al riposo, perché esso, come si sa, forma un tutt'uno con la contemplazione divina.

SALMO 8

1. Per la fine, sui torchi, salmo di Davide. Per la fine: è già noto dalla spiegazione sul titolo del quarto salmo che queste termine significa il Signore Salvatore.

Il torchio è quello strumento in cui le uve pressate da molti pesi, sminuzzate da ingranaggi potenti, liberate dalle scorze, emanano dolcissimi vini.

Questa immagine sembra adattarsi alla Chiesa in modo appropriato, [quando in essa] dai comportamenti induriti, dalla gonfia superbia, dalla torchiatura della penitenza, sgorgano dolci lacrime di salvezza. Simile a questa similitudine è anche quella dell'aia dove, per effetto di una continua macinazione, la paglia viene separata dal grano. È giusto pensare, allora, che questo salmo sia stato pronunciato dalla persona della prima Chiesa: in essa il torchio rappresenta un'attività del corpo ma il frutto è la salvezza delle anime. Infatti se il Vecchio e il Nuovo giustamente vengono chiamati entrambi Testamento, mentre si insegna che la Legge è di uno solo, perché esitiamo ad affermare che l'antica e la nuova chiesa siano un'unica sposa del Cristo Signore?

Divisione del salmo

L'antica chiesa, la quale da noi è stata vista raffigurata in modo perfetto nel torchio, nella prima parte, celebra gioiosa le lodi di Cristo Signore, proclama la sua grandezza e le sue opere eccelse.

Nella seconda parte parla della natura umana, della quale dice che dalla condizione pessima, in cui venne a trovarsi quando fu contaminata dal peccato di Adamo, fu innalzata alla gloria delle dignità più grandi.

Nello stesso tempo il Signore Cristo è riconosciuto, in modo salvifico e con ogni certezza, come un'unica persona, da due e in due nature, in modo distinto, senza mescolanza tra di esse.

Bisogna fissarsi nella mente che questo salmo celebra con grande onore la natura umana assunta da Cristo Signore, al punto da dichiarare in modo palese che essa è stata collocata al di sopra di ogni altra creatura. Lo conferma anche l'apostolo: a quale degli angeli ha detto: Siedi alla mia destra, finché ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi (Eb 1, 13). E in un altro passo: Pur essendo di natura divina, non considerò una rapina l'essere uguale a Dio (Fl 2, 6-9) e subito dopo, aggiunge: per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome.

Spiegazione del salmo

2. O Signore, Signore nostro, quanto è ammirevole il tuo nome su tutta la terra! O Signore si trova al caso vocativo, e, contrariamente alla norma grammaticale, viene unito ad esso un nominativo che è Signore nostro. Questa figura viene chiamata syllepsis, [che si verifica] tutte le volte in cui, pur usando casi diversi, si perviene all'identico significato.

Veramente gode colei che dice nostro. È necessario infatti che sentiamo il dovere di esultare dei beni di colui, al quale affermiamo di appartenere. Quando [il salmista] dice, quanto, non riesce ad esprimere ciò che prova. Chi infatti potrebbe conoscere, in modo adeguato, gli esseri di tutta la terra, o quelli che sono presenti nello spazio del mare, o quelli sparsi nell'aria vuota o l'ornamento degli astri, quanto il Signore ha creato con la forza ineffabile della sua sapienza? La chiesa considerando tutto questo, desiderando una comprensione e rimanendo intenta ad essa, proclama: Quanto è ammirevole il tuo nome ecc.

Su tutta la terra, perché per tutto il mondo si espande la sua santa religione e non c'è alcuna nazione dove la chiesa cattolica non debba rallegrarsi. Perciò la smettano i Giudei e i Donatisti di gloriarsi di un tale vanto, dal momento che vedono come essa abbia raggiunto un'universalità ancora più grande.

Quanto è sublime la tua magnificenza sopra i cieli. Nel versetto precedente ha fatto cercare, ciò che ora espone con competenza. La magnificenza è il mistero dell'incarnazione del Signore; tra i suoi molteplici prodigi questo ci riguarda più d'ogni altro, che Dio si sia degnato di diventare uomo e che abbia sopportato la croce per la salvezza di tutti. In questo infatti la magnificenza è elevata al di sopra dei cieli e di tutte le creature: il Signore Cristo, risorto dai morti, siede alla destra del Padre, come afferma un altro salmo: Innalzati sopra i cieli, Dio, su tutta la terra la tua gloria (Sal 107, 6).

3. Dalla bocca degli infanti e dei lattanti hai reso perfetta la lode. Questa profezia viene spiegata nel vangelo dalla bocca stessa del Signore, quando i bambini ricevettero la proibizione di lodare il Signore dai giudei, pensando questi che fosse qualcosa di puerile, ciò che a quell'età poteva essere fatto. Allora egli rispose loro: Non avete letto: dalla bocca degli infanti e dei lattanti hai reso perfetta la lode? Perché tu non pensi che si riferisca a quei lattanti, che ancora oggi si nutrono al seno della madre, i quali solo per poco poterono cantare le lodi del Signore, l'apostolo Pietro esorta anche quelli di età avanzata: come bambini appena nati, desiderate il latte spirituale e puro, per crescere con esso verso la salvezza (1 Pt 2, 2). Perciò dobbiamo pensare che gli infanti e i lattanti sono coloro che a causa della debolezza e dell'età non possono prendere un alimento più robusto, ma si nutrono di un insegnamento più elementare. Il significato, allora, è il seguente: non devi essere lodato solo dalle persone mature che ti comprendono molto bene, ma vieni celebrato anche dalla bocca degli inesperti e dei bambini.

A causa dei tuoi nemici: per distruggere il nemico e il difensore. A causa dei tuoi nemici, allude ai pagani e ai blasfemi perché non dicano cose sacrileghe; sono i dotti perciò che lodano Dio, perché vengono colmati dalle riflessioni sui libri. Confessa che anche i bambini sono in grado di lodare, coloro che hanno intrapreso ad andare verso il Signore con la freschezza della fede, affinché risulti manifesto che questa sapienza sia un dono divino piuttosto che un'abilità acquisita dallo sforzo umano.

Il nemico e il difensore, si riferisce in modo particolare al giudeo incredulo, il quale mentre è convinto di difendere Dio Padre, si pone come nemico del Figlio. Mentre sembra un difensore strenuo di Dio, risulta un avversario di Dio. Infatti non può venerare il Padre, chi non onora anche il Figlio, come ha detto Egli nel Vangelo: Chi non onora il Figlio, non onora neppure il Padre che lo ha mandato (Gv 5, 23). Questa vale anche per tutti gli eretici i quali, mentre credono, per una cattiva interpretazione, di difendere la Sacra Scrittura si pongono in contrasto coi santi insegnamenti, con animo perverso.

4. Se guarderò i cieli opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai creato. Questo lo afferma la Chiesa gloriosa parlando del futuro, quella che, prima della venuta del Signore, era allora formata dai patriarchi e dagli uomini santi. Dice infatti, se guarderò il cielo, cioè i libri del Vangelo i quali, giustamente, vengono denominati cieli, poiché contengono il Signore Salvatore, che ha detto: Il cielo è la mia dimora, la terra, invece, lo sgabello dei miei piedi (Is 40, 12).

Che cosa siano i cieli, li ha definiti in breve [chiamandoli] opera delle tue dita. Infatti se, come leggiamo nell'Esodo (31, 18), la legge è stata scritta col dito divino, interpretato da molti come una prefigurazione dello Spirito Santo, concludo che qui abbia scritto dita per parlare dei libri divini realizzati in evidenza per cooperazione della santa Trinità. In un altro passo si legge: ha costituito con tre dita la mole della terra (Is 40, 12). Questo và interpretato in modo simile come un mistero. Per dito di Dio si intende il risultato dell'opera divina, che può essere attribuita in modo conveniente al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, cioè all'unico Dio.

Segue: la luna e le stelle che tu hai fondato. La Chiesa dichiara di vedersi prefigurata nelle fasi di aumento e di calo subite dalla luna: cresce per la fede di molti, proprio mentre ad alcuni sembrava che diminuisse per la morte dei martiri. La Chiesa è vista con queste diverse possibilità, a seconda dei pareri degli uomini. Del resto essa cresce per mezzo delle sofferenze, e ed aumenta sempre nei dolori.

La luna viene presa come immagine per indicare aspetti diversi, tra loro contrastanti: ora, in riferimento a tutta la Chiesa, è detto: finché sorga la luna (Sal 71, 7); ora a qualcuna delle sue membra più illustri, come nel caso presente; ora, invece, in riferimento allo stolto, come attesta Salomone: lo stolto cambia come la luna (Sir 27, 12).

Ha parlato anche delle stelle, riferendosi agli uomini giusti e pii, dei quali è scritto: come una stella differisce da un'altra in splendore, così avverrà alla risurrezione dei morti (I Cor 15, 41, 42).

Ha aggiunto: che tu hai fondato, perché sapessimo che tutte sono state fondate nel suo giudizio di predestinazione. Oppure questo è utile per esprimere la divinità del Verbo, affinché si credesse che ha fatto la totalità delle cose in quella condizione [divina]. Pur menzionando [esplicitamente solo] questi tre elementi, pare che abbia voluto comprendere tutto, come appare evidente nell'altro versetto: In principio Dio creò il cielo e la terra (Gen 1,1). [L'evangelista] menzionando due elementi, ha incluso in esse il tutto, disponendo in un ordine stupendo i temi del suo discorso; infatti dal momento che si accingeva a parlare, subito dopo, della santa incarnazione, in un primo tempo ha dovuto manifestare la sua divinità ed onnipotenza.

5. Che cos'è l'uomo che tu lo ricordi e il figlio dell'uomo perché tu lo visiti? Viene alla seconda parte, dove mediante un solo versetto e in un'unica risposta a due interrogativi, l'uomo viene considerato povero e molto misero. Questa figura viene chiamata peusis e in latino domanda (percunctatio): in questo caso alla formulazione di un interrogativo segue immediatamente una risposta già preparata, come già stabilimmo nel salmo quarto.

Che cos'è l'uomo? La domanda viene formulata in un tono tale da presupporre che sia qualcosa da poco. In altre parole, [si pensa] che egli sia fragile e caduco, seguace di Adamo, e che, colluso nell'antico peccato, si sia legato in una mala società con lui. Il Signore si ricorda di lui, quando perdona i suoi peccati e gli concede i doni della sua misericordia, come è esplicitato in un altro salmo: i figli dell'uomo si rifugiano all'ombra delle tue ali; si saziano all'abbondanza della tua casa e li disseti al torrente delle tue delizie (Sal 35, 8). Questo significa ricordarsi, elargire ai colpevoli la protezione in un amore così forte.

E il figlio dell'uomo perché tu lo visiti? Con questo discorso sta per innalzarsi, perché allude al Signore Salvatore. Questi non è nato da due uomini, come avviene per gli altri mortali, ma dallo Spirito Santo e uscì dal grembo dalla beata Maria sempre vergine come uno sposo dal suo glorioso talamo.

Osserva che nella prima parte del versetto ha detto ti ricordi, e subito dopo, lo visiti. Si ricordò quando, rimanendo in cielo, ebbe misericordia dei patriarchi; lo visitò quando il Verbo si fece carne e abitò fra noi (Gv 1, 14). Infatti visitare, lo diciamo del medico che entra in casa presso un ammalato ed è questo che è accaduto davvero alla venuta del Signore.

6. Lo hai fatto di poco inferiore agli angeli: di gloria e onore lo hai coronato. Qui si parla dell'umiliazione e della glorificazione del Signore Salvatore. Fu umiliato non perché [forzato] da una deliberazione di costrizione, ma per una decisione spontanea della sua solidarietà, come dice l'apostolo: annientò se stesso assumendo la condizione di servo (Fil 2, 7).

Segue: di poco inferiore agli angeli; perché prese la croce per la salvezza degli uomini. Da questo punto di vista il Creatore degli angeli divenne inferiore agli angeli. Ha detto in modo appropriato: di poco inferiore, perché, anche se ha assunto un corpo mortale, tuttavia non peccò. Di gloria e di onore lo hai coronato, perché dopo la risurrezione così ammirevole, innalzato come Dio, guadagnò la fede del mondo intero, nel quale si era incarnato. La corona viene paragonata in modo appropriato al cerchio del mondo, dal momento che tutto il perimetro del cosmo è in forma circolare.

7. Lo hai posto sopra le opere delle tue mani. Tutto hai messo sotto i suoi piedi. In precedenza abbiamo parlato della sua gloria e del suo onore; ora si parla anche del suo dominio, affinché l'autorità di Cristo Signore venga conosciuta nel ambito completo.

Dicendo infatti, sopra le opere delle tue mani, mostra soggetta a lui ogni creatura; poiché come nulla sfugge all'azione del Signore, così non c'è alcuna cosa che sembri porsi al di fuori del potere di Cristo, visto che sarà lui a giudicare il mondo. Dicendo tutto non esclude nulla, né della terra né del cielo, come spiega in riferimento a questo versetto l'apostolo, il commentatore ispirato: a Colui al quale tutto è stato sottomesso, non lasciò nulla che non gli fosse sottoposto (Eb 2,8). Infatti in un altro passo dice: Adoratelo, tutti suoi angeli (Sal 96, 8).

Ha aggiunto: sotto i suoi piedi, affinché ogni creatura giustamente veneri e adori il proprio creatore. Osserva come tutto sia stato lasciato nel suo ordine. In precedenza aveva detto che Egli, a causa dell'umiltà della sua carne, era stato abbassato di poco inferiore agli angeli; dopo l'ascensione dice che tutto è stato posto sotto i suoi piedi; questa differenza, mentre toglie ogni titubanza ai dubbiosi, rivela la gloria della santa incarnazione.

8. Greggi ed armenti, perfino le pecore dei campi. In questo e nel versetto successivo compare quella figura che viene chiamata enumerazione. È vero che a questi nomi e agli altri che seguono, dobbiamo attribuire un significato allegorico, affinché non sembri che, dopo aver parlato di esseri ragionevoli, si sia messo a parlare in modo disorganico di pecore e di giumenti. Per gregge si intende l'eletto popolo cristiano, come nel Vangelo il Signore dice all'apostolo Pietro: Pasci le mie pecore (Gv 21, 18). Esso è paragonato alle pecore poiché, con l'aiuto divino, domina nel comportamento gli istinti nocivi; poi perché accetta le spogliazioni del mondo senza alcun sentimento di dolore. Infatti come la pecora non rimprovera il suo tosatore, così il giusto non accusa di cupidigia colui che lo spoglia.

I buoi designano i predicatori, perché questi, arando gli animi degli uomini coi comandamenti divini, fanno crescere il raccolto delle virtù. Non trascurare il fatto che dica perfino perché a lui non si sottomettono soltanto i santi ma anche i peccatori. Spesso, anzi, il Signore Cristo trionfa in questi convertiti con una gloria ancora maggiore.

Le pecore infatti sono coloro che, se ne stanno nell'ampiezza del campo, ossia quelli che si cibano dei piaceri di questo mondo; mentre le greggi sono coloro che si trovano rinchiusi nel recinto del Signore.

9. Gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono i sentieri del mare. Gli uccelli del cielo, rappresentano gli uomini orgogliosi che gonfiati dal vento della superbia, vengono trascinati nel vuoto dell'aria, e mentre si elevano in alto, disprezzano gli umili. Gli uccelli (volucres) sono detti così dal volo intenso.

I pesci del mare rappresentano forse i filosofi i quali approfondiscono la natura dell'universo con una curiosità inquieta. Infatti come questi, con la fronte incurvata, aprono per sé dei sentieri nella massa d'acqua del mare, tutta confusa, allo stesso modo anche costoro, a testa bassa, cercano di scoprire, per mezzo della razionalità, i caratteri delle cose, con un lavoro faticoso. Proprio perché vi sono anche pesci di acqua dolce, non trascurare che qui abbia menzionato quelli del mare, a motivo di quelli che ritengono di essere sapienti. In verità costoro, e tutti quelli che sono simili a loro, felicemente si sottomettono ai piedi del Signore quando giungono ad amare la religione cristiana. Infatti sebbene tutto sia sottomesso a lui per diritto di conquista, consideriamo tuttavia che gli sono sottoposti in verità, coloro che meritarono di prendere su di sé il suo peso leggero e il suo giogo soave.

10. O Signore, Signore nostro, quanto è ammirevole il tuo nome su tutta la terra. Dopo che la Chiesa ha celebrato con gioia l'incarnazione del Signore Cristo e la gloria della risurrezione, ripete a lode del Signore lo stesso versetto che aveva detto al principio. Giustamente il principio e la fine vengono identificati col Lui, che ha detto di sé: Io sono l'Alfa e l'Omega (Ap 1, 8), cioè il principio e il compimento.

Ma poiché le parole di Dio sono feconde, esse generano per noi altri significati ancora. Significano infatti anche le persone la cui vita, incominciata tra i doni divini e le promesse divine, si è mantenuta nell'ambito della fede nel Signore.

Bisogna non dimenticare, inoltre, che questo è il primo salmo tra gli altri che si sdoppia in una ripetizione salvifica, mediante la ripetizione del versetto. Questo lo faremo osservare con precisione anche a proposito di altri, a suo tempo.

Conclusione

Il secondo salmo e l'attuale parlano delle due nature del Signore Cristo, ma lo faranno anche altri, in seguito, come il venti, il settantuno, l'ottantuno, il cento uno, il cento nove, il cento trenta otto, affinché mentre avanziamo nell'oscurità di questo mondo, come forniti da molteplici lampade accese, evitiamo di cadere nelle trappole degli eretici. Perciò riconosciamo chi sia l'autore di così tanti doni. Uno è il Signore Cristo, generato dal Padre fuori del tempo, nato da una madre nel tempo. Dapprima ha creato il mondo dal nulla, in seguito lo ha liberato da una rovina immane. Tale è l'unione della divinità e dell'umanità, che l'una e l'altra rimangono nella loro integrità, l'una e l'altra permangono nella loro distinzione senza alcuna mescolanza. Né la divinità, che è impassibile, ha subito mutamento, né l'umana ha ricevuto altro se non ciò che la innalza ad un livello sempre maggiore. Il vero e onnipotente mediatore è divenuto tale che, mentre era uguale al Padre nella condizione divina, è divenuto simile a noi, assumendo la nostra corporeità. Fece restare congiunte in se stesso, le nature che volle pacificare. Questo è il baluardo singolare della nostra speranza, il dono gratuito della redenzione, la fine della morte, la vita dei santi. Ti prego di osservare quanto sia stata grande questa solidarietà: colui che è il Signore degli angeli, si degnò di venire a noi nella condizione di servo, per vincere la morte insieme al suo autore, il diavolo che teneva il mondo oppresso nelle sue catene! Per questo il beato Ambrogio compose con la bellissima corona di fiori della sua eloquenza l'inno del Natale del Signore, e così quel pio sacerdote poté offrire un dono tanto degno alla festa. Dice infatti: uscendo dal suo talamo, aula regale degna di venerazione, come un eroe provvisto di una doppia natura, corre veloce sulla sua strada, e tutte le altre espressioni superiori all'ingegno umano escogitate da quell'uomo santo.

Viene detto nella divina Scrittura che il numero otto contiene il mistero di grandi cose. Otto persone sono entrate nell'arca di Noè, salvate mentre il mondo periva; l'ottavo figlio di Jesse, Davide, fu scelto dal Signore; la circoncisione dell'ottavo giorno purificava gli ebrei; nell'ottavo giorno, cioè quello della domenica, il Signore è risorto dai morti, e in esso la speranza dell'umanità, dall'inferno degli empi, è ascesa fino all'altezza dei cieli.

Questo è il numero che i matematici chiamano il primo cubo, che il pitagorico Filolao denomina armonia geometrica; per questo tutti pensano che in esso si compongano le armoniche.

Salmo 9

1. Per la fine, per le cose nascoste del Figlio, salmo di Davide. Che cosa significhi questa fine, l'ho già spiegato più volte. [Indica] non ciò che comincia a venir meno, ma ciò che inizia a crescere, il momento a partire dal quale cominciamo ad essere rinnovati, [il trapasso] che per noi è l'inizio del bene e il termine del male. I giudei non giungono a questo compimento, poiché vengono meno a causa della loro incredulità. Per i figli nascosti, indica la persona del Signore Salvatore. Poiché non viene posto un nome al quale deve riferirsi, è necessario che questa espressione venga considerata come allusiva a qualcosa di grande. In precedenza, quando volle che si comprendesse che si stava parlando di Assalonne, [Davide] precisò che era figlio suo; in questo caso perché desiderò riferirsi alla perfetta maestà del Verbo Unigenito, ha detto soltanto del Figlio; egli è il Figlio onnipotente e inesprimibile, coeterno al Padre, colui che opera ciò che vuole nel cielo e sulla terra. Allo stesso modo nel Vangelo è detto: Se il Figlio vi libererà, sarete veramente liberi (Gv 8, 36). Qui non ha aggiunto di Dio, poiché il termine da solo, senza alcuna aggiunta, è sufficiente [ad indicarlo]. Nascoste è scritto al plurale, poiché non unico ma duplice appare qui il mistero; significa infatti l'incarnazione del Signore e il giudizio futuro, di cui parlerà il salmo attuale. Ormai abbiamo compreso che l'umanità di Cristo si è manifestata, mentre dobbiamo sostenere ancora il suo giudizio. Quando sentiamo dire per le cose nascoste, dobbiamo fare attenzione con la mente, affinché ci vengano aperte, con l'aiuto del Signore, le realtà indicate come occulte.

Divisione del salmo

Tutto questo salmo scaturisce dalla persona del profeta. All'inizio dice di essere lieto di poter salmeggiare al Signore, poiché umilia il demonio, il cui culto, con una buona decisione, fu distrutto dalla sua venuta.

Nella seconda parte invita i fedeli a salmeggiare al Signore, che abita in Sion, che vendica il sangue dei poveri e li libera dalle porte della morte.

Nella terza parte attesta che sta ormai per venire la fine dei malvagi, insieme a quella dell'Anticristo.

Nella quarta indignato per gli eccessi degli iniqui, protesta presso il Signore, come se egli non si fosse curato di difendere i poveri, mentre ai malvagi viene data la possibilità di esercitare la loro arroganza.

Nella quinta chiede che giunga finalmente l'ora del suo tremendo giudizio, per cui tutta la realtà presente giunga presto alla fine. Tale sarà la malvagità di quel tempo, che nessun fedele desidererà che venga prolungato il corso della storia, lungo il quale avrà visto verificarsi mali tanto grandi.

Spiegazione del salmo

2 . Ti loderò Signore con tutto il mio cuore, racconterò tutte le tue meraviglie. Loderà il Signore con tutto il cuore, chi non si lascia scuotere dalle preoccupazioni mondane. Sono così solo gli uomini perfetti, i quali sono stati capaci di vincere, con l'aiuto del Signore, i vizi [derivanti] dal peccato originale e le perverse suggestioni degli spiriti malvagi.

Segue, racconterò tutte le tue meraviglie. Chi può, ti prego, narrare tutte le meraviglie divine, quelle che ogni giorno vengono operate dalla sua potenza in cielo e in terra? Ma è abitudine delle Scritture, mediante la figura della sineddoche, che significa richiamare una parte per significare il tutto, riferirsi a tutte, sebbene non possano abbracciarle nella loro totalità. Ma affinché fra tante [meraviglie] possiamo almeno parlare di una sola, che cosa ci potrebbe essere di più ammirevole del fatto che Dio si sia incarnato per la salvezza dell'umanità, senza alcuna confusione [tra le due nature], e che qui [sulla terra] sia stato sottoposto a giudizio, proprio lui che sarebbe venuto a giudicare il mondo?

3. Mi rallegrerò ed esulterò in te; salmeggerò al tuo Nome, o Altissimo. Non in questo mondo, dove la gioia è apportatrice di morte, non nelle aspirazioni del mondo, dove i peccati sono soavità intrise di amarezza, ma in te, dove la gioia sicura aumenta sempre in intensità. Esultare è più di rallegrarsi. Esultare è infatti godere di una libertà pervasa di grande letizia, con un sentimento pieno che invade anima e corpo. [Il salmista] promette di rendere grazie all'Altissimo che si mostra superiore a tutto, perché si è degnato di liberarlo dai suoi nemici, carnali e spirituali, e assicura, come è stato detto, di celebrare il Signore con le sue azioni e con la sua lingua.

4. Nel retrocedere del mio nemico, saranno indeboliti e periranno dal tuo volto. Sebbene [Davide] abbia avuto molti nemici, tuttavia in questo versetto dobbiamo pensare che si riferisca soltanto a Saul. Dice retrocedere nel senso che egli non ha potuto ottenere ciò che vuole; ma quanto più questi perseguitava ingiustamente, tanto più quello, sopportando il malvagio appariva più giusto di lui. Mentre prima ha parlato di nemico, usando il singolare, ora dice saranno indeboliti: il persecutore infatti era un re, e coinvolgeva nei suoi proponimenti molti sottoposti. Giustamente perciò dice che saranno indeboliti, poiché per volere di Dio tutti nel loro insieme risultarono impotenti.

Periranno davanti al tuo volto, mentre invece io mi rifugio in te con animo devoto. L'iniquo non giunge al tuo cospetto, alla tua grazia, poiché perseguita l'innocente.

5. Poiché hai sostenuto il mio diritto e la mia causa; siedi in trono giudice giusto, tu che sostieni la giustizia. Quando due persone confliggono tra loro da posizioni opposte, avviene per forza che una perda, mentre l'altra ottenga successo. Poiché il profeta è stato riconosciuto nel suo diritto, è odiato dal suo avversario poiché al persecutore non poteva piacere che Dio avesse decretato che colui che aveva perseguitato empiamente venisse liberato. Quando dice il mio giudizio e la mia causa, attesta che la sentenza gli è stata favorevole. Così i naviganti dicono che il vento è di loro, quando accade loro un evento fortunato.

Siedi in trono: è detto del Signore Cristo, che ora siede alla destra del Padre, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti. Siedi: nella forza della profezia, il presente vale come futuro. È chiaro che questa sessione si riferisce all'incarnazione del Signore, che in quel tempo non si era ancora manifestata. Trono, significa il tribunale del giudizio futuro, nel quale il Signore Cristo siederà nella potenza della sua maestà degna d'onore.

Tu che sostieni la giustizia. Anche qui il tempo presente vale come futuro. Sosterrà la giustizia, quando, dopo la fine del mondo, ritornerà nello splendore per giudicare. Questa figura viene chiamata idea: presentando davanti agli occhi un'immagine della realtà futura, risvegliamo il sentimento dell'animo. Questo verrà esposto più ampiamente in seguito.

6. Punisti le genti e perì l'empio: hai distrutto il loro nome in eterno e nel secolo del secolo. È annunciata la santa seconda venuta del Signore, quando verranno puniti i popoli increduli e il diavolo con tutte le sue macchinazioni perirà per sempre. Allora non continuerà a sussistere la sua tumultuosa malvagità e tutto sarà nella pace, per opera di Dio. Infatti nel regno del Signore chi potrà ancora nominare il diavolo o i suoi seguaci, quando nessun avversario potrà scuotere la città del Signore e nessun nemico potrà invaderla? Che l'espressione nel secolo del secolo significhi per sempre, l'ho già mostrato. Il secolo futuro indica il regno del Signore che non finirà in alcun momento né in alcun tempo. E affinché non possa essere confuso per qualche fraintendimento, viene precisato, del secolo, cioè di quello che segue immediatamente il [tempo] di cui stiamo godendo. Il nostro tempo, ritornando su di sé, succede a se stesso, e passate le stagioni, si rinnova nei mutamenti annuali; l'altro tempo invece non incomincia daccapo ma rimane sempre identico a se stesso senza alcun mutamento. Perciò la smettano gli eretici di dire che ad un certo momento il diavolo possa essere richiamato alla grazia assieme ai suoi seguaci, quando con tanta chiarezza sentono dire che essi subiranno la condanna in eterno e nel secolo del secolo, così che non possa rimanere neppure una traccia del loro nome.

7. Le armi del nemico fallirono alla fine e hai distrutto la città. Perì il loro ricordo con fragore. Del nemico, al caso genitivo, cioè del diavolo, del quale attesta che le sue armi hanno fallito il tiro. L’arma in ebraico significa la spada con la quale quel nemico infuria. L'espressione alla fine significa la cessazione del tempo, quando la forza del diavolo onnipossente verrà annientata da quella spada della quale viene detto nel salmo settimo: se non vi convertirete, farà roteare la sua spada (Sal 7, 13).

Le città distrutte, sono i popoli infedeli confutati da Cristo nella sua manifestazione finale; il diavolo in questo mondo possedeva i loro cuori, come baluardi della sua città. Perì il loro ricordo con fragore. Dice con fragore, pensando ad un enorme frastuono. Questo accade quando le realtà prospere cessano d'esistere in una conclusione amarissima, al punto che cessa di sussistere la loro potenza e il loro nome. Cerca di capire perché abbia insistito in questo paragone così felice, perché abbia detto che sono state distrutte quelle città che, come è testimoniate, sono state demolite con il fragore.

8. Il Signore rimane in eterno. Ha preparato il suo trono per il giudizio. Quale diversità nobile e degna di onore! Poiché aveva detto che gli empi sarebbero periti, ora aggiunge che il Signore resterà per sempre; ciò che non vogliono sentire quanti si opposero al loro Creatore con insolenti malvagità. Si affidino al Signore misericordioso, affinché non debbano ricevere la condanna dal giudice attento.

Ha preparato, questa è opera del Dio uomo; colui che qui [sulla terra] nell'umiltà è stato giudicato, allora verrà a giudicare nella sua maestà. A questi eventi si riferivano le parole del titolo, le cose nascoste del figlio: è un dono ineffabile che la destra della sua potenza abbia innalzato fino al regno dei cieli la natura umana umiliata e precipitata [nel male].

9. Giudicherà la circonferenza della terra nella giustizia, giudicherà le nazioni con rettitudine. Si parla ancora del Signore Cristo il quale, dopo aver sopportato l'ingiustizia, in quel momento in verità renderà manifesta la giustizia, come è detto. La circonferenza della terra, dobbiamo vedere in essa un'immagine degli uomini santi, i quali vengono radunati dalla chiesa sparsa nell'universo, come formassero il cerchio di una corona. Costoro sono giudicati nella giustizia, perché riceveranno misericordia in abbondanza a motivo del bene [costituito] dalla loro fede e umiltà, e potranno udire: Venite benedetti dal Padre Mio (Mt 25, 3). E siederanno sopra dodici troni per giudicare le dodici tribù di Israele (Mt 19, 28). Per nazioni bisogna intendere i peccatori che non sembrano aver desistito dalle azioni diaboliche. Questi sono giudicati con giustizia perché sono condannati per i crimini da loro commessi e verrà detto loro: Andate nel fuoco eterno (Mt 25, 41). Così con i due nomi dell'equità e della giustizia, ha caratterizzato egregiamente in poche parole la qualità del giudizio.

10. Il Signore è diventato il rifugio del povero, aiuto nelle opportunità, nella tribolazione. Ricca è la speranza dei poveri e abbondante l'attesa dei beni, poiché hanno come rifugio lo stesso giudice. Sentiamo parlare del povero, ma non possiamo considerare tutti dei poveri. Il povero di Dio è colui che, libero da ogni cupidigia terrena, desidera arricchirsi dell'abbondanza celeste. Per impedire che i cuori dei fedeli si scoraggiassero per la propria debolezza, segue la sicura promessa di un grande aiuto: aiuto nelle opportunità; Egli è l'aiuto dolcissimo che viene concesso nella necessità. Ha ribadito chiaramente una seconda volta quale sia l'opportunità, aggiungendo: nella tribolazione, ossia quando l'animo degli afflitti viene stimolato ancora più intensamente nell'atto della compunzione, come è detto in un altro salmo: Invocami nel giorno della tribolazione, ti libererò e mi glorificherai (Sal 49, 15).

11. Spereranno in te coloro che conoscono il tuo nome: perché non abbandoni coloro che ti cercano, Signore. Spereranno in te, non guarderanno ai piaceri del mondo, ma avranno fiducia nella tua promessa. Quanti conoscono il tuo Nome, cioè coloro che venerano la tua maestà con devozione santissima. Sentirono parlare infatti del nome del Signore anche coloro che credettero in lui solo un poco; ma lo conobbero soltanto coloro che obbedirono umilmente ai suoi comandamenti. Viene aggiunto il motivo per il quale devono sperare: non sopporta che vengano abbandonati coloro che ha visto rifugiarsi in lui. Dovrà avere sempre presente il Signore, colui che è preavvisato e avvertito di una possibilità cosi grande.

12. Salmeggiate al Signore che abita in Sion, annunziate tra le genti le sue meraviglie. Giunge alla seconda parte [del salmo], in cui il santo profeta, osservando i benefici del tempo presente e del futuro, invita le genti fedeli ad intonare salmi: affinché non avvenga che mentre ricevono così grandi benefici, non si abbandonino alla noncuranza per una certa trascuratezza. Ha detto per primo inneggiate al Signore, e per evitare che il popolo dei pagani non pensasse di dover inneggiare a qualcuna delle loro divinità, ha aggiunto, che abita in Sion: designa così il Signore Salvatore; Egli, pur essendo apparso nel suo corpo in quella parte [della terra], riempie il mondo intero con la fede nel suo nome. Si parla della sua incarnazione; infatti dove non abita colui che risiede ovunque con la totalità della sua persona? Affinché potessimo indagare anche spiritualmente nel mistero veritiero di questo Nome, Sion significa contemplazione, e Dio viene scorto in verità nella contemplazione riverente. Giustamente ci viene detto che abita lì, dove noi possiamo scorgerlo illuminati dalla grazia divina.

Espone, in seguito, il motivo per il quale ha detto sopra, salmeggiate, perché inneggiare a lui altro non è che annunziare a tutti i popoli le sue opere meravigliose. Da qui possiamo dedurre che continuiamo a salmeggiare nel compiere tutte quelle azioni in cui è possibile unire la lode del Signore. Và osservato che questa frase può essere considerata una spiegazione; precisa infatti a quale Signore si debba salmeggiare, cioè a quello che abita in Sion.

13. Chiedendo conto del sangue, si è ricordato di loro e non ha dimenticato la supplica del povero. Prima aveva detto di portare l'annunzio ai popoli e molti tra questi [annunciatori] furono uccisi. Perché non si pensasse che quanto era accaduto sarebbe rimasto impunito, aggiunge che verrà chiesto conto ai persecutori del sangue dei martiri, affinché ciò che compirono nella storia abbia una risonanza dal valore eterno. Si è ricordato viene posto in modo appropriato per sottolineare entrambi questi aspetti: affinché il persecutore temesse la punizione e la promessa di bene confortasse i martiri.

Non si è dimenticato, viene detto per corroborare la debolezza dei piagnoni, i quali, a causa della lontananza dal giudizio futuro, pensano che Dio abbia dimenticato di rendere giustizia. La preghiera dei poveri, viene chiamata così l'invocazione dei giusti, alla quale associa in maniera segreta quella [espressa] dalla sua persona, affinché tu sia persuaso che valga per qualsiasi fedele ciò che il profeta ha chiesto gli venisse elargito.

14. Abbi pietà di me, Signore, vedi la mia miseria a causa dei miei nemici, tu che mi hai innalzato sulle porte della morte. Questa è la preghiera di tutti i poveri, espressa opportunamente al singolare, poiché questo gruppo di santi viene ricondotto sempre all'unità. Chiede di essere soccorsa in questo modo: di essere osservata dal Re colmo di bontà. Davvero il suo sguardo è un aiuto; le realtà tenebrose sono subito disperse mentre la luminosità profonde se stessa in un grande splendore. Chiede che la sua umiltà venga messa a confronto con l'arroganza degli empi; infatti i martiri di Cristo, dal punto di vista mondano, ricevono umiliazione nella misura in cui i loro persecutori, nel frattempo, sembrano prevalere.

La porta della morte è il diavolo oppure ogni attrattiva del mondo: per essa si accede infelicemente ad un esilio eterno. Mi hai innalzato, cioè mi hai allontanato da tutto questo. Infatti se porta della morte è il comportamento scellerato di molti, giustamente dichiara di essersi innalzato su di esso, poiché aderiva ai comandamenti vivificanti.

15. Per annunziare le tue lodi alle porte della figlia di Sion. Esulterò nella tua salvezza. È assai opportuna questa ripetizione del termine porta, e, sebbene la parola sia una sola, essa allude a cose del tutto differenti; nel primo caso essa dava accesso alla morte, in quest'altro per essa si passa alla vita. Liberato dunque da quelle porte di morte, stando presso le porte della chiesa, che introducono all'eterna beatitudine, promette che avrebbe innalzato le lodi del Signore, con le quali il suo nome eccelso viene onorato su tutta la terra. Sion è stata la madre delle chiese future, poiché in essa nacque quel nucleo che è stato come l'origine della nostra fede, in seguito diffuso largamente su tutta la terra. La salvezza del Padre è Cristo Signore, la sua forza e la sua sapienza, che donò a noi riposo eterno e salvezza. Giustamente il profeta dichiara di esultare in lui, poiché in lui la gioia non ha fine.

16. I popoli furono confitti alla morte che crearono. Nel laccio, occultato, venne catturato il loro piede. In questo e nell'altro versetto successivo, viene annunciata in maniera chiara la retribuzione dei peccatori: poiché ognuno viene torturato dalla propria iniquità. Dichiara che sono confitte le genti che non sono custodite dal timore del Signore: ma appaiono essere confitte da certi chiodi dei peccatori, e non sono in grado di liberarsi da sé dalle pesanti catene in cui sono costrette. Diciamo giustamente che questo vale per i giudei, che sono condannati ai propri mali, allo stesso modo con cui decretarono che il Signore fosse appeso alla croce con dei chiodi. Il laccio occultato si riferisce al loro desiderio: infatti a Cristo non poteva essere per nulla nascosto [il loro progetto], perché egli predisse la sua passione in molteplici dichiarazioni. Fu catturato il loro piede. Continua nella metafora del laccio, di cui ha parlato poco fa. Diciamo che sono catturati quelli che vengono presi da un laccio nodoso. Il piede si riferisce al procedere dell'animo e al desiderio cattivo che li fa camminare vero il vizio, come dichiara Salomone nei Proverbi: I loro piedi corrono nella malvagità e sono veloci nello spargere il sangue (Pr 1, 16).

17. Il Signore viene conosciuto nell'esercitare il suo giudizio; il peccatore è catturato nelle opere delle sue mani. L'affermazione è molto vera e inoppugnabile! Allora il Signore viene conosciuto nell'esercitare il suo giudizio, quando opera in modo che i peccatori siano tormentati da una pena eterna. Dal momento che intanto possono compiere liberamente azioni malvagie, forse pensano che esse rimarranno impunite; ma quando verrà il giorno della manifestazione e il Signore Salvatore siederà sul trono della sua maestà, allora tutti conosceranno che egli esercita la sua giustizia, allora, al suo ordine, il genere umano verrà separato, a sinistra e a destra. Questo è davvero esercitare la giustizia: conoscere i meriti di ognuno senza alcun errore.

Segue una dichiarazione palese della sua sentenza; spiega, infatti, il motivo per cui conosciamo che il Signore davvero esercita la giustizia, ciò avviene quando il peccatore viene avvinto dai legacci dei suoi peccati e a misura la qualità delle sue azioni riceve un'adeguata contropartita. Bisogna assolutamente scartare quell'interpretazione seconda la quale la pena del peccatore consiste soltanto nel ricordo delle sue colpe; se infatti consistesse esclusivamente in questo, per quale motivo si direbbe: Andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli (Mt 25, 41), e ancora: Il loro verme non morirà e il loro fuoco non si spegnerà (Is 66, 24)? Questo testo non nega che al peccatore non venga dato un luogo di tormento, ma avverte che saranno puniti secondo il valore delle loro azioni. Riconosciamo infatti come venga predisposto un luogo di tormento per i peccatori e comprendiamo come il male della pena sia esteriore, come leggiamo che sta per abbattersi sugli iniqui. Affinché riusciamo ad accettare che la beatitudine è separata dalla punizione da particolari divisori, ricordiamo come il ricco avvia sollevato gli occhi e abbia visto Lazzaro nel seno di Abramo mentre vedeva se stesso consegnato alle fiamme vendicatrici (Lc 16, 23). Questo tipo di verità non sarebbe stato affermato, se i peccatori venissero tormentati solamente dal ricordo delle malefatte. Questa pena fa parte delle realtà nascoste del figlio, ricordate dal titolo.

Cantico del diapsalma

È segnalato un nuovo diapsalma, che viene preceduto chiaramente [dal termine] cantico. Questo fatto ha spinto alcuni a pensare che il diapsalma non indica affatto una [pausa] di silenzio; notano infatti come non sia possibile che vi sia un cantico di silenzio. Questa constatazione, invece, non contrasta per nulla la proposta che, prima, ho formulato nell'introduzione: in questo caso il cantico non rappresenta una ripresa del discorso dopo una pausa, ma allude alla letizia futura.

18. Tornino i peccatori negli inferi, tutti i popoli che non riconoscono il Signore. Siamo alla terza parte del salmo, nella quale il salmista proclama ai peccatori, con soddisfazione, che sta per giungere la loro fine. Tornino, dice, ossia vengano allontanati dai godimenti di questo mondo, affinché non possano sguazzare a lungo nella loro voluttà. Segue, negli inferi, affinché non si illudano di finire da qualche altra parte. Gli inferi vengono chiamati così per il fatto che a partire da lì le anime continuano a scendere; oppure, secondo il parere di altri, perché si trovano in basso. Ma in questo passo con inferi si intende la morte eterna, alla quale senza dubbio stanno per giungere coloro che disprezzano i precetti del Signore. Dimenticare il Signore altro non è che lasciarsi coinvolgere negli errori della superstizione e nel fango dei piaceri; e, all'opposto, ricordarsi di lui è disinteressarsi di queste cose.

19. Il povero non sarà dimenticato fino alla fine, la paziente attesa dei poveri non sarà delusa fino alla fine. Il profeta, avendo scorto che in questo mondo i poveri sono disprezzati dai ricchi e sono oggetto di una crudele indifferenza dice che i poveri non saranno disprezzati alla fine del tempo, quando il Signore verrà a giudicare, ma che essi allora saranno ricordati dal Signore ancora di più, allorché i ricchi di questo mondo saranno privati dei doni del suo regno.

Spiega poi per quale motivo i poveri saranno ricordati dal Signore. Parla infatti della paziente attesa dei poveri che incorona quanti saranno rimasti del tutto fedeli; se, invece, ad alcuni la pazienza verrà meno, la loro anima non potrà ottenere la perfezione. La pazienza appare nel continuo rendimento di grazie fino alla morte, nel timore del Signore, tra le tribolazioni ed ansietà della vita, come afferma il Signore nel vangelo: con la vostra pazienza possederete le vostre anime (Lc 21, 19). Questa virtù ha un valore così grande che il Signore stesso, che pure non soffre nulla, viene definito paziente.

20. Sorgi Signore non prevalga l'uomo; le genti siano giudicate al tuo cospetto. Mentre il profeta stava parlando della fine del mondo, illuminato nel cuore, preannuncia la venuta dell'Anticristo e, atterrito dalla vastità del pericolo, proclama a gran voce: Sorgi, Signore, non prevalga l'uomo. Questi è infatti l'uomo peggiore, che non può essere affrontato dalla nostra umanità: in lui c'è tanta malignità e forza, che solo la potenza del Signore può trionfare sulla sua iniquità. Chiede che siano giudicate, in seguito alla sua prossima venuta, le genti che compiranno gravi crimini collaborando con quell'uomo pessimo. Mentre qui il Signore governa ogni cosa con un esercizio di dominio nascosto, gli viene chiesto di esprimere il suo potere in modo palese, perché gli orgogliosi non cessano di nuocere ulteriormente.

21. Stabilisci, Signore, un legislatore sopra di essi: sappiano le genti che sono uomini. Parla con più evidenza dello stesso Anticristo; [chiede che] ai peccatori venga assegnato un tale condottiero che non li guidi, ma li porti alla perdizione assieme a lui.

Segue: sappiano le genti che sono uomini. Questa è un'espressione di minaccia, nella speranza che quanti presumono sulla facilità con cui possono compiere dei delitti, si orientino verso la conversione. Dio solo è l'autentico Legislatore, ma poiché egli [l'Anticristo] stabilirà molte cose contro i precetti del Signore, sarà nella maledizione; saranno dominati dal creatore di una legge malvagia, e questo non contribuirà alla loro salvezza ma alla loro rovina.

22. Perché Signore ti sei ritirato lontano, non vedi le afflizioni e le tribolazioni? Concluso il diapsalma, giunge alla quarta parte [del salmo]: osservando i mali di quel momento, notando la misera situazione degli afflitti, si rivolge al Signore alla maniera tipica dell'umana debolezza: perché ti sei ritirato lontano? Non perché possa abbandonare un posto e trasferirsi in un altro luogo colui che è presente ovunque, ma perché si pensa che si sia allontanato colui che ritarda a soccorrere. Mentre prima aveva detto: non abbandoni chi ti cerca Signore, qui aggiunge: non vedi le afflizioni; tuttavia la prima espressione l'aveva pronunciata come una verità dal valore definitivo, la seconda, invece, viene pronunciata in considerazione della preoccupazione degli afflitti. Pensiamo che egli veda, se non differisce neppure un poco il suo aiuto; ma egli allora dona con estrema generosità, quando comunica a noi i premi di una grande pazienza.

23. Mentre l'empio s'inorgoglisce, il povero viene infiammato, vengono presi nei lacci che hanno escogitato. Questa sentenza deve essere esaminata con attenzione, affinché non si creda, a motivo di essa, che il giusto venga bruciato, dal momento che si osserva come su questa terra il peccatore trionfi. Piuttosto deve essere interpretata in questo modo: l'empio si inorgoglisce perché traduce in atto ciò che si è proposto con malvagità. Proprio allora il povero s'infiamma nell'impegno per la virtù perché mentre vede che il peccatore è molto innalzato, sa che cadrà in fretta; amerà allora ancora più avidamente le cose umili, poiché ha fiducia che saranno queste a procurargli onore.

Questo tipo di pena verrà comminata a questi empi e superbi: verranno presi nei tormenti meritati come fossero dei lacci, affinché non osino avanzare nella luce, proprio loro che si sono consegnati alle opere tenebrose. O buon Dio quanto è duro dover temere ciò a cui non è possibile sfuggire ma concedici ora di saper odiare ciò che con i tuoi comandamenti ci hai imposto di evitare.

24. Poiché il peccatore è lodato per i desideri della sua anima e verrà benedetto chi ha compiuto il male. Il peccatore ha irritato il Signore. Ci viene esposto il motivo per il quale i peccatori sono vincolati ai loro pensieri. Il male, se è denunziato, viene anche tolto. Al contrario, chi incontra un sostenitore che lo blandisce non si propone affatto alcun cambiamento. È presentato poi un eccesso di traviamento in quanto viene benedetto colui che è un notorio operatore d'iniquità. È vero questo: chi è ingannato dalla doppiezza degli adulatori, innalza se stesso fino ad un orgoglio smisurato di potere, un comportamento tipico dell'Anticristo. Verrà trascinato dalla folla degli erranti a tale punto da considerarsi non solo un re terreno ma anche dio di tutto l'universo, come attesta l'apostolo: siederà nel tempio di Dio e si ergerà sopra tutto ciò che viene adorato e viene chiamato Dio (2 Ts 2, 4). Questi fatti lo condurranno alla rovina; infatti provocherà all'ira il vero Signore, che consegnerà il falso dio alle fiamme vendicatrici.

25. Seguendo l'impeto del suo furore non cercherà. Non c'è Dio davanti a lui. Continua ad esporre la volontà dell'Anticristo, il quale, proseguendo nel suo peccato, non cerca il Signore. Dicendo infatti secondo l'impeto del suo furore mostra tutto ciò che egli sta per compiere di rovinoso e di crudele. È presentata inoltre il motivo certo di questa iniquità: non porre Dio davanti a sé. Quanta è profonda questa cecità: non porre Dio davanti a sé. Infatti se è considerato già un male estremo non poter vedere la luce del sole, non patiscono forse le pene infernali quegli angeli che a causa della loro cecità non possono contemplare il Creatore della luce santa? Del loro esemplare più funesto parla il profeta Daniele quando dice: e si alzerà un re che si porrà contro ogni divinità, e vorrà elevarsi sopra ogni signoria e pronuncerà parole superbe contro il Dio degli dei (Dn 11, 56).

26. Imbrattano le loro vie in ogni tempo, verranno tolti i tuoi giudizi dalla sua faccia; dominerà su tutti i suoi nemici. Riguardo ai giusti, invece, verrà detto: Beati coloro che immacolati sulla via, che camminano nella legge del Signore (Sal 118, 1). Riguardo all'Anticristo viene fatto notare che tutte le sue vie sono contaminate, cioè i suoi propositi e le sue azioni sono sordidi. È ovvio che siano contaminati e imbrattati, quelle attività che sono rese sordide dal suggerimento del diavolo maligno. Aggiunge anche un altro nefando delitto, perché, mentre vede che il castigo viene differito, ritiene che Dio non intenda esercitare la giustizia. In questo modo sono tolti i giudizi di Dio dal cuore dell'empio, perché vede che tarda ad effettuarsi, quella punizione che avrebbe meritato di ricevere all'istante. XXX

Trascinato dal risultato, avendo osservato che nessuno può andare contro di lui, sarà ancora più disponibile al delitto. Nel seguito del discorso egli viene tratteggiato con tanta precisione, da sembrare che non si stia parlando del suo momento futuro ma del presente. Questa figura è chiamata characterismos; si verifica quando qualcuno viene descritto per il suo aspetto o per i propri comportamenti.

27. Ha detto nel suo cuore: non mi muoverò da generazione in generazione senza fare del male. Con queste parole designa in modo preciso il pensiero dell'Anticristo, o di quelli che obbediscono al suo ordine, poiché sta scritto: lo imitano quelli che stanno dalla sua parte (Sap 2, 21). Egli, ripromette a se stesso di operare con malvagità: non lascerò integra alcuna nazione; vendicatomi di questo popolo, mi volgerò di nuovo ad un'altra nazione; desidera far soffrire, con un accanimento maligno, tutti coloro che, come a lui sembra, si sono opposti ai suoi comandi. Ha descritto con verità le sue azioni con una sola parola, quando dice che non compirà alcuna cosa che non sia male.

28. La loro bocca è piena di maledizione e di amarezza: sotto la sua lingua fatica e dolore. Viene presentata la sua malizia formata da due tipi di iniquità; sulla bocca avrà una maledizione blasfema, quando mentirà nel dichiarare di essere Figlio di Dio; avrà l'amarezza quando bandirà la pena di morte ai suoi oppositori e ordinerà che vengano condotti al supplizio gli uomini che lo avranno disprezzato considerandolo una vanità. Questo dirà quando parlerà in pubblico.

Sotto la lingua, ciò che parla, designa lui come un individuo dai pensieri crudelissimi; dal momento che egli è andato in perdizione, si affretta a rovinare tanti altri. Sono queste le realtà che vengono denominate fatica e dolore: fatica, in quanto egli affligge gli innocenti con diverse calamità; dolore, in quanto crea i martiri, poiché la corona del martirio non può essere perfetta senza la fatica e il dolore del corpo. Così tutto ciò che dice o pensa, lo lorda con una identica sporcizia.

29. 30. Siederà tra gli agguati con i ricchi di nascosto, per uccidere l'innocente. I suoi occhi osservano il povero. Quando dice, siederà tra le insidie, paragona le azioni dell'Anticristo ai crimini dei briganti, che tendono agguati lungo le strade appartate, per uccidere gli innocenti. Questa figura viene detta fantasia, e compare tutte le volte in cui l'animo dell'ascoltatore viene stimolato a formare delle visioni sul futuro. Si dice che nel futuro avverrà questo regno dell'Anticristo, sarà permesso che ciò avvenga per donare la corona ai martiri e la rovina agli infedeli.

Segue: con i ricchi. Questa espressione allude alla moltitudine dei mali. Spesso infatti nella Scrittura il ricco sta al posto del male, come il povero del bene. Uccidere l'innocente equivale a trasformare una persona fedele in una sacrilega, e condannarla, così, alla morte eterna. Infatti quando dice che i suoi occhi osservano il povero, non guarda verso di lui per soccorrerlo ma a quest'altro scopo, quello di sopprimerlo.

Lo insidia in segreto, come un leone nel covo. Il leone nel suo covo indica l'Anticristo di cui ho già parlato, il quale lacererà il popolo di Cristo in modo atroce e ingannevole. Ai primordi, infatti, la persecuzione contro la Chiesa fu così violenta che i pagani volevano costringere i cristiani a sacrificare agli idoli per mezzo di proscrizioni, torture e uccisioni. Escogita altre iniziative fraudolente, quali sono le eresie e le falsità che combattono i cristiani. Rimangono infine gli avvenimenti conclusivi che l'Anticristo ha preannunziato per i tempi futuri: nulla sarà più pericoloso, perché si verificheranno assalti molto violenti provenendo dal potere di un sovrano particolare; nulla sarà più ingannevole a causa dei prodigi, e questo allo scopo, come dichiara il Vangelo, di sedurre, se sarà possibile, anche gli eletti (Mt 24, 24).

Infine l'animale che giace, il leone, è predisposto alla violenza, anzi all'inganno poiché, come precisa, sta nel suo covo. Così con parole distinte vengono fatte conoscere le due forme di iniquità che gli appartengono.

Tende insidie per ghermire il povero: ghermisce il povero mentre lo attrae. Nel suo laccio lo umilierà. La reiterazione delle insidie, manifesta l'iniquità estrema dell'astuto persecutore. Con l'espressione ghermire il povero allude all'improvviso attacco all'anima, al quale quel nefando tenta di trascinare gli innocenti. Segue poi un'opportuna ripetizione per illustrare quanto è stato detto in precedenza; infatti perché tu non credessi che il povero fosse stato ghermito a motivo di un debito al fisco o per una deliberazione di un procedimento giudiziario, ha ripetuto il detto ghermisce il povero.

Subito aggiunge il motivo di questa persecuzione: mentre lo attrae, ossia mentre macchina di ricondurlo alla venerazione del suo nome dopo averlo strappato dal vero culto. Per impedire che su questo intento, quello di attirarlo, tu potessi conservare ancora un dubbio, ha aggiunto: nel suo laccio lo umilierà. Il laccio significa l'inganno, col quale vengono presi i cuori dei semplici e vengono legati in modo miserevole da un nodo di malizia. Lo umilierà: è ben detto, nel senso che quanti vengono condotti ad aderire a insegnamenti falsi precipitano senza dubbio dalla vera religione.

31. Si riposerà e cadrà mentre il povero dominerà. Questo viene detto in riferimento al tiranno stesso, il quale si accanirà contro i servi di Dio per un potere datogli come concessione temporanea. Si riposerà quando rilasserà la sua anima per la grande acquisizione di vittime e si sentirà saziato dall'abbondanza di mali, quando si concederà riposo dopo aver procurato pene e sofferenze ai santi. Allora quest'uomo tanta malvagio cadrà dalla sua presunzione, quando una fine improvvisa lo colpirà assieme ai suoi seguaci. Non conosce quando verrà la fine del mondo, poiché Dio ha riservato a sé questa conoscenza.

32. Ha detto nel suo cuore: Dio si è dimenticato, ha rivolto altrove il suo sguardo, per non vedere sino alla fine. Un pensiero tanto stolto! Crede di tener nascosto a Dio, al quale tenta, da sacrilego, di togliere l'onore, pensando che egli non voglia custodire i suoi fedeli, che vengono esortati a sopportare tutte le sofferenze a causa di lui. L'ignaro della verità verrà rovinato da una ipotesi errata né capirà ciò che segue: non dimenticherà il povero sino in fondo. Non afferma che essi non dovranno soffrire nulla, ma che non saranno abbandonati fino in fondo.

33. Sorgi Signore mio Dio e glorifica la tua mano; non dimenticare il povero anche alla fine. Dopo aver esposto le [prime] quattro parti [del salmo], ora il profeta inizia la quinta e chiede che avvenga ciò che sapeva sarebbe accaduto. Sorgi, dice, sorgi subito, ossia vieni celermente. Sia esaltata la tua mano: la mano significa l'azione. Ma questa azione di Dio è il suo giudizio, che attendiamo come prossimo. Desiderava che giungesse quell'evento, in cui quell'Essere arrogante potesse soccombere. Non dimenticare il povero anche alla fine. Contro di loro l'iniquo diceva: ha rivolto altrove il suo sguardo per non vedere neppure alla fine. Ora prega affinché il povero, come desiderava l'Anticristo, non venga dimenticato alla fine del mondo, quando avverrà la retribuzione secondo i meriti.

34. Perché l'empio ha irritato Dio? Ha detto nel suo cuore: non si prenderà cura. In questo versetto con ammirevole brevità viene premesso un interrogativo, dal quale consegue una risposta adeguata. È stato detto in forma interrogativa: per quale motivo l'empio ha irritato Dio? In seguito si sarebbe dovuto rispondere: perché ha detto nel suo cuore che non si prenderà cura. Si vede perciò che Dio è irritato poiché l'empio credeva che le sue azioni non sarebbero state perseguite. Ma scoprirà che ha buona memoria, colui che credeva fosse sbadato, e scoprirà che avrà tenuto conto con un'attenzione minuziosa, quelle azioni criminose che credeva sarebbero passate inosservate a motivo della loro stessa numerosità.

35. Osserva perché tu vedi l'affanno e il dolore, per consegnarli nelle tue mani. Questo discorso è da rivolgere al Signore con rendimento di grazie: Osserva che nessuno ti può ingannare. In precedenza aveva detto Sotto la sua lingua sono fatica e dolore; queste parole sono ripetute ora: mentre quel perfido aveva sulla lingua queste cose, cioè mentre le rimuginava nel pensiero, non credeva che sarebbero state conosciute così prontamente. Osserva [questo accade] certamente quando [il violento] è nelle tue mani, cioè quando colui che non pensò ma di troncare i suoi crimini, consegnato al [tuo] giudizio, non sfugge, ma riceve una pena adeguata alle azioni compiute. In questo modo dichiara che l'autorità è presso Dio, è lui che riconduce i peccatori al suo potere e li punisce. Infatti ciò che viene compiuto attraverso i suoi ministri, viene effettuato senza dubbio dalla sua potenza. Dove può fuggire, colui che è inseguito da una forza così grande? Commetta pure delitti e si nutra per il traviamento di molti uomini ma ciò che avrà compiuto non resterà impunito e verrà tormentato con una dannazione eterna.

A te si abbandona il povero, all'orfano tu sei sostegno. Dopo aver condotto in mezzo gli empi e averli confutati, si rivolge ai giusti; e come quelli ricevono punizioni adeguate alle loro azioni, così anche costoro ottengono i premi promessi. Infatti quando dice: A te si abbandona il povero, mostra che colui che si consegna a lui, non viene defraudato da alcuna cosa buona, perché l'essere consegnati al Sovrano buono significa ricevere tutti i beni.

Il povero deriva dall'aver poco. Dice che il povero è abbandonato a Dio, affinché tutti vedano quanti beni possano ricavare dal suo giudizio. È chiamato orfano non colui che è rimasto privo del genitore carnale, ma colui per il quale il padre sepolto è lo stesso mondo. Infatti puoi trovare molti che sono stati privati dal padre visibile, ma sono diventati bestemmiatori, dissipati, lussuriosi, come è facile che avvenga a quell'età: costoro chiaramente sono estranei a Dio. Ma l'aiuto di Dio non può allontanarsi da quegli orfani i quali mostrano di aver annientato il diavolo, padre di opere delittuose. Fa attenzione a ciò che dice: Sarai loro aiuto; perché tu non dubiti, quando li vedrai afflitti da tormenti, che essi saranno liberati.

36. Spezza il braccio del peccatore e del malvagio; sia perseguito per il suo delitto e non venga più ritrovato. Davanti agli occhi del profeta ritornano le iniquità dell'Anticristo e chiede che a lui non sia più possibile sguazzare ancora a lungo nel sangue dei beati. Spezza, ossia riduci al nulla. Il suo braccio: parla della forza della quale i peccatori si servono in modo scorretto; compiva empietà in modo da stupire e questa nomea l'ha conseguita in modo singolare poiché non aveva nessuno che gli somigliasse nel [fare] il male.

Del maligno, sarà un iniquo dissuasore, e quelli che non potrà pervertire col terrore, cercherà di persuaderli almeno con la promessa di premi fasulli. Il suo delitto sono le colpe commesse apertamente; sebbene usi un termine al singolare, tuttavia, senza alcun dubbio, i suoi peccati si mostreranno innumerevoli. Tutte le sue opere e le sue parole sono considerati peccati, tanto che la sua intera esistenza viene considerata una colpa.

Aggiunge e non si troverà, perché non c'è alcun dubbio che il suo nefasto potere sparirà, dal momento che il suo detentore sarà considerato degno di condanna.

37. Regnerà il Signore in eterno e nei secoli dei secoli: perirete, genti, dalla sua terra. Cessata la strage universale, giunge l'ordine delle cose future, quando, eliminato l'Anticristo, subentrerà il regno eterno del Signore, buono e ricco di beni. Sarà consentito che il potere scellerato ottenga vasto spazio, affinché il regno del Signore, desiderato, sia accolto in modo ancora più riconoscente. Lì, ormai, la sicurezza acquisita dei beati rimane nella sua tranquillità, né si devono temere ulteriormente quei pericoli, che spesso l'uomo santo in questo mondo è costretto ad incontrare.

Per genti si deve intendere i peccatori e gli empi, che vivono in modo bestiale e non si sottomettono alle leggi del Signore. Dalla sua terra, indica il regno del Signore Salvatore, del quale potranno godere soltanto i beati.

38. Il Signore ha esaudito il desiderio dei poveri, il tuo orecchio ha ascoltato la brama del loro cuore. In modo egregio i desideri dei giusti vengono espressi in parole appropriate. Dice, infatti, il desiderio dei poveri, poiché avviene sempre, a motivo della predisposizione dell'amore, che essi desiderino vederlo in modo manifesto là dove già da ora si sono trasferiti con la luce della mente.

Segue la brama del loro cuore. Questo termine sembra essere piuttosto violento. Si parla infatti di brama, là dove, riunite tutte le energie dell'anima, si desidera con l'ardore della mente.

Segue il tuo orecchio ha ascoltato. Di norma dobbiamo pensare questo: in Dio non ci sono membra corporee ma esistono gli atti delle sue qualità; quella con cui ode, viene chiamata orecchio; quella con cui vede, occhio; quella con cui agisce, mano. Questo discorso dovrebbe essere impresso davvero nella vostra mente affinché non capiti che, costretto a ripeterlo spesso, finisca col procurare fastidio, proprio in seguito a questa ripetizione.

39. Rendi giustizia all'orfano e all'umile, affinché l'uomo non ardisca più ad esaltarsi sulla terra. Ecco dall'autorità del profeta veniamo a sapere che non solo l'orfano, ma anche l'orfano e l'umile è molto gradito a Dio. Infatti quando dice rendi giustizia all'orfano e all'umile, significa che pronunzia una sentenza a suo favore. Dicendo umile, viene approvato l'uomo che è grandemente giusto.

Segue poi una promessa che annuncia un mutamento definitivo, perciò quelle cose sono annunciate come imminenti, affinché a nessun uomo venga permesso di eccedere ulteriormente. Di conseguenza tutti i mali finiranno, quando l'autore di tutti i peccati sarà condannato con tutta la turba dei suoi alleati. Queste sono le realtà nascoste ai figli, proclamate dal titolo di questo salmo. Infatti sebbene per qualche indizio talora sembrino in fase di compimento, gli uomini non possano sapere quando si realizzeranno. Riguardo a questo giorno il Signore dice nel Vangelo: Quanto a quel giorno e a quell'ora, [non li conoscono] né gli angeli dei cieli, né il Figlio ma solo il Padre (Mc 13, 32). Su questo passo i beatissimi Padri Ilario e Agostino, luci sante della Chiesa, hanno parlato con abbondanza e chiarezza. Ritengono che sia errato pensare che quella onnipotente incarnazione del Verbo ignorasse qualcosa del futuro, che era conosciuto dal Padre, come lui stesso ha detto. Pietro del resto dice nel Vangelo: Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo (Gv 21, 17) e in modo analogo il Signore dice: Tutto ciò che il Padre possiede è mio (Gv 16, 45). Ne consegue che egli non avrebbe posseduto tutto ciò che è del Padre, se non avesse saputo tutto ciò che il Padre conosceva.

Ma essi insegnarono che dobbiamo credere, secondo verità e in vista della nostra salvezza, a questo [che ora dirò]. Attraverso la figura della metonimia, ossia di una sineddoche, riscontrata di frequente nelle Sacre Scritture, dobbiamo persuaderci che egli lascia all'oscuro i suoi interlocutori [su questo argomento] in vista della loro utilità. Infatti in Genesi Dio dice ad Abramo: ora conosco che tu temi il Signore Dio tuo (Gen 22, 12), vale a dire ora ho fatto in modo che tu venissi conosciuto. Così anche qui è detto, non vi conosco, cioè ho fatto che voi foste ignorati. Infatti lo stesso Signore altrove dice in modo simile: non vi conosco (Mt 24, 12), benché non potesse non conoscere coloro che stava condannando. In seguito, interrogato sulla medesima questione afferma: non è nel vostro sapere conoscere il tempo e il momento (At 1, 7). Non dice infatti che non è nel mio sapere o che non lo è nel nostro, ma dice: non è nel vostro sapere conoscere. In questo modo tutti gli elementi [della questione] sono stati salvaguardati, [l'opportunità] che gli uomini ignorassero ciò che a loro non era necessario conoscere e [l'inopportunità] che il Figlio di Dio non sapesse questo a causa della debolezza della sua umanità.

Se sospettiamo che quella maestà, superiore alla nostra comprensione, abbia occultato la sua ignoranza, allora dovremmo considerare ancora più profonda quell'ignoranza con cui la divina natura, per parlare con stoltezza, poté annientare la sapienza provvidente, quella con cui ha creato ogni cosa. Quando vengono insegnate queste cose tanto assurde, è giusto credere che tutta la Trinità, che detiene una natura unica e onnipotente, possiede una conoscenza indefettibile di tutte le cose.

Conclusione del salmo

Si compie la promessa formulata dal salmista, le cose nascoste del Figlio sono svelate. Sono avvenimenti grandi e straordinari, i quali sebbene sembrino rivelati, indubbiamente rimangono ancora segreti. Per il fatto che sono annunciati, non sono più ignorati; per il fatto che non viene svelato il momento del loro compiersi, appaiono ancora densi di mistero. In questo modo ciò che viene dichiarato rimane tuttavia ancora segreto ma non viene tenuto nascosto del tutto a coloro che lo cercano.

Perciò supplichiamo il Signore con un fervore ancora più grande affinché si degni di infonderci un sentimento salutare di conversione, perché non può contare su alcuna scusa, colui al quale è stata preannunciato il giudizio sui peccatori. Dobbiamo ricordare, poi, che questo salmo è il primo nel quale viene profetata la venuta dell'Anticristo.

Anche il numero attuale [il nove] svela un altro avvenimento misterioso: all'ora nona il Signore ha reso lo spirito. Infatti, tra gli altri argomenti, questo salmo parla anche della sua passione, e opportunamente, precisa l'ora della sua morte per lo stesso numero [cui appartiene], e così mostra di aver esposto anche i misteri della sua croce.

Salmo 10

1. Per la fine, salmo di Davide. Con frequenza leggiamo nel titolo per la fine. La direzione della nostra mente si rivolge sempre al Signore Cristo e non c'è dubbio che venga ripresentato [più volte] a motivo della molteplicità dei suoi prodigi. Ora indica la sua gloriosa passione, ora la trionfale risurrezione, degna di ammirazione davanti a tutte le genti; in questo caso, tratta della fede santa, all'interno della quale gli eretici combattono contro i cristiani fedeli. Così accade che sempre parli del Cristo, sebbene venga riferito a lui secondo vari significati. Questo fatto, se tu applichi l'acume della tua mente, vedrai che accade anche nei salmi successivi. Riguardo all'attribuzione a Davide sia sufficiente richiamare alla memoria, quelle cose che abbiamo già spiegato in precedenza. Bisogna sapere in ogni caso che questo salmo è stato scritto per la confutazione degli eretici.

Divisione del salmo

Questo salmo è attribuito per intero alla persona del profeta. Nella prima parte parla delle macchinazioni tese dagli eretici che cercano di pervertire i cattolici aggregandoli alla loro iniquità. Nella seconda parte annunzia il giudizio del Signore ed espone chiaramente la pena che dovranno sopportare in quel rendiconto, affinché, presi dal timore del Signore, abbandonino le falsità superstiziose.

Spiegazione del salmo

2. Nel Signore confido: come potete dire all'anima mia: trasmigra verso il monte come un passero? Questa figura viene detta cenonema, cioè comunicazione di un consiglio; e questo avviene di frequente quando mescoliamo le parole con gli avversari o con i sostenitori. Questo discorso è rivolto agli eretici propagandisti che vogliono parlare con iniquità per sedurre le anime innocenti con argomenti maligni. L'uomo fedele dice a costoro: mentre io sono stabilito nella sommità sicura della fede, perché volete persuadermi, di trasmigrare verso il monte, cioè verso l'iniquità degli eretici; dicendo falsamente che vi possa essere il Cristo, lì dove non c'è con evidenza alcuna traccia di verità.

Nelle Scritture divine il monte ha un significato equivoco poiché, quando viene proposto come paragone, è comparato a realtà tra esse dissimili. Spesso infatti ha un valore tanto positivo quanto negativo; quando viene ricordato in senso positivo, si fa riferimento alla sua solidità e alla sua considerevole altezza; quando, invece, è menzionato in senso negativo, richiama l'insensibilità della mente e l'orgoglio eccessivo. Così lo stesso nome viene assegnato convenientemente a realtà ben diverse, se esaminate nelle loro qualità.

Quanto ai passeri se ne conoscono anch'essi di veri generi: alcuni se ne stanno negli anfratti dei muri, altri preferiscono i luoghi umidi, altri ancora cercano le montagne rocciose. In questo passo si parla di quelli che vengono trascinati, dalla fragilità del loro volere, verso le altitudini terrene; pensiamo che costoro siano un'immagine di quanti vengono persuasi, a motivo della leggerezza del loro animo incostante, ad accogliere dottrine perverse.

3. Ecco i peccatori tesero l'arco. Dobbiamo vedere nell'arco i comandamenti divini. L'eretico occupandosi di essi e interpretandoli in base alla sua malizia, cerca di aprire una ferita nell'anima; non vuole che essa giunga al pentimento per essere salva ma trapassi alla morte eterna. In modo appropriato l'arco è posto in relazione con le Sacre Scritture, perché, componendo in uno solo i due Testamenti, serve di difesa o di rovina, come insegna l'Apostolo: per alcuni siamo un odore di morte per la morte, per altri siamo profumo di vita per la vita (2 Cor 2, 16).

4. Hanno preparato le loro frecce nella faretra, per colpire nel buio i retti di cuore. Sviluppa il paragone del tiratore. Come quello ha le frecce nella faretra, così questi coltiva nel cuore parole mortifere. Nel buio, questo avviene quando la Chiesa è sconvolta dalle persecuzioni, e gli uomini carnali facilmente cambiano opinione per paura dei pericoli; oppure [avviene] quando, prendendo decisioni segrete, credono di raggirare i Cristiani nel modo a loro più favorevole, dal momento che pensano che essi non siano a conoscenza dei loro progetti. Ma se dice i retti di cuore mostra che le loro macchinazioni risultano inefficaci ed inutili. Retti di cuore sono soltanto coloro che non possono essere ingannati da nessun raggiro maligno.

5. Distrussero ciò che avevi portato alla perfezione: il giusto, allora, che cosa fece? Lo stesso viene detto degli eretici i quali si propongono di annientare la legge del Signore, quando si sforzano di ridurre a brani le Scritture Sante con interpretazioni false. Trasformano in rovina per alcuni quelle parole che erano state ispirate in vista della loro salvezza. Aggiunge anche un argomento di difesa del Signore Cristo: dice, infatti, se gli uomini vollero sovvertire la giustizia con un'interpretazione iniqua, perché accusano colui che ha parlato rettamente? Gli errori non li deducono infatti dal precetto, ma li fanno originare dalla loro volontà.

5. Il Signore nel suo tempio santo; il Signore ha il trono nel cielo. Confutati quelli che interpretano in modo falso la religione verissima, il profeta giunge alla seconda parte, dove avverte che il giudizio del Signore è prossimo; [spera così] che la perversità umana si corregga pensando almeno alla rigorosità del Signore. Per evitare che qualcuno non s'illudesse di restare impunito nell'ingannare un innocente, dice che il Signore abita in ognuno dei fedeli, come attesta l'Apostolo: Se qualcuno avrà violato il tempio di Dio, Dio lo disperderà. Santo è infatti il tempio di Dio che siete voi (1 Cor 3, 17). [Disse questo] affinché l'eretico sapesse che poteva essere disperso da Dio, il quale possiede i cuori di coloro che credono rettamente, come ha fatto conoscere.

Il Cielo indica gli uomini santi, nel quale si degna di far abitare la maestà della sua divinità. Quanto felicemente sorge la lode per questa realtà che non ha subito offesa! Quale onore, quale gloria è ricevere il Creatore che i buoni guardano sempre con invidia?

I suoi occhi osservano il povero; le sue pupille scrutano i figli dell'uomo. Come sono sventurati quelli dai quali ritrae il suo sguardo, così ritornano ad essere felici coloro ai quali Dio guarda con benevolenza: il suo sguardo è una benedizione e colui che viene illuminato da tanto splendore non può essere invaso dalle tenebre dei peccatori. Pietro caduto [nel peccato], allora fu in grado di ritornare, quando la benevolenza della divinità lo guardò.

Cerca di capire perché prima abbia parlato di occhi e poi di palpebre. Le palpebre vengono chiamate così da palpitare. Sono infatti come delle custodie della luce, delle borse degli occhi, che chiudiamo nel sonno, per poter ristorare il corpo affaticato. Poiché al Signore, in modo allegorico, vengono attribuite le azioni proprie delle membra, [il salmista] afferma che egli, non solo quando guarda con gli occhi, ma anche quando sospende quei servizi, e si pensa che stia dormendo, pure allora ricerca, cioè osserva, i figli dell'uomo.

6. Il Signore scruta il giusto e l'empio; chi ama l'iniquità, odia la sua anima. Quando il Signore, che esamina tutto con verità, indaga il giusto e l'empio, non si deve pensare ad una soppressione degli empi. Questo, piuttosto, viene detto: che le convinzioni fasulle non seducano i desideri degli uomini; ma ciascuno esamini la propria coscienza, la quale può essere giudicata soltanto dal Signore, come [il salmista] sa.

Segue una espressione breve e chiara. Che cosa significa amare l'iniquità? Odiare la propria anima. Perciò chi segue il demonio, perseguita se stesso; mentre vuole imboccare quei sentieri che portano ad allontanarsi da luoghi di sofferenza.

7. Piove sui peccatori, lacci: fuoco e zolfo e vento di bufera è parte del loro calice. Piove, parla delle parole dei predicatori che stillano dal cielo, che sono come delle piogge per i più devoti; per i perfidi, invece, sono lacci infuocati. I primi, infatti, ottenendo una giusta comprensione, [da questo] producono frutto, gli altri, a causa del loro comportamento sbagliato, strangolano le loro anime in un laccio di perversità. Il fuoco s'accende quando li divora una passione infuocata; [parla di] zolfo, perché le loro intenzioni s'imputridiscono in un fetore insopportabile; il vento di bufera [ricorda] come essi vivano in agitazione per la confusione dei loro propositi, la parte del loro calice, indica l'abbondanza con cui s'inebriano di azioni turpi.

Il calice, però, viene usato anche il senso positivo, come in questo caso: Il tuo calice inebriante quanto è magnifico (Sal 22, 5). Il calice infatti indica la misura con la quale le anime sono dissetate. Il calice è chiamato così per il fatto che spesso suole accogliere una bevanda calda. Macrobio e Teodosio, in una sua opera, dice che ci fu un popolo di Cilicrani, situato presso Eraclea, il cui nome deriva da apo tou kùlicos; così, con una sola parola invariata, definì come calice un certo tipo di coppa. Perciò questo nome è impresso nella memoria.

8. Giusto è il Signore e ama le giustizie: il suo volto guardò la giustizia. Conclude con una bella menzione anche all'equità del Re eterno. Dice che il giusto Signore ama la giustizia, poiché non sa apprezzare se non coloro che si sono curati di custodire la giustizia.

Aggiunge, il suo volto guardò la giustizia: cioè quella giustizia che viene donata da lui. L'umanità di suo non ha nulla di buono, se non ciò che ha ricevuto dal Signore che è la fonte di ogni bene. Il volto qui significa la misericordia del Signore. Infatti in un altro salmo leggiamo: il volto del Signore è rivolto a quelli che compiono il male (Sal 33,17). In questo passo, però, ha detto che guardò la giustizia, e in questo modo ha fatto intendere che con giustizia vuole riferirsi alla sua grazia.

Conclusione del salmo

Quanto bene questo salmo ha abbracciato con mirabile brevità le scaltrezze degli eretici e le loro punizioni affinché, riconoscendo le pene future, ci difendiamo dalle loro iniquità.

Il suo numero ricorda la forza santa del Decalogo, che costituisce un glorioso maestro della vita umana. Infatti come condanna i vizi degli uomini, così anche questo contrasta il messaggio di una predicazione perversa: liberando da un pericolo più grande, quanto è quello di corrompere la fede, una colpa maggiore del peccare per la debolezza della carne. Giustamente questo salmo viene indicato con questo numero perché conferma i nostri pensieri nella fede ortodossa, con una pedagogia perfetta.

Infatti anche nel Vangelo è lodato il servo buono che offre dieci talenti e riceve in premio il potere sopra dieci città (Cf Lc 19, 12-25). L'Apostolo, per richiamare questo grande mistero, ha scritto la parola del Signore a dieci Chiese: questa misura propria di una numerazione completa indica la pienezza di una dottrina santa.

Tale numero congloba una grande forza e un'occasione di lode; infatti sebbene, in una numerazione continuata, tenda a procedere all'infinito, tuttavia ritorna sempre su stesso, mentre continua a crescere la somma complessiva. Questo avviene secondo regolarità; mentre non accoglie nessun elemento estraneo, mostra di dilatarsi in grande misura. Questo [salmo] giustamente viene considerato onorabile (decus), poiché riceve il nome da onore.

Salmo 11

1. Sulla fine, per il giorno ottavo, salmo di Davide. L'ottavo [giorno], come ho già detto [commentando] il salmo sesto, si riferisce al riposo eterno; il mondo presente non prevede un giorno ottavo, ma, quando ha consumato il settimo, ritorna sempre al primo. Alla numerazione attuale dei giorni è adatto un numero al plurale, ma quello prevede il singolare perché non subisce più un mutamento [per l'avvicendarsi] di uno successivo. Bisogna, allora, esporre il tema del salmo; in questo modo, venendo a conoscerne l'argomento, comprenderemo più facilmente l'iscrizione del titolo. Il profeta chiede che la malvagità di questo mondo sia annientata e che esso possa pervenire alla verità della promessa futura. Egli pensa a quel regno privo di ogni turbamento, là dove la sua beatitudine viene goduta senza interruzione. Giustamente, allora, l'ottavo giorno è posto in relazione con questo salmo, poiché in esso si rinunzia all'abitudine al vizio propria di questo mondo e si invoca che giunga la santità di quello. Gli altri termini presenti nel titolo sono ormai ampiamente conosciuti per le spiegazioni offerte in precedenza.

Divisione del salmo

Nella prima parte il profeta chiede di essere salvato dalla malvagità di questo mondo, visto che gli ingannatori e i superbi continuano a negare la potenza di Dio con argomenti scellerati. Nella seconda parte dichiara che sta per compiersi la promessa del Padre grazie al Figlio onnipotente, mentre loda in breve le parole del Signore, come prima aveva confutato i discorsi empi.

Spiegazione del salmo

2. Salvami, Signore, poiché è venuto meno il fedele; sono frantumate le verità dai figli dell'uomo. [deminuo: sono divenute rare, con i LXX; Cass: diminuo: spessare, frantumare]. Esaminiamo con attenzione l'inizio del salmo poiché è formato dalla bellezza di molte figure. Il profeta grida a Dio in modo pressante affinché dalla sua paura compaia la grandezza del pericolo [in cui versa]. Poi attraverso la figura del synathroesmos [compianto] elenca con una precisa distinzione le molte cose che teme. Questo schema compare tra le figure letterarie più impressionanti [e si verifica] quando vengono raccolte insieme molteplici realtà [negative] e diverse forme di crimini. Infatti, avendo osservato che questo mondo appesantiva le anime in molte maniere, chiede al Signore di essere salvato, presso il quale sapeva di trovare la medicina opportuna. Dice che [l'uomo ] fedele era ormai assente da questa terra, sulla quale invece domina una serie infinita di mali. Questo viene detto in riferimento agli uomini, perché, come si sa, egli è presente ovunque.

E affinché non dubitassi di quanto aveva detto circa la scomparsa dell'uomo fedele, aggiunge questa motivazione: sono frantumate le verità dai figli dell'uomo. L'uomo fedele non avrebbe potuto venir meno, se la verità fosse rimasta integra tra gli uomini. Tale [discorso] è chiamato prova a motivo della conferma successiva; questo accade quando ciò che è detto in prima istanza, viene comprovato dal discorso successivo. In verità quando dice sono frantumate afferma in modo chiaro che i doni di Dio sono stati corrotti dalle colpe degli uomini, i quali, con la loro malvagità, contaminano i doni a loro offerti. Bisogna capire perché si parla di verità al plurale, mentre la verità è una sola. Quando la sua qualità, per un progetto divino, viene partecipato a qualche uomo, appare come fosse molteplice. Del resto siamo soliti dire: profezia di Davide, profezia di Geremia, vangelo di Matteo, vangelo di Giovanni e tutti gli altri che rifiorirono nella magnificenza di questa elargizione. Così parliamo di verità, quando la sua qualità viene elargita dalla generosità del Signore alle anime degli uomini come porzione personale.

Questo discorso, poi, può essere riferito al popolo ebraico, il quale, reso privo dei doni celesti, non volle credere a Colui che era stato annunciato da una moltitudine di grandi veggenti.

3. Hanno detto cose vane ognuno al suo prossimo, labbra bugiarde dicono il male nel cuore e nel cuore. Cose vane equivale in realtà a cose false, secondo quanto è stato detto in precedenza: sono frantumate le verità dai figli dell'uomo. [Ciò è accaduto] quando [i Giudei] cercavano dei testimoni contro il Signore Cristo e si incitavano vicendevolmente con malvagie insinuazioni. Parlando di prossimo, non pensa poi a persone vicine di parentela ma piuttosto a complici coinvolti nello stesso crimine. Quanto all'espressione nel cuore e nel cuore: tutte le volte che vogliono parlare di uomini falsi, diciamo che i loro cuori sono doppi, come afferma Salomone: l'uomo dal cuore doppio è incostante in tutte le sue vie (Gc 1, 8). Quando invece vogliamo parlare di persone semplici diciamo che in loro c'è un cuore solo, come si legge negli Atti degli apostoli: la moltitudine dei credenti aveva un cuore solo e un'anima sola (At 4, 32). In modo simile affermiamo che sono bilingui quelli che non perseverano affatto nello stesso parere. Osserva poi quali siano le cose che hanno detto, come viene attestato nella frase successiva: hanno proferito il male. Dovevano proferire per forza cose malvagie coloro che possedevano un cuore doppio.

4. Disperda il Signore tutte le labbra d'inganno e la lingua magniloquente. Segue una sentenza generale; come di solito viene sancito per legge, quando accade che uno solo pecca ma la severa decisione promulgata condanna il male di tutti. Disperda: viene detto contro la riunione dei giudei, affinché un po' alla volta periscano quelli che si erano radunati per un unico scopo d'iniquità. La lingua che dice parole superbe è quella [di colui] che si attribuisce un grande potere; non pensa che [esso] venga dato dal Creatore ma ritiene che il procedere degli eventi dipenda da lui, come il libro dell'Apocalisse dichiara dell'Anticristo: Vidi che la sua potenza era eccelsa e che la sua bocca era magniloquente (Ap 13, 5). Perché tu non pensassi che la lingua magniloquente parlasse di bontà, ha premesso: labbra d'inganno. Osserva la mitezza di colui che sta parlando: egli non si scaglia contro gli uomini, dal momento che molti di loro sono in fase di conversione, ma contro i vizi.

5. Quelli che dissero: mostreremo la forza della nostra lingua, le nostre le nostre labbra sono dalla parte nostra. Chi sarà nostro Signore? Parla di coloro che nella prosperità, gonfiandosi in una grande loquacità, osano dare risalto alla loro gloria e ritengono, stupidamente, di essersi procurati da soli ciò che hanno ricevuto da Dio. A questi io chiedo: perché non sono così loquaci quando le difficoltà che sopraggiungono li costringono a chiudersi in un silenzio umiliante? Volgendo a terra lo sguardo, chiudono la porta delle labbra e, come se avessero perso la favella, rimangono in silenzio, con la mente confusa. Aggiungi le varie circostanze di malattie, il caso abbastanza frequente che proprio colui che si vantava a parole del proprio potere non sia neppure in grado di chiedere del cibo. Lo dicano allora, se saranno in grado di farlo: le nostre le nostre labbra sono dalla nostra parte. Chi sarà nostro Signore? Ripetano, allora, queste parole da sacrileghi: Chi sarà nostro Signore? Questa figura è detta antisagoghe, cioè contraddittorio.

6. Per la indigenza dei miseri e il gemito dei poveri, ora risorgerò, dice il Signore. In questi due versetti possiamo scorgere sottilmente le persone del Padre e del Figlio e così saremo liberi dalla confusione della mente. Infatti dopo aver rimproverato coloro che si proposero di spargere il sangue del Signore, viene alla seconda parte [del salmo] nella quale il profeta, facendo parlare il Padre, annunzia la risurrezione del Signore Salvatore. Possiamo riferire parole estranee, mentre tuttavia non cambiamo il linguaggio della nostra persona.

Rendiamoci conto poi quale sia la bontà del Creatore visto che per la indigenza dei miseri e il gemito dei poveri ha glorificato il Signore Cristo, affinché i suoi fedeli non fossero gravati da una sofferenza continua. Mi risveglierò: può valere solo in senso metaforico che si risvegli Colui che non deve riposarsi a causa della debolezza propria dell'uomo. Mi risveglierò dice, cioè mi mostrerò e mi manifesterò nel Figlio. [Sono] un'unica potenza e una maestà indivisibile. Il Padre appare e si manifesta nel Figlio, come egli dice nel Vangelo: Chi vede me, vede il Padre (Gv 14, 9).

Porrò sopra la mia salvezza, agirò con fedeltà verso di lui. Il Padre chiama sua salvezza il suo Verbo, che si è fatto carne, per il quale giunge la vita ai mortali, mentre ogni credente ottiene la salvezza con abbondante larghezza. Che cosa pone sopra di lui? La consolazione, certamente, che poco fa ha attribuito ai miseri e ai poveri, [il dono] che, come è manifesto, è stato comunicato ai fedeli dal Signore Salvatore Risorto. Agirò con fedeltà: si parla del potere dell'onnipotenza del Padre al cui volere nessuno può opporsi. In questo modo anche nel Vangelo è detto a proposito di Cristo: Insegnava infatti come uno che ha autorità, non come i loro scribi e farisei (Mt 7, 29). Alla potenza del Padre corrisponde la fiducia del Figlio, così come alla fiducia del Figlio, corrisponde la potenza del Padre; questo conviene certamente a tutta la Trinità per l'unità di natura.

7. Le parole del Signore sono parole caste. Dopo aver riferito le parole del Padre, le conferma e le celebra; infatti tutto è accaduto secondo quanto conoscevamo a motivo della promessa. Che cosa siano le parole del Signore, viene detto in breve: parole caste, ossia purissime per integrità verginale, non vengono corrotte da alcuna falsità, nessuna macchia di inganno le insudicia. Infatti come la castità evita la polluzione, così le parole del Signore non possono mescolarsi con qualcosa di sordido. Non pensare che questa precisazione sia inutile perché è posta in opposizione a ciò che in precedenza era stato detto degli iniqui: ognuno ha pronunciato menzogne al suo prossimo affinché, rendendoci conto della instabilità delle cose, ci allontanassimo da questo modo di fare consuetudinario. Questo schema è chiamato in greco syndesmos [legame], il latino collactio [confronto]: [si verifica] quando persone o altre realtà vengono poste a confronto in qualcosa che è diverso o simile. Qui le parole divine vengono lodate mentre in precedenza la parola umana era stata disapprovata.

Argento provato col fuoco, purgato dalla terra per sette volte. Precisa ancora meglio, attraverso l'immagine di un metallo bianco, quali siano le parole caste. Argento purgato dalla terra col fuoco: esso diventa purissimo quando viene purificato da una crogiolatura frequente. Provato o purificato: questo è detto in contrapposizione a ciò che era stato affermato a proposito dei peccatori: parla di inganno nel cuore e nel cuore. Affinché tu comprendessi quanto sia vasta la distanza, ha aggiunto purificato sette volte. Questo numero sembra poter riferirsi allo Spirito detentore di sette doni: timore di Dio, pietà, scienza, fortezza, consiglio, intelletto, sapienza; grazie a queste qualità la Parola divina quasi rimanendo dentro una fornace accesa, brilla di verità con un bagliore splendente.

8. Tu, Signore, ci conserverai e ci custodirai da questa generazione per sempre. Se in precedenza aveva detto: disperda il Signore tutte le lingue bugiarde, ora annuncia che il Signore può far permanere in vita coloro che credettero alla sua parola con mente pura. Osserva, a proposito delle sante disposizioni, con quale equilibrio siano state espresse. Mentre dice: tu ci custodirai, elimina ogni presunzione dell'umanità caduca, affinché nessuno pensi più di poter confidare in se stesso. Da questa generazione: si riferisce sia ai Giudei, sia ai peccatori di questo mondo, dai quali non potremo essere preservati con la nostra abilità, se non venissimo protetti dalla sua misericordia. Aggiunge anche: per sempre, poiché qui ci consola nelle nostre tribolazioni mentre là ci costituirà in una sicurezza imperitura; qui viene in soccorso, mentre là ci glorificherà e coronerà. Così il nostro buon Creatore custodisce ora anche noi, affinché non periamo e là ci glorificherà, cosicché in nessun modo possiamo essere dei miseri.

9. Gli empi s'aggirano d'intorno, secondo la tua grandezza hai moltiplicato i figli dell'uomo. Dopo aver rimproverato, nella prima parte, i discorsi degli empi con un biasimo conveniente e dopo aver celebrato, nella seconda parte, le parole del Signore con un elogio degno di ammirazione, giunge all'ultima parte del salmo, dove, in un solo versetto, ripropone i contenuti più notevoli delle parti precedenti. Afferma in una sentenza molto stringata: gli empi girano intorno, per non imboccare mai il sentiero retto. Le vie tortuose significano sempre i cattivi comportamenti, come afferma Salomone riguardo agli empi: Abbandonarono i retti sentieri, per camminare su strade inique (Pr 2, 13). Perciò rifiutano di giungere al riposo dell'ottavo giorno, quelli che, alla maniera delle ruote, girano sempre su se stessi.

Segue: secondo la tua grandezza, hai moltiplicato i figli dell'uomo. Questo è giusto riferirlo a coloro che hanno creduto con sincerità alle parole caste e purissime del Signore. Osserva quanto viene promesso a loro in questa parola, stando a quanto annuncia: secondo la tua altezza hai moltiplicato i figli dell'uomo; non secondo il loro merito, ma secondo [quell'atteggiamento] per il quale non sa sopportare le sofferenze degli uomini. Per altezza, come spesso abbiamo osservato, s'intende ciò che non siamo in grado di comprendere. Dio non può essere sottoposto a quella limitazione, la quale contrassegna ogni creatura e in lui non può essere presente un bene secondo misura perché è lui che dono ad ogni creatura il numero, il peso e la misura. Hai moltiplicato, quindi, i figli dell'uomo: è un riferimento alla promessa fatta ad Abramo in cui si dice: Moltiplicherò in abbondanza il tuo seme come le stelle del cielo. Questa promessa si è già realizzata nel passato e la vediamo attuarsi ogni giorno nella [moltiplicazione] dei suoi santi.

Conclusione

Rendiamoci conto che questo salmo ci ha svelato dei misteri molto utili. Ci fa osservare quanto gli uomini vengano catturati da discorsi vani e inutili affinché non vogliano afferrare la verità che li porti alla vita ma la menzogna che li conduce alla morte. In seguito ha esposto quale sia la qualità della parola del Signore, affinché tutti, una volta che avranno compreso quanto siano pure le parole del Signore, disprezzino vantaggiosamente le loro parole. A questi mali viene dato quel rimedio [che è stato detto], poiché è evidente che è dalla potenza del Signore che i figli dell'uomo possono essere liberati.

Inoltre, poiché la forza del numero undici, attribuita a questo salmo, richiama, come noi sappiamo, il mistero del vangelo, chiediamo al Padre, per la sua bontà, di inviarci nella sua vigna almeno all'undicesima ora: a motivo di ciò avrà la bontà di donarci una mercede delle nostre opere del tutto gratuita, non un [salario] dovuto.

Infatti anche il beato Prospero nella seconda parte del suo libro intitolato Prima della legge, sotto la legge e sotto la grazia scrive in relazione al numero undici: Non senza un mistero, il tabernacolo veniva coperto da undici panni cilici [di peli di capra intessuti]; per mezzo di tale segno appare manifesto che tutto il mondo è colpevole verso Dio e vive in penitenza [Non si tratta di Prospero d’Aquitania ma di Quodvultdeus, Liber de promissionibus et praedictionibus Dei, II, 2, 4 – PL 51, 770, cf. Libro delle promesse e delle predizioni di Dio, p. 125). Il salmo, costituito dalla stesso numero, inizia così: Salvami, Signore, poiché non c'è più un uomo fedele, poiché sono frantumate le verità dai figli dell'uomo.

Salmo 12

1. Sulla fine, salmo di Davide. Dal momento che le parole di questo titolo sono state ormai chiarite dalla spiegazione precedente, è preferibile dilungarsi a riferire qualcosa di più sul contenuto del salmo. Esso parla per esteso dell'amore di Cristo Signore, nel quale si trova il compimento di tutta la legge. Chi lo possiede, trascura tutti i piaceri di questo mondo; infatti, se esso viene cercato con tutto il cuore, ciò che gli si oppone non viene più amato. L'amore di Dio è come una pioggia primaverile di virtù, sotto la quale germoglia la buona volontà e fruttifica l'opera santa; essa pazienta qui nelle avversità, conserva la moderazione nella prosperità, si mostra potente nell'umiltà, lietissima nell'afflizione, benevola verso i nemici, vince i malvagi con atti di bontà. Anche le creature celesti, sempre sono accese come da una fiamma che si rinnova, crescendo utilmente nel desiderio; e per concludere ogni discorso, [richiamo] il detto dell'apostolo: Dio è amore (1 Gv 4, 16). Perciò noi dobbiamo cercare [l'amore], dobbiamo desiderarlo sempre senza limite, e poiché al presente non possiamo essere ricolmi di esso, potremo esserne ripieni almeno nella retribuzione futura; come leggiamo nel salmo centodiciotto: Venne meno la mia anima nella tua salvezza (Sal 118, 81). Questo venir meno, è sussistere in un'eternità felice.

Divisione del salmo

Avendo osservato il profeta che il genere umano, riguardo al suo dovere più scrupoloso, era preso da superstizioni mortali né si rivolgeva con sollecitudine all'adorazione del vero Dio con puri sentimenti, supplica con grande desiderio che si compia la sua attesa con la venuta della santa incarnazione, affinché la folla dei pagani, provando vergogna, rinneghi gli errori che inducono al traviamento. Nella seconda parte, per istruirci efficacemente sulle nostre preghiere, chiede con insistenza che la sua fede sia illuminata, affinché il nemico non lo vinca con un altro inganno, dal momento che, come afferma, egli ha confidato sempre nella sua misericordia.

Spiegazione del salmo

Fino a quando Signore mi dimenticherai sino alla fine? Il profeta, come è stato rilevato, pieno di abbondante carità, per la quale aspettava avidamente la sua incarnazione, erompendo in modo confidenziale, afferma che sta differendo [la sua venuta] molto più a lungo di quanto si aspettava, tenendo conto che ogni dilazione risulta assai molesta a chi desidera. Quantunque nella luce della fede, lo considerasse ormai prossimo tuttavia si lamenta per il suo ritardo, [visto che] non otteneva di vedere la venuta di colui che ancora restava oggetto di speranza. Dio, infatti, non si dimentica ma se ritarda a donare quanto gli è stato richiesto, colui che è in attesa crede di essere dimenticato.

Sino alla fine significa il tempo attuale nel quale prevedeva che si sarebbe compiuta l'incarnazione del Signore. Questa lamentazione stimola le anime dei fedeli, affinché da una lato aspirino senza posa ai beni celesti, dall'altro confidino sempre nella promessa del Signore. Bisogna notare che in questi quattro versetti e ovunque pone delle parole [proprie] di una pazienza assai ferma: dice infatti fino a quando, per quanto, quanto a lungo, ripetendo poi fino a quando. Questa figura è chiamata epimone [persistenza], [e si riscontra] quando termini simili si raddoppiano in una ripetizione frequente.

Per quanto tempo ancora allontanerai da me il tuo volto? Auspica la manifestazione del Cristo, che già prevedeva nello Spirito. A questa si riferisce parlando del suo volto, il quale poteva rendersi visibile ad occhi di carne; [il volto] che quell'uomo santo desiderava meritatamente di vedere, preoccupato per la totalità [degli uomini], [quel volto] che si è degnata di salvare il mondo con una visita celeste. In questo modo h a mostrato non solo [di possedere] un desiderio d'amore per Dio, ma anche di essere pieno di carità verso il prossimo, dal momento che attendeva senza posa quell'evento che, come sapeva, sarebbe giovato a tutti. Compone insieme i due sentimenti, li tiene uniti entrambi, per evitare che Dio venga amato senza il prossimo e il prossimo [venga amato] senza riferimento a Dio.

2. Per quanto ancora porrò il senno nella mia anima. Ora esprime il massimo fervore dell'uomo in attesa. Dichiara che è venuto meno per lui il senno, nel tentativo di mitigare il desiderio di contemplarlo, allorché viene preso da brama violenta di vedere [subito] il bene mentre ancora a lungo deve rimanere in attesa della sua venuta.

3. [Per quanto ancora porrò] dolore nel mio cuore ogni giorno. Fino a quando il mio nemico trionferà su di me. Persevera ancora in interrogativi devoti. Sottintende infatti il porrò del versetto precedente e così completa il discorso: porrò dolore nel mio cuore ogni giorno; cioè giorno dopo giorno affinché si possa pensare del tutto ad una continuità nel tempo. Osserva il primo verbo di questo versetto, affinché non venga più avvertito il desiderio ma il dolore acuto, stimolato dall'estensione crescente di un [sentimento] nobile e questo avviene soprattutto quando una lunga attesa si protrae [nel tempo].

Il mio nemico: si riferisce al diavolo il quale, prima della venuta del Signore, godeva trionfando sull'umanità prigioniera. Su di me, ossia sulla mia superstizione dal momento che egli era venerato in tutto il mondo visto che la religione non era dedita alla fede in Dio.

4. Guarda ed ascolta me, Signore Dio mio. Illumina i miei occhi, affinché non cadano nel sonno della morte. Giunge alla seconda parte della sua preghiera. Non ci sempre evidente che le lacrime che, ora, la sua pietà ha profuso, abbiano come scopo che il mondo intero, prigioniero dell'errore, non perisca a causa del protrarsi della dilazione [della venuta di Cristo]? Sebbene dica me, non chiede soltanto privatamente per sé ma invoca che si venga in soccorso di tutti i fedeli, per amore dei quali richiedeva un rimedio destinato a tutti.

Guarda, è posto in riferimento a quanto è stato detto in precedenza: per quanto tempo ancora allontanerai da me il tuo volto? Ascolta me è detto in relazione a quanto veniva espresso all'inizio del salmo: fino a quando Signore mi dimenticherai sino alla fine? Quanto agli occhi dobbiamo pensare a quelli del cuore, i quali dormono nella morte quando, dopo aver sepolto la luce della fede, rimangono chiusi a causa dei piaceri della carne. È questo il sonno di cui si rallegra il nemico.

5. Perché il mio nemico non dica: ho prevalso contro di lui. Quanti mi tormentano, esulteranno se sarò cambiato. Questo viene detto in riferimento al diavolo e ai suoi angeli, i quali hanno l'abitudine di schernire mentre catturano, convinti che la rovina dei seguaci sia il loro trionfo. Dichiara infatti: se mi allontanerò da te, darò gioia a coloro che si mostreranno lieti, per una pessima abitudine, nel costatare di possedere gli uomini da loro ingannati. Ciò che dice, se sarò cambiato, ha riferimento con la mutevolezza dell'anima infedele. Necessariamente introdurrà il piede nel laccio del diavolo, chi rinuncia, per un bizza della mente, alla forza del Signore.

6. Ma io spererò nella tua misericordia. Esulterà il mio cuore nella tua salvezza. Sebbene fosse invaso da un desiderio profondo, tuttavia ritenne che fosse ancora tempo di esercitare la sua pazienza. Spiega, poi, il motivo per il quale, sebbene gli capitasse di veder differiti i propri desideri, tuttavia egli, con il sostegno della misericordia celeste, continuava a rimanere molto fermo nella sua speranza, come dichiara l'apostolo: la speranza non inganna (Rm 5, 5). Nella tua misericordia, dice, perché chi ragiona diversamente, perde ogni prospettiva di speranza basata sulle sue convinzioni. Quanto è potente la fede e quanto è grande la costanza del credente! Godeva dell'assenza di colui che era presente e l'uomo interiore già era capace di contemplare la salvezza di Dio, quella che l'uomo esteriore desiderava ancora vedere con gli occhi del corpo.

Canterò al Signore perché mi ha dato del bene e salmeggerò al nome di Dio altissimo. Mentre all'inizio diceva, con una insistente lamentazione, di aver prolungata la sua attesa, ora lieto afferma di aver accolto i benefici del Signore, sia perché dichiara di averli ricevuti in base alla forza della profezia, poiché aveva compreso chiaramente che sarebbe venuto, sia perché il suo stesso atto di fede lo considerava un premio, come si legge: Abramo credette a Dio e questo gli fu computato come giustizia (Gen 15, 6). Giustamente dice di aver ricevuto, colui al quale era stata infusa una così grande fermezza di fede. Comprendi perché subito abbia detto canterò; e in seguito, salmeggerò. Canterò col cuore, riempito da straordinaria letizia; salmeggerò, con le opere buone, e questo è apprezzato da Dio come la cosa più importante; come il canterò riguarda la vita di contemplazione, così il salmeggerò interessa a quella presente. Queste due [forme di vita], come due occhi appaiati armoniosamente, fanno sì che il cristiano sia colmo di luce.

Conclusione

Osserviamo il profeta immerso in beata contemplazione, allorché attende con desiderio la gloriosa incarnazione del Signore; e da questo dobbiamo comprendere quale beneficio abbiamo attinto da quell'evento, ammirato con tanto ardore, come possiamo percepire, da [Davide] quel re potente e profeta santo. Ma dobbiamo chiedere al Signore di non consegnare al diavolo con l'abbandono [della fede] quelli che vengono tentati e favorisca noi indegni di questa grazia, affinché a Colui che [il salmista] onorava con grande devozione mentre ancora stava per venire, noi prestiamo servizio fedelmente, ora che è giunto.

Il numero dodici ci esorta ad onorare il gruppo degli apostoli, i quali per mezzo di un perfetto insegnamento dei comandamenti amarono il Signore sopra ogni cosa e a quel modo hanno abbracciato i fratelli con la stessa carità. Non è strano che questo salmo ci abbia elargito dei misteri tanto grandi, visto che chiaramente è consacrato dal numero degli apostoli. Si sa che il popolo degli Ebrei era diviso in dodici tribù. Il Signore ha promesso ai suoi apostoli dodici troni nel giudizio futuro. Anche l'anno è suddiviso in dodici mesi. Molte altre cose di questo genere potrai scoprire, o lettore diligente e ti renderai conto che questo numero è pregno di molti misteri.

Salmo 13

1. Sulla fine, salmo di Davide. Queste parole ormai sono chiare del tutto avendole rese comprensibili nelle spiegazioni precedenti; per apprenderle, allora, è opportuno fare ricorso alla memoria piuttosto che al mio discorso. Nei titoli, poi, giustamente, è ripetuta la parola fine e questo perché l'animo dell'ascoltatore si rivolga sempre all'onnipotente Cristo. Ma questa “fine”, come ho detto, trasporta verso il Signore il nostro sentimento con vari significati: ora [appare] come confessione di sofferenti, ora come esultanza di uomini gioiosi, ora ha relazione con l'affetto del maestro, ora con la minaccia del giudice. Ora, tuttavia, questo salmo accusa con un rimprovero violento l'insania dei giudei. [Esso appare] aspro nelle invettive, severo verso gli empi, amaro verso gli infedeli, e vuole, a ragione, consegnare alla santa Chiesa questo incarico di contestazione. Uomini insani e perfidi, tuttavia, tentano di attuare disegni d'iniquità contro la sua missione.

Divisione del salmo

Ora afferma che gli è già apparso quel volto del Signore, che nel salmo dodicesimo chiedeva [di] vedere in una supplica colma di desiderio. Di conseguenza, in un primo tempo, la Chiesa cattolica rimprovera i giudei che non credettero per nulla al Cristo manifestato. In un secondo momento, dichiara che inutilmente ci si affanna a correggere coloro che rifiutano di accogliere un fruttuoso timore del Signore. Nella conclusione profetizza che alla fine del tempo avverrà la loro conversione, dopo che sarà giunto il numero completo dei popoli, a lungo atteso; una volta che la bontà di Dio si sarà manifestata in loro, accorreranno più facilmente alla medicina della confessione di fede.

Spiegazione del salmo

Disse l'insipiente nel suo cuore: non è Dio. Il popolo dei giudei vedendo che Cristo era venuto umilmente nella carne assunta, disse stoltamente: non è Dio. Non comprese che invece era proprio lui colui che era stato preannunciato dai profeti. È ancora più grave che lo abbia detto con il cuore, oltre che con le labbra, perché in questo modo l'incredulità si rafforza, se è unita ad una cattiva disposizione d'animo.

Si sono corrotti e sono diventati abominevoli nelle loro volontà; non c'è chi faccia il bene, non ce n'è uno. Si sono corrotti, quando allontanatisi dalla comprensione retta delle Scritture, vennero visti cadere in interpretazioni ingannevoli. Segue la pena della colpa, perché macchiati tanto una incredulità tanto iniqua, si sono resi abominevoli al cospetto di Dio per i loro errori. La volontà è denominata così dal volo, poiché l’animo è trascinato con grande velocità da ciò che vuole.

Segue non c'è chi faccia il bene. Che cosa diciamo riguardo ai patriarchi? Non ha compiuto il bene Noe, quando obbedendo ai precetti del Signore entrò nell'arca come degno di salvezza? Abramo non ha operato il bene quando, obbedendo all'ordine divino offrì in sacrificio il proprio figlio? Giobbe non fece il bene, lui che colpito in ogni cosa da una dura tribolazione, rese sempre grazie a Dio? Che dire dei profeti e degli apostoli, i quali servendo ai comandamenti del Signore, si offrirono a morte gloriosa? Avvengono anche oggi, per grazia del Signore, azioni di uomini giusti che sono rette. Ma affinché risplenda per te la piena verità di questa negazione, osserva ciò che viene di seguito: non c'è fino all'unico. In verità è Cristo soltanto, colui che senza il cui aiuto l'umana debolezza non può né iniziare né terminare un'azione buona. Per tale motivo si nega a buon diritto che qualcuno possa compiere il bene, se non chi sia stato condotto a lui, per sua misericordia. Infatti chi si accosta a lui e non si allontana da lui, senza dubbio attua ogni bene. Egli è infatti la fine che è promessa nel titolo.

2. Il Signore dal cielo ha guardato verso i figli dell'uomo. Per quale motivo ha guardato? Evidentemente per mandarci l'Unigenito Figlio suo, per mezzo del quale potesse essere conosciuta con chiarezza la vera fede. Verso i figli dell'uomo, può riferirsi ai giudei, come dichiara il Signore nel Vangelo: Non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele (Mt 15, 24). Intendeva denominarli con un appellativo più onorevole a motivo del culto reso all'unico Dio e per un confronto coi pagani. È certo che a quel popolo è stato offerto un dono speciale, al quale si rese estraneo avendolo respinto empiamente.

Per vedere se c'è qualcuno che comprende o che cerca Dio. Per vedere, o meglio perché si possa vedere. Questa figura è chiamata hypalage, ciè scambio, ed avviene quando alle parole che sono state pronunciate viene attribuito un altro significato; qui è detto che Colui che conosce tutto, prima che avvenga, viene a sapere qualcosa nello scorrere del tempo. In modo analogo il Signore disse ad Abramo: Adesso ho conosciuto che tu temi il Signore tuo Dio (Gen 22, 12); oppure a quel modo con cui dirà ai peccatori nel suo giudizio: Non vi conosco (Mt 25, 12), e altri casi simili. Nelle divina Scrittura troverai che questo modo di parlare è usato con frequenza.

Uno che comprende è detto in seguito alla sua assunzione dell'umanità, perché avrebbe dovuto essere accettato come Dio, colui che dimostrò con molti prodigi la presenza della sua divinità. Il cercare si attua in verità, qualora si osservino i suoi comandi. Ha cercato Dio, chi non si differenzia dal suo volere. Così in un solo versetto è stato manifestato il mistero della santa incarnazione, affinché per mezzo di esso, potesse essere conosciuta la fede degli uomini e dovesse essere trovato il rimedio del dono desiderato.

3. Tutti hanno deviato, insieme sono divenuti inutili; non c'è chi faccia il bene, neppure uno. Tutti è detto hanno deviato, sebbene tra di loro solo un esiguo numero prestò fede. La parte si deve prendere per il tutto. Furono così malvagi che quasi tutti furono considerati infedeli e degni di andare in perdizione. Costoro si allontanarono dalla grazia di Dio e divennero inutili a se stessi.

Sepolcro aperto è la loro gola, con le loro lingue agivano con inganno. Questi cinque versetti, fino alla seconda parte [del salmo] non si trovano negli esemplari in ebraico. Poiché tuttavia sono stati accolti nell'uso della Chiesa da una lunga consuetudine, perchè fu ammesso [di farlo], li spiegheremo ad uno ad uno.

Il versetto presente lo abbiamo già spiegato nel salmo quinto. È certo che il popolo era ancora quello e il motivo simile, [perciò] in modo opportuno ha ripetuto il giudizio contro di loro, come si constata. Giustamente, dunque, la loro bocca è definita un sepolcro perché diceva parole mortifere; infatti come le sepolture, se sono state riaperte, esalano un fetido odore, così anche la gola di costoro emanano sermoni mortiferi; e per non andare in perdizione da soli, disseminano falsità con le loro lingue.

Ricorda anche che in questi cinque versetti, tramite il secondo tipo di definizione, che in greco e detta ennaematica, e in latino è nominata nozione, vengono designati quegli insipienti dei quali in precedenza ha detto che pensano empietà nel loro cuore. Questa figura non definisce che cosa siano sostanzialmente, ma li presenta nella qualità delle loro azioni.

Veleno d'aspide è sotto le loro labbra, la loro bocca è piena di maledizione e di amarezza. L'aspide è un genere di serpenti molto grossi, i quali, per una loro naturale resistenza, possono respingere le formule degli incantatori, né vengono domati da nessun tipo di nenia. I giudei vengono paragonati a questi [serpenti] in modo perfetto perché, contro le parole di salvezza infusero nel misero una sordità letale e preferirono piuttosto seguire i consigli velenosi che lasciarsi condurre alle iniziative di giustizia, al punto da sembrare che sia da riferirsi a loro ciò che è stato detto: preferirono le tenebre alla luce (Gv 3, 19). Il veleno è chiamato così perché si diffonde nelle vene. In modo analogo anche i desideri dei malvagi fluiscono dentro pensieri occulti. Il testo seguente indugia ancora molto opportunamente nell'immagine dell'aspide; se ad esso vengono offerte nenie carezzevoli, quello continua sempre a minacciare la morte: allo stesso modo anche la bocca dei giudei era piena di maledizione e di amarezza; infatti in cambio dei buoni insegnamenti, bestemmiavano il Signore Cristo e si proponevano la sua morte.

Corrono i loro piedi a versare sangue. Chiama piedi gli sviluppi di un progetto, per i quali dalla prima intrapresa passiamo ai risultati delle azioni. Se precisa veloci mostra che sono mancati loro consigli di moderazione. A versare sangue, è sottinteso del Signore Salvatore, e la prontezza con cui attua il fatto aumenta la gravità dell'azione. Così questo sangue dell'Agnello immacolato, mentre venne sparso dai Giudei, li rese gravemente colpevoli ma quando raggiunse noi, ci destinò alla beatitudine.

Dolore e infelicità nelle loro vie e non conobbero la strada della pace. In maniera ottima viene descritta la via degli empi, che è dolore, poiché consuma e si consuma. Infelicità, perché attraverso di essa non si è giunti se non ad infausti tormenti. Qualcuno può trovarsi nella via dei peccatori e poi tornare sulla strada della giustizia. Ma ora nega che quelli siano stati liberati dalla conversione, mentre dice non conobbero la via della pace, quando, accecati nel cuore, non meritano di accogliere lo stesso Signore che è la via della pace.

Non c'è il timore di Dio davanti ai loro occhi. Alle osservazioni precedenti è aggiunta una affermazione che li conclude tutte egregiamente. Perciò essi hanno compiuto azioni così gravi, perché non avevano davanti ai loro occhi il timore di Dio, come afferma l'apostolo a loro riguardo: Se lo avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1 Cor 2,8). Se diciamo con verità che il Signore della gloria è stato crocifisso, sebbene egli sembra rivestito soltanto di carne, non diciamo che egli è stato ucciso nella sua natura divina.

4.5. Forse non conosceranno tutti coloro che operano l'iniquità, che divorano il mio popolo come alimento di pane? Il Signore non hanno invocato. La santa Chiesa, che parla come una persona in questo salmo, giunge alla seconda parte dove viene minacciato a tutti gli empi il giudizio divino, dicendo che in quel rendiconto universale conosceranno la retribuzione coloro che ora compiono il male con tutta libertà. L'ordine delle parole è questo: Forse non conosceranno tutti coloro che operano l'iniquità. A questo versetto và aggiunto questo: poiché Dio è con la generazione giusta. In altre parole conosceranno nel giudizio futuro, quando vedranno che i buoni saranno invitati al premio eterno per volere divino, mentre loro saranno trasferiti ai supplizi che mai finiranno. Che divorano il mio popolo. Parla di coloro che con insegnamenti mortiferi consumano i cristiani semplici. Infatti quando dice, come alimento di pane, sembra riferirsi all'animo dei peccatori poiché come gli affamati pensano di saziare la loro fame con un dolcissimo alimento di pane, così anche questi si affrettano a saziarci con l'inganno dei cristiani. Viene aggiunto il motivo per il quale a loro si aggiunge la morte poiché si rifiutarono di invocare il Signore. Era necessario che sperimentassero il disinganno, coloro che si rifiutarono di invocare il Signore Salvatore con pensiero superbo.

Hanno tremato di paura, ove non c'era da temere, poiché Dio è con la generazione dei giusti. Come aver paura nel momento opportuno è prudenza, così si tratta di un atto d'insipienza agitarsi per una fobia sciocca. Nel primo caso si tratta di accortezza, nel secondo caso si deve sempre rimproverare la viltà. Giustamente dunque sono percossi da vano tremore, coloro che in questo mondo respinsero dalle loro menti il salutare timore del Signore. Dicevano, infatti, i Giudei: Se crediamo in lui (per la stessa novità del culto) verranno i Romani e devasteranno il luogo e la popolazione (Gv 11, 48). Così avvenne che non temendo il Signore si sono angustiati con inutili preoccupazioni. Aggiunge che Dio è con la generazione dei giusti. È stata posta questa sentenza la quale avvisa gli increduli, che la moderazione della divinità è sparita per loro, sebbene vedano se stessi sollevarsi per un benessere passeggero.

6. Hai confuso il consiglio del misero poiché Dio è la sua speranza. L'invettiva è rivolta contro il popolo dei giudei, al quale è detto in modo velato: hai confuso il consiglio del Cristo. Non hai voluto accogliere, colui che era venuto per liberarti, che aveva progettato di dare salvezza a che gli avesse prestato fede, e di infliggere un contraccambio a chi lo avrebbe disprezzato. Il misero è il Signore Salvatore il quale pur essendo ricco, si è fatto povero per noi (2 Cor 8, 9). Tutto questo versetto deve essere letto con un senso di meraviglia. Hai confuso il consiglio del misero poiché Dio è la sua speranza; dovette vivere con più grande fedeltà proprio allora, quando, venendo disprezzato, fu visto sopportare le umiliazioni. Non ti turbi che, in considerazione dell'umanità assunta, Dio venga considerato la speranza della santa incarnazione. Infatti non avrebbe potuto in un altro modo manifestare l'umiltà della sua umanità, accolta per la salvezza degli uomini; come viene detto in un altro salmo: Dio mio, Dio mio, guarda verso di me, perché mi hai abbandonato? (Sal 21, 2).

7. Chi darà da Sion la salvezza a Israele, mentre allontana Il Signore la prigionia del suo popolo? Dopo che la Chiesa ha parlato della venuta del Signore, ora torna a contemplare con meraviglia questo beneficio, dicendo: Chi darà da Sion la salvezza a Israele? Mentre afferma Chi, non vuole pensare a nessun altro se non al Signore Padre, il quale si è degnato di inviare e di donare da Sion, ossia da Gerusalemme, il Signore Cristo. Egli è infatti la salvezza d'Israele, cioè, la salvezza eterna e l'infinita sicurezza di coloro che credono con rettitudine.

Segue mentre allontana il Signore la prigionia del suo popolo, cioè mentre condannerà il diavolo che è sempre pronto, con empia crudeltà, a perseguitare e a schiavizzare il popolo di Dio. Gioirà Giacobbe ed esulterà Israele. All'interrogativo formulato poca fa aggiunge una risposta di consolazione; affinché gioisca Giacobbe, cioè il popolo dei giudei e dei pagani già radunato e in fase di radunarsi, per i doni di grazia, il quale si era disperso alquanto per la sua infedeltà. In questo testo in Giacobbe si deve pensare all'antico popolo dei giudei, sebbene questo nome, secondo l'uso biblico, come si mostrerà in seguito, venga dato anche al nuovo popolo. In Israele scorgiamo in modo congruente la chiesa universale radunata da tutte le parti del mondo, la quale deve esultare, quando sarà giunta, per la misericordia del Signore, al regno dei cieli. Osserva come siano assegnate delle parole specifiche ai singoli casi. Gioirà Giacobbe, poiché non accolse la medicina nella quale non aveva sperato. Esulterà Israele, cioè si riempirà di una gioia indicibile quando vedrà di fatto, ciò che desiderava ardentemente nella speranza.

Conclusione

Se meditiamo queste parole con animo devoto, in questo salmo ci viene enunciata quella forza per la quale possiamo consigliare con benevolenza i nostri nemici, per quanto ci è possibile, affinché non diventino schiavi di un errore irrimediabile per essersi induriti in una cieca ostinazione. La chiesa rimprovera il popolo peccatore, affinché non si affretti verso la sua morte: deposta ogni iniquità, non si attardi a rifiutare ciò per cui potrebbe morire in tutti i modi. Per lo stesso motivo anche noi, per quanto ci verrà dato, seguiamo le sante istituzioni. Riconduciamo gli eretici alla retta fede, agli orgogliosi annunciamo la santa umiltà. Noi particolarmente giungeremo insieme a questi doni, se saremo capaci di giovare a costoro. Dobbiamo sapere che questo è il primo salmo fra quelli che trattano del rimprovero e della conversione dei Giudei.

Riguardo al numero di questo salmo, non consideriamo assurdo formulare questa ipotesi: dal momento che la santa Chiesa è stata introdotta a parlare, essa che ha ricevuto in eredità i cinque libri di Mosè e il mistero dell'ottavo giorno riguardante la risurrezione del Signore, giustamente, come appare, la sua persona possiede il numero di tredici poiché contiene i sacramenti dell'Antico e del Nuovo Testamento. Oppure questo numero può alludere al fatto che dalla nascita del Signore fino alla sua manifestazione sono trascorsi tredici giorni. Giustamente questa supposizione si completa con tali realtà celesti.

Salmo 14

1. Sulla fine. Salmo di Davide. Visto che il titolo di questo salmo ci richiama solennemente il Signore e che non c’è nulla di nuovo che possiamo dire sulle parole [che lo compongono], portiamo l’indagine piuttosto sugli insegnamenti molto utili che troviamo nel testo. Infatti esso non nasconde un altro [insegnamento] in profondità, come accade per altri salmi, ma alla domanda rivoltagli dal profeta, il Signore risponde, facendo riferimento al decalogo, [affermando] che è possibile giungere negli atri della sua beatitudine mediante dieci virtù. Non cercarne una per versetto, perché esse sono riportate in un versetto ad una ad una, oppure due o tre alla volta. Ma spiegheremo a suo tempo in che modo debbano essere suddivise e comprese.

Osserva, poi, come questo sia il secondo salmo che si propone l’istruzione dei fedeli. Nel primo, infatti, è stata esposta con compiutezza [la fisionomia] dell’uomo beato in una composizione di cinque frasi: non andò nel consiglio degli empi, non stette nella via dei peccatori, non sedette nella cattedra della pestilenza, ma nella legge del Signore la sua brama e nella sua legge medita giorno e notte. Ora dice che questo uomo santo eccelle grazie a dieci sante virtù. In questo modo anche adesso viene presentata l’importanza del pentateuco e del decalogo.

Divisione del salmo

La struttura di questo salmo sta tutta in una domanda e in una risposta; ma la domanda consta di un solo versetto, mentre la risposta è contenuta in sei versi. Ora mettiamoci a spiegarne le parole.

Spiegazione del salmo

Signore, chi abiterà nel tuo tabernacolo, o chi riposerà sul tuo santo monte? Il profeta desiderando conoscere quali persone il Signore giudicasse degne [di appartenere] alla sua Chiesa, ponendosi davanti al suo volto come un sacerdote devoto, chiede una risposta e desidera avere delle certezze circa il suo interrogativo. Questa figura è detta erotema [domanda] [e si verifica] quando ad una domanda si dà una risposta conveniente. Chiede infatti chi può abitare nel suo tabernacolo? Cerchiamo di capire un po’ con diligenza perché parla di tabernacolo. I nostri antenati hanno chiamato tuguri [tabernae] le case dei poveri, perché erano coperte soltanto con travi e non ancora con tegole, come si fa anche ora con i tuguri. E poiché là abitavano e mangiavano, come era abitudine presso gli antichi di mangiare una volta sola [al giorno], si è formato un solo vocabolo, tabernacolo, ricavandolo da due nomi cioè da taverna e da cenacolo. Per questo ancora sentiamo che vengono chiamate tabernacoli, in modo analogo, le abitazioni adatte ad un viaggio e quelle improvvisate. Nell’Antico Testamento il Signore ha ordinato di costruire un tabernacolo per sé, quando il popolo d’Israele viveva nell’accampamento, affinché un’abitazione divina si spostasse insieme con le dimore degli Ebrei. Da ciò è derivato che la fede cattolica, che è diffusa nelle Chiese in tutto il mondo, sia chiamata tabernacolo di Dio. {Anche Giuseppe nel terzo libro delle Antichità, al capitolo settimo [Fl. Ios. Ant. Iud. III, 6 (7)], raccontò questo fatto in una diligente dissertazione, e anche noi lo facemmo dipingere e collocare nelle Pandette nel formato più grande [Cf. Istituzioni I, V, 2 p. 67]}. Il monte santo significa la Gerusalemme futura. Osserva come egregiamente ponga delle parole adatte ai vari significati. Nel tabernacolo, dice, chi abiterà? Parla di colui che combatte ancora nella lotta di questo mondo. Nel monte chi riposerà? [Accadrà] quando ogni fedele dopo le fatiche di questo mondo, si rinfrancherà nella sicurezza della pace eterna.

2. Chi cammina senza colpa. Giunge alla seconda parte dove vengono date delle risposte come se provenissero da recessi [oracolari]; e vengono poste in bocca al Signore Cristo, affinché soddisfi il desiderio del richiedente e riveli l’adorabile mistero della sua incarnazione. La sua prima azione gloriosa fu quella di entrare nel tabernacolo senza macchia, quando entrò nel tempio di Gerusalemme, libero dal peccato. Mentre altri si introdussero nella casa di Dio per purificarsi, egli solo poté entrare in questo modo e presentarsi al cospetto del Padre senza colpa; non per ricevere un’altra legge, ma per adempiere piuttosto la legge, come un perfetto Legislatore.

E compie la giustizia. La seconda [virtù] è quella che il Signore compì, quando espulse dal luogo di riunione i venditori e i compratori, proibendo che si svolgesse nel tempio divino lo scambio commerciale tra uomini; dice infatti: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera, e voi la rendeste una spelonca di ladri (Mt 21, 13).

3. Chi pronuncia verità nel suo cuore. La terza è quella compiuta dal Salvatore nostro tra sé. La verità è una realtà la quale non può sussistere in nessun modo se non mediante una conferma, e si mostra quando si realizza, quando rinvia ad un fatto trascorso e ad uno che dovrà compiersi. Parlava infatti in silenzio la verità nel suo cuore, quando non comunicava i misteri del suo insegnamento a coloro che lo circuivano con inganno. Infatti quando era pressato dalle falsità dei giudei e dalla voce del sovrano, tra la meraviglia di tutti, non rispose neppure con una parola, ma parlava nella sua coscienza ciò che non erano degni di ascoltare coloro che lo esaminavano chiaramente con intenzioni fraudolente.

Non pronunzia inganno con la sua lingua. Parla della quarta [virtù]. Egli stesso attesta nel Vangelo di aver parlato senza alcuna menzogna quando afferma: Tutto ciò che ho udito dal Padre mio ve l’ho fatto conoscere (Gv 15, 15). Che cosa c’è di più puro o di più semplice, di quella verità immutabile, mai violata da qualche aggiunta o soppressione, pervenuta alle orecchie degli uomini in una integrità perfetta?

Non ha fatto danno al suo prossimo. Parla della quinta, la quale pure attesta del Signore che non solo non danneggiò alcuno, ma che anche pazientemente sopportò tutto. Chiamò prossimo il popolo dei giudei, dal quale derivò per nascita, per il quale, mentre era appeso alla croce, pregò dicendo: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Vedi come non ha fatto nessun danno al prossimo, anzi pregò perfino per loro affinché venissero assolti.

E non accettò obbrobrio contro il suo prossimo. Questa sesta [virtù] allude [alla vicenda di] Giuda Iscariote. Sebbene sapesse che stava per essere tradito da lui, non volle svergognarlo con un rimprovero pubblico, ma parlò soltanto in modo generico e disse: Chi mette la mano con me nel piccolo piatto, questi mi tradirà (Mt 26, 23). Fece in questo modo, per non nascondere a coloro che potevano comprenderla la forza della sua divinità e per non intaccare la fama del prossimo con colpo mortale. Non accettò, ossia non gradì. Consideriamo piacevoli, le cose che mostriamo di gradire.

4. Il maligno fu ridotto al nulla al suo cospetto, ma i timorati di Dio lo magnificano. Questa è la settima virtù: [Cristo] ridusse al nulla al suo cospetto il maligno, il diavolo, quando gli disse: vattene, Satana, non tentare il Signore Dio tuo (Mt 4, 7. 10). Questo [discorso] a chi altro si può applicare se non a Colui che di propria virtù mostrò di dominare su tutti gli spiriti? Segue un’aggiunta preziosa di un’altra parte [del salmo] e, come il maligno fu ridotto al nulla al suo cospetto, così i timorati di Dio sempre, con cuore puro, lo magnificheranno. Questa figura si chiama paradigma, come ho già spiegato nel primo salmo. Ci chiama infatti alla felicità mentre caccia l’avversità.

Chi giura al suo prossimo e non lo inganna. Si parla dell’ottava virtù che il Signore mostrò quando promise ai suoi apostoli con un'assicurazione vera dicendo: Voi sarete miei amici, se farete quello che vi comando. Non vi chiamo servi (Gv 15, 14-15). Esaminiamo che cosa riporta questa frase al suo inizio: chi giura al suo prossimo? Gli uomini giurano quando promettono qualcosa appellandosi a Dio. Ma quando è lo stesso Dio a promettere, in modo più conveniente ancora si dice che c’è un giuramento grazie allo stesso che promette. Giurare infatti è detto nel senso di parlare con diritto, cioè parlare con giustizia. Allora parla con giustizia quando qualcuno adempie ciò che ha promesso. Per Dio giurare è promettere e compiere, come è detto in un altro passo: Il Signore ha giurato a Davide una verità e non la renderà vuota (Sal 131, 11). E ancora: il giuramento che ha giurato ad Abramo nostro padre (Lc 1, 73). E questo potrai trovarlo in molti passi nella lettura divina.

5. Chi non presta il suo denaro ad usura. Nella nona [virtù] si affronta un argomento che bisogna approfondire. Nella Scrittura santa, come si può provare, il denaro viene presentato in due maniere: una corrisponde a quello di metallo che a tutti è proibito a prestare con usura, poiché il vizio della cupidigia consiste nel voler esigere ciò che tu sai di non aver prestato. Il Signore Cristo lo possedette, e lo consegnò a Giuda perché lo distribuisse ai poveri; non lo diede ad usura, ma lo elargì ai bisognosi con devota generosità, per istruire noi. L’altra maniera si ha quando veniamo persuasi dall’insegnamento evangelico, a dare ad usura quel denaro, che corrisponde alla predicazione santa e agli istituti divini. Dice infatti: Sapevi che sono un uomo duro e severo: non era conveniente che tu affidassi il mio denaro ai banchieri, così che al mio ritorno potessi riavere il mio con l’interesse? (Mt 25, 27). Questa parola viene equivocata a motivo del diverso significato in cui appare.

Non accetta doni sopra [contro] gli innocenti. La decima virtù, che restava ancora [da esaminare], ora si espone al completo. In questo passo, [l'espressione] sopra gli innocenti si deve capire nel senso contro gli innocenti. Questa azione non solo il Signore non l’ha fatto, ma anche ha mostrato di offrire se stesso per la salvezza di tutti, come dice nel vangelo: Il buon pastore dona la sua vita per le sue pecore. Accettò doni dai Magi ma non contro gli innocenti. Anche ora riceve le offerte poste sui santi altari ma non contro gli innocenti. Da questo fatto apprendiamo che le offerte pie e pure, [date] a motivo di carità, non devono essere assolutamente respinte. Se avesse voluto disprezzare qualsiasi dono, non avrebbe specificato, contro gli innocenti.

Chi agisce in questo modo, non si muoverà in eterno. Dopo aver parlato delle dieci virtù che attribuiamo al Signore Gesù Cristo, e non in modo incongruo, alla domanda del profeta viene data in breve una riposta certa; poiché chi agisce in questo modo, questi abiterà nel tabernacolo del Signore e riposerà sul suo santo monte. Fa attenzione, però, al fatto che ha precisato chi ha fatto questo, non chi lo ha cantato, per costringerci alla virtù attuale con un comandamento aggiunto, per evitare che salmeggiassimo invano le profondità di un mistero così grande, considerando sufficiente soltanto l’averlo cantato.

Non si muoverà, cioè non sarà rimosso da lui, e questo viene concesso solamente ai santi e ai beati. Infatti ogni empio sarà rimosso in eterno da lui, quando sarà privato dalla comunione del suo regno. Questa figura è chiamata zeugma, cioè congiunzione, quando molte questioni vengono concluse con una sola parola o con una sola frase. In questo caso, ciò avviene mediante un’affermazione completa, ma quando ciò verrà fatto soltanto con un verbo, non lo farò passare sotto silenzio.

Conclusione

Questo è il celeste Decalogo, questo il salterio spirituale dalle dieci corde: questo è il vero numero di corona, che soltanto colui annientò i vizi del mondo con il suo autore può completare. Invochiamo sempre, tuttavia, la sua onnipotenza perché, sebbene non possiamo compiere con le nostre forze questi grandi [precetti] che ci sono stati comandati, riusciamo a farlo arricchiti dei suoi doni. Non è neppure trascurare la riflessione sul suo numero; infatti la venuta del Signore Salvatore è brillata alla quattordicesima generazione dopo l'esilio a Babilonia. Giustamente crediamo che anche qui abbia parlato, Colui che si è degnato di venire dopo lo stesso numero di generazioni.

Salmo 15

1. Iscrizione del titolo dello stesso Davide. Mentre tutte le frasi che sono collocate al principio dei salmi vengono dette iscrizioni appartenenti al titolo, non so quale mistero voglia designare questo [salmo], essendo il primo a proporre questa particolare [precisazione], come si vede. Ricordiamo che quando il Signore ha patito, fu scritto sopra il suo capo questo titolo: Gesù Nazareno re dei Giudei. Qui si parla in verità dei giudei che servono a Cristo con pura devozione. E poiché il Re nostro, il Salvatore, [ora] parlerà della sua passione e risurrezione, giustamente si ricorda questa iscrizione che sarebbe stata scritta secoli dopo, secondo il progetto divino.

Affinché tu riconosca che questa iscrizione del titolo, non può essere riferita a qualsiasi altra persona ma al Signore Cristo, ha aggiunto: allo stesso Davide; che questo debba essere riferito al Signore Salvatore lo abbiamo dimostrato più volte, con precisione, nel corso del Commento.

Bisogna sapere poi che questo salmo è il secondo tra quelli che espongono in breve la passione e la resurrezione del Signore.

Divisione del Salmo

Nel corso di tutto il salmo viene introdotta [a parlare] la persona del Signore Salvatore. Nella prima parte, secondo la sua consuetudine, in base alla sua umanità assunta, parla col Padre, chiedendo di essere custodito [da lui], perché aveva sempre posto la sua speranza in lui; [così facendo] non toglie nulla alla sua divinità, ma manifesta la natura della sua umanità. Chiamo natura il principio e la forza di qualsiasi realtà. Aggiunge anche che i suoi santi non amano [seguire] i desideri della carne ma le virtù dello spirito; affermando di aver comunicato tutto ciò che conduce alla gloria della sua eredità.

Nella seconda parte rende grazie al Padre, perché per l'essersi manifestato a lui dalla parte destra, poté vincere l’iniquità di questo mondo, grazie alla forza della sua onnipotenza. Per questo afferma che la sua anima è stata liberata dal regno dei morti e dopo la gloria della resurrezione, ricorda di essere stato posto nelle delizie della sua destra.

Spiegazione del Salmo

Custodiscimi Signore perché ho sperato in te. Chiede che la natura assunta dell’umanità sia custodita dalla protezione paterna poiché sta per venire in mezzo ai pericoli della vita umana e [affrontare] i sentimenti ostili dell’incredulità dei giudei; e per essere esaudito in modo più immediato, dice di aver sempre sperato nel Signore. Questa figura è chiamata ethopoeia, [e si usa] quando viene data la parola ad una persona designata. In questo caso la persona è quella del Signore Salvatore, formata da due nature distinte e perfette, così da restare un solo Cristo, uomo e Dio.

2. Ho detto al Signore, sei tu il mio Dio, poiché non hai bisogno dei miei beni. Ho detto, non con le labbra ma con l’affetto del cuore, con il quale la sua santa coscienza si esprime. Sei tu il mio Dio, il Figlio parla al Padre nella forma di servo, affinché tu riconoscessi con chiarezza le due nature nell’unica persona del Signore Salvatore. Una è umile perché [partecipe] della nostra debolezza, l’altra è degna di stupore perché [partecipe] della sua potenza, affinché ti persuada che ha patito, che ha vissuto nella carne, ma che è risorto, per una maestà assai potente.

Per abbattere poi l’arroganza del genere umano, il quale presume di poter fare qualcosa di buono con le sue sole forze, ha aggiunto: non hai bisogno dei miei beni. Ascoltino questo messaggio i Pelagiani che credono di poter fare qualcosa di buono con le loro energie. Grida con la voce della [sua] umanità che Dio non ha affatto bisogno dei suoi beni, riconoscendo che deve essere riconosciuto a lui tutto ciò che ha donato, e non [deve attribuirli] a sé colui che ha ricevuto i beni ottenuti.

3. Per i suoi santi che sono sulla terra, magnificò tutti i miei desideri in loro. Per prima cosa dobbiamo fissare per noi un ordine delle parole, affinché dissipata l’oscurità del discorso, brilli per noi più facilmente il loro significato. Per i suoi santi che sono sulla terra, il Padre magnificò tutti i miei desideri. Affinché tu sappia che il Cristo Signore deve essere amato dai suoi eletti, ha aggiunto in loro, cioè nei santi che sono nella terra dei viventi; non in quelli che elevano se stessi nella vanagloria mondana, ma in quelli soltanto che sono destinati al regno dei cieli; indicando così gli innocenti e i giusti, tra i quali si sono mostrati meravigliosi i desideri del Signore Salvatore, quando obbedendo ad essi e operando le sue opere giuste, li rese eterni da mortali, celesti da terreni per una grazia della sua bontà.

4. Si sono moltiplicate le loro infermità, dopo si affrettarono. Non raccoglierò il loro raduno con il sangue. Riguardo ai santi dice che, con la provvidenza del Signore, per mezzo di una sofferenza salvifica, sono stati liberati dalla voluttà ingannevole. Dapprima infatti si è moltiplicata per loro, a causa della severità della legge, l’infermità della carne, affinché giungessero con maggiore desiderio alla grazia liberatrice del Nuovo Testamento: dice che questi non saranno radunati col sangue di armenti o di altre vittime secondo la consuetudine ma con l’immolazione del suo corpo e sangue; questa salvò la totalità del genere umano, radunato da tutto il mondo. Parlando di ciò che ha relazione col sangue, si riferisce agli animali che allora erano immolati in sacrificio con abbondanza; questo rito, in seguito, dopo la venuta di Cristo Signore, subì un cambiamento. Il nome «i sangui», presenta una forma contraria alle regole grammaticali, dal momento che essa non prevede per questo termine la forma al plurale e perciò deve essere inserito tra le parole che sono tipiche della Scrittura divina.

Non ricorderò con le mie labbra i loro nomi. Dice che i nomi antichi, portati dagli increduli, sono stati cambiati dalla grazia giunta in seguito. Dapprima furono chiamati figli dell’ira, figli del diavolo, figli della carne; dopo la venuta del Signore, rinati al fonte sacro, sono chiamati cristiani, figli di Dio, amici dello Sposo. Non si ricordò dei loro nomi quando, come è evidente, pose dei nomi nuovi ad uomini nuovi. Le labbra del Re Cristo dobbiamo considerarle qui come i due Testamenti, per mezzo dei quali sappiamo che vengono espresse le sue volontà. In modo opportuno si parla di labbra, dal momento che entrambi parlano del regno di Dio e nella concordia di un’unica voce, come le labbra vengono comandate, mentre la memoria è del cuore. Dice qui: Non ricorderò con le mie labbra i loro nomi. Dobbiamo considerare questo come un uso tipico della divina Scrittura, come è già stato detto nel settimo e nel decimo salmo.

5. Il Signore è la porzione della mia eredità e del mio calice: tu sei colui che mi restituirà la mia eredità. È cosa beata davvero scegliere quell’insegnamento, che non può mai passare per un qualche cambiamento. Qui è come se dicesse: scelgano pure altri per sé le concupiscenze mondane e un’esistenza simile ai venti passeggeri, la porzione della mia eredità e del calice è il Signore. L’eredità richiama la fede delle genti, il calice, la passione venerabile; esso, attinto con sobrietà, conferisce la resurrezione colma di gloria. Bisogna capire per quale ragione spesso il calice venga considerato come la volontà e la il compito del Signore. Il calice viene chiamato così dalla bevanda calda; come esso, una volta attinto, rallegra il cuore dell’uomo, così anche qui, assunto, infonde una gioia continua nelle anime sante.

Tu sei. Mantenendo il rispetto dell’amore, il Figlio parla [in questo modo] col Padre, non perché sia inferiore quanto alla divinità, ma, perché [è] sottomesso per la sua umanità, come dice anche l’Apostolo: sebbene fosse Figlio di Dio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì, e divenuto perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono (Eb 5, 8-9). Restituirai, aggiunge poi, poiché il genero umano era perito per opera del diavolo. In verità fu restituita a lui l’eredità, al quale era stata prestabilita prima della creazione del mondo. Eredità infatti viene detta da hero [eroe], cioè dal Signore.

6. Le funi caddero per me nei luoghi migliori, infatti la mia eredità è splendida. Nell’uso antico la terra da ereditare era misurata con delle funi, affinché, in base ad una misura stabilita, ognuno ricevesse una porzione di terra a seconda della quantità del tributo e la qualità della sua persona. Come si legge nell’antico Testamento, Mosè ordinò a Giosuè di misurare con funi la terra della promessa da assegnare in eredità ai figli d’Israele. Per questo ora giustamente parla di funicelle, poiché ha ricordato l’ampiezza e la gloria della sua eredità.

Si può pensare che queste funi stiano a significare le angosce intrecciate di questo mondo; infatti le funi sono chiamate così dai riti funebri, poiché al modo di ceri erano poste davanti ai feretri; esse senza dubbio sono state cambiate nei luoghi migliori, quando giunsero ai premi eterni della risurrezione.

L’eredità di Cristo è la moltitudine eletta dei santi. Ad essa ha aggiunto mia, poiché non si gloria in se stesso, secondo la sua umanità, ma nel Padre. Dal momento poi che l’ha considerata magnifica, si deve cercare perché dica che questa eredità sia caduta su di lui, visto che tale verbo [cadere] si usa di solito in casi avversi. Ma nel linguaggio divino viene adoperato anche in casi positivi; si dice infatti negli atti degli Apostoli (At 1, 26): la sorte cadde su Mattia, ossia viene fatto sapere che l’onore di essere apostolo che era stato conferito dalla decisione divina.

7. Benedirò il Signore che mi ha dato intelletto: oltre a ciò fino alla notte mi rimproverarono i miei reni. [Il profeta] è giunto alla seconda sezione nella quale il suo discorso va compreso con maggiore intelligenza. Con quale preveggenza già allora ha respinto le future eresie, tanto che il Cristo, Verbo fatto carne [lett: l’incarnazione del Signore] dichiarava che avrebbe ricevuto l’intelligenza dal Signore [cioè da Dio Padre], quella con cui avrebbe visto tutto ciò che è vero e santo; così la debolezza umana non si attribuita qualcosa mentre avrebbe ricevuto i benefici non a motivo di meriti accumulati ma per la generosità della grazia.

Segue mi rimproverarono i miei reni, come se dicesse: oltre ai mali che mi furono inflitti da tutta la parentela dei giudei, soprattutto dalla tribù di Giuda alcuni mi hanno mosso rimproveri, [tribù] dalla quale il Signore Cristo ha preso origine secondo la carne, come è provato. Fino alla notte, significa fino alla morte. I reni richiamano la parentela, perché per essi, secondo l’uso, viene seminata la generazione umana.

8. Ponevo il Signore davanti a me sempre, poiché se sarà alla mia destra, non sarò spostato. Comunicandoci quanto ha operato, ci ha suggerito un rimedio particolare col quale possiamo evitare il peccato. L’uomo che contempla in continuazione con l’impulso della mente, in nessun modo può commettere delle trasgressioni. La verità, finché abita nel cuore, impedisce l’ingresso di ogni falsità.

Spiega il motivo per cui non ha deviato; mentre il Signore stava alla sua destra in suo soccorso, la sinistra [ossia il male] non prevaleva ma l’animo che era custodito da lui, perseverava in lui con grande saldezza. Opportunamente diceva che il Signore stava alla sua destra, perché se non avesse occupato questa parte, subito si sarebbe fatto avanti il diavolo insidioso; come è stato scritto a proposito di Giuda: poni su di lui un peccatore, e il diavolo stia alla sua destra (Sal 108, 6).

9. Per questo si è rallegrato il mio cuore ed esulterà la mia lingua; al di sopra anche la mia carne riposerà nella speranza. Per questo, per il fatto, cioè, che egli sta alla sua destra, testimonia che è venuta a lui la letizia nei suoi pensieri e l’esultanza della lingua. Tale è infatti la gioia perfetta, quella che, concepita in un cuore lieto, viene poi espressa in un discorso pieno d’ardore. Infatti come lo ha detto per i mali, così il termine al di sopra, lo ha ripetuto per i beni, affinché si credesse che la sua umanità aveva recepito le gioie celesti secondo la misura delle sofferenze [provate].

Dichiara che la sua letizia è aumentata ancora di più, al di sopra delle sue gioie, per il fatto che la sua carne passibile, che assunse per la nostra salvezza, cioè di tutti, meritò, rimanendo incorrotta, la verità della gloriosa resurrezione. Questa figura è chiamata aetiologia [aitiologia] , cioè spiegazione della causa, ed [avviene] quando si porta una motivazione attendibile ad una questione affrontata.

10. Perché non abbandonerai l’anima mia negli inferi, ne permetterai che il tuo santo veda la corruzione. Dove sono gli Apollinaristi che errano nel loro pensiero, essi che affermano che il Signore Cristo non ha avuto un’anima ragionevole? Ecco egli grida, rende grazie al Padre, perché la sua anima non è stata abbandonata negli inferi, come avviene di solito, ma glorificata da una resurrezione repentina, è giunta nel regno dei cieli, come viene testimoniato nel vangelo con frequenza: l’anima mia è triste fino alla morte (Mt 26, 38). E altrove: ho il potere di dare la mia anima e di riprenderla di nuovo (Gv 10, 18). Non pensare che si possa trascurare questo aspetto; infatti, se nel salmo ventinove trovi scritto, quale vantaggio dalla mia morte, mentre scendo nella corruzione?, in questo passo riscontri un’affermazione contraria. Il [contrasto] si risolve in questo modo; lì dice di scendere nella corruzione, quando viene trapassato dall’impeto dei chiodi che l’appendono [alla croce] e della lancia, dal momento che la perforazione del suo corpo solido a buon diritto può essere considerata una corruzione. In questo passo, invece, nega che avvenga una corruzione, cioè una putrefazione, quella che, di norma, devasta il corpo umano. Il terzo giorno quando potrà restituire la vita al corpo, renderà manifesto che esso non poteva essere soggetto a corruzione.

11. Mi hai fatto conoscere le vie della vita; mi colmerai di gioia al tuo cospetto, delizie alla tua destra sino alla fine. Dopo aver concluso il discorso sulla santità del suo corpo, questo versetto posto a conclusione, riguarda anche i giusti, cioè coloro che scelgono di obbedire ai comandamenti. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, cioè per mezzo di me hai fatto in modo che l’umanità conoscesse il sentiero della vita, affinché, obbedendo umilmente ai tuoi precetti, sfuggisse ai veleni della superbia letale. Mi colmerai, cioè mi riempirai totalmente. Ha grande valore completare fino alla pienezza, perché, allora, ciò che porta alla pienezza, dona stabilità. Quella gioia riempie a tal punto, che essa viene conservata sempre in pienezza. Significa anche che tutti i giusti in quella beatitudine si riempiranno della gioia della visione del Signore; poiché egli è, può riempirli di se stesso, come è attestato.

Esaminiamo un poco, con maggior impegno, in che cosa consista questo che ora sta dicendo: sentirsi riempito delle delizie alla destra del Padre, mentre in precedenza aveva detto: poiché sta alla mia destra, non vacillerò. In questo mondo, quando, avendo assunto la [nostra] carne, fu battuto da flagelli, colpito da schiaffi, preso di mira dagli sputi, non veniva vinto, ciò nonostante, da nessuno dei suoi tormenti, si poté dire che aveva sempre visto il Signore alla sua destra. In questo modo infatti prevalse sulle avversità del mondo, poiché non si distolse mai dalla contemplazione del Padre. Ma dopo la gloria della resurrezione, propriamente dice di essersi rallegrato alla destra del Padre. Ora, liberata dall’avversità di questo mondo, la sua umanità ha raggiunto il culmine della glorificazione [propria] di tutta la sua grandezza, regnando unita al Verbo, con il Padre e lo Spirito Santo per i secoli dei secoli.

Sino alla fine, significa la perfezione e l’eternità: poiché la sua gloria, rimanendo nella perfezione propria, non finirà mai più in alcun tempo.

Conclusione

Vediamo quanto questo salmo ci educhi nel dono della salvezza; ci infonde fiducia nella sofferenza, ci promette nella speranza la gloria eterna, affinché, dopo averci rivelatala felicità del futuro, non siamo presi da paura di fronte alle avversità presenti. È una scuola celeste, un’istruzione vitale, un ascolto di verità, un esercizio particolare – sicuramente – che investe i discepoli con significati fruttuosi, non con il raggiro di vane parole.

È utile anche vedere che significato detenga il numero quindicesimo. Significa, infatti, come crediamo, i quindici gradini coi quali si ascendeva alla grande magnificenza del tempio di Gerusalemme. Questo, a sua volta, indica che, vinti i cinque sensi del corpo con la grazia della Trinità si giunge agli atri della santa Chiesa grazie ad un dono felice. Anche a questo scopo ci è stato donato questo salmo, se custodiremo, con la protezione del Signore, il suo insegnamento così salutare.

Salmo 16

1. Preghiera di Davide. Se si considera che molti salmi al loro interno contengono delle preghiere, non sembra strano il fatto che qui abbia posto un titolo del genere? Tuttavia anche se altri [salmi] riportino delle suppliche brevi, frammiste ad altre tematiche, questo tuttavia si presenta come un’invocazione per quasi tutta la sua durata. Giustamente, allora, è stato presentato come tale, visto che il suo intento è tutto rivolto all’impegno della preghiera. Tuttavia questa preghiera deve intendersi in modo, da includere il nome di salmo, poiché in questo libro non troviamo riposto nulla che non meriti di ricevere questo nome, soprattutto quando si legge il libro dei salmi. La preghiera (oratio) viene intesa in due modi: quella con cui ci si rapporta tra persone, chiamata comunicazione verbale; quella rivolta ad un’autorità, ed è una supplica salvifica e un atto di umiltà vitale.

Osserva che questo salmo, e assieme ad esso l’ottantacinque, l’ottantanove, il centouno e il cento quarant’uno sono presentati nel titolo come preghiera. Esporremo adeguatamente le loro caratteristiche e proprietà nel [commento al] salmo cento quarant’uno, l’ultimo della serie.

Davide, come ho detto, preannuncia Cristo Signore dalla cui persona è scaturito questo salmo per l’istruzione dell’umanità.

Divisione del salmo

In questo salmo dall’umanità di Cristo scaturisce una preghiera divisa in tre parti. Nella prima chiede che gli venga retribuito secondo la sua giustizia. Nella seconda chiede che la sua innocenza venga liberata dalle insidie dei giudei. Nella terza chiede di risorgere prontamente affinchè al popolo dei giudei non vanga data la possibilità di insultarlo più a lungo. Per evitare che la folla dei fedeli nutrisse dubbi circa la sua maestà, attesta che rimarrà nella beatitudine eterna.

Spiegazione del salmo

Ascolta, Signore, mia giustizia; guarda al mio lamento. [Il salmista] è certo che la sua voce otterrà giustizia presso Dio. Egli, con la forza della sua intelligenza, conosce le cose nascoste. La preghiera perfetta è quella di colui che grida con la sua condizione, con la sua lingua, con la sua parola e con la sua azione, con la sua vita e il suo pensiero. Guarda al mio lamento. Non invano queste parole sono state associate ad attività discordanti con esse. Infatti guardare attentamente è proprio dell’occhio, ascoltare le invocazioni è proprio dell’orecchio. Per questo, tali parole sono state messe insieme, affinché dalle due attività, si possa verificare un unico risultato. Qualsiasi cosa l'orecchio ascolti, l'occhio veda, la mano tocchi, il palato gusti o il naso odori, Dio la conosce interamente con la sola forza della contemplazione.

Comprendi con le orecchie la mia preghiera, non [esce] da labbra ingannevoli. Riesamina ciò che ho detto sopra. Comprendere è ricevere qualcosa non in modo passeggero ma accogliere le invocazioni degli uomini con grande compassione. Non [esce] da labbra ingannevoli, come (avvenne quando) dai giudei uscirono sentenze false, per opera dei quali l'innocente fu condannato e il brigante fu assolto.

2. Dal tuo volto esca il mio giudizio; i miei occhi vedano la giustizia. Dal tuo volto esca il giudizio; per noi è una dizione insolita ma fa parte del linguaggio biblico, perché la sentenza suole emanare dalla mente. A Dio questo può essere attribuito in modo appropriato solo in senso allegorico, in quanto egli vede ciò che giudica, ed è testimone al suo giudizio; non cerca la testimonianza di alcuno, lui che solo conosce in modo assai veritiero i segreti di tutti. Dal tuo volto dunque dice, cioè dal tuo cospetto, secondo quello che tu vedi in me e conosci. Egli parlava rettamente in questo modo, poiché sapeva di non avere macchia di peccato.

Segue: I miei occhi vedano la giustizia. Qui per giustizia, dobbiamo pensare alla stessa divinità (Dio Padre), alla quale chiede di essere pronta ad esaudire sempre senza alcun indugio. Contemplandola, come in realtà ha fatto, non avrebbe avuto macchia di peccato. Lo aveva già detto nel salmo precedente: Ponevo il Signore sempre davanti a me: poiché se sta alla mia destra non vacillerò. Quale contemplazione salutare! Che occhi purissimi questi che contemplano sempre quella giustizia! Senza dubbio non possono mai trovarsi avvolti dalla tenebra di questo mondo, dal momento che meritano di essere colmati da tanto chiarore.

3.4. Hai messo alla prova il mio cuore e lo hai visitato lungo la notte; mi hai esaminato col fuoco e non è stata trovata in me alcuna colpa, sebbene non parli la mia bocca. Mantiene un ordine egregio. Prima dice di essere stato messo alla prova, poi di essere stato visitato, ma la prova indica la passione, la visita, invece, la resurrezione. Li era stato messo alla prova, dove mostrò i segni di una pazienza ammirevole (trovandosi) tra le iniquità dei giudei e tra rischi mortali. Fu visitato, poi, di notte, quando la sua anima non venne abbandonata agli inferi, ma giunse alla stupenda resurrezione, nella luminosità della gloria eterna. Mi hai esaminato col fuoco e non è stata trovata in me alcuna colpa. È presentata la metafora della fornace di fuoco ardente, che suole purificare i metalli dalle scorie e consumarle al fuoco e rifare le cose purificate secondo la loro purezza naturale. Allo stesso modo il Signore Cristo è stato esaminato con sofferenze di fuoco; ma in lui non si è trovata alcuna colpa, che dovesse essere consumata da quel calore. Rettamente poi aggiunse: sebbene non parli la mia bocca, cioè, nonostante il mio silenzio, mi riconoscerai puro. Che necessità c'era che Egli desse una garanzia della onestà dei suoi costumi, mentre è certo che tutto sia conosciuto dalla grandezza del Padre? L'ignoranza umana deve ricevere un'istruzione a parole, ma la divinità conosce tutto oltre ogni dubbio, quand'anche fossero taciute le colpe commesse.

Le opere degli uomini: a motivo delle parole delle tue labbra, ho custodito le vie aspre. Il versetto esige un riordino: le opere degli uomini, corrispondono alle vie aspre che ho custodito a motivo delle parole delle tue labbra. Sono riassunte brevemente quale siano le opere degli uomini oppure le vie aspre; come afferma il beato Giobbe: l'uccello nasce per il volo,e l'uomo per la fatica (Gb 5,7). Evitare il peccato, è percorrere un cammino arduo; è difficile, proseguire nella salita; al contrario lasciarsi andare al vizio, è un (cammino) lieve e digradante. Cristo Signore, però, vivendo visibilmente in questo mondo, manifestò le caratteristiche di una mansuetudine e di una purezza perfette; a ragione, allora, dice di aver percorso le vie aspre degli uomini con piedi immacolati, a motivo dei comandamenti del Signore. Non perché a lui apparissero aspre, - di Lui è scritto nel salmo novantesimo: ha comandato ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie, perché non inciampi il tuo piede contro una pietra (Sal 90, 11-12) - ma perché il genere umano, nell'imitarlo, le avverte difficili, per questo sono chiamate vie aspre. Questo versetto presenta la figura della parentesi [parenthesis], cioè dell'interposizione; poiché nel suo significato normale, come è stato detto, consta di parole che possono dividere l'ordine della frase.

5. Guida i miei passi nelle tue vie affinché non si discostino le mie orme. Guida, ha detto, custodisci sino al termine, là dove si trova la piena perfezione dei meriti e dei premi. Mentre attraversiamo questo mondo con un comportamento accettevole, ci troviamo solo all’inizio; ma giungeremo al traguardo, giungeremo al compimento in totale integrità, là dove ci avrà condotto, alla fine, la costanza devota; come dice il vangelo: Chi avrà perseverato sino alla fine, questi si salverà (Mt 10, 22). I passi, allude alle azioni umane, con le quali avanziamo in questo mondo e camminiamo come se (muovessimo) dei passi. Nei sentieri, cioè nei tuoi comandamenti: qui le vie sono veramente dritte, e se le seguiremo con fede, giungeremo ai doni della patria celeste.

Perché, poi, prima ha parlato di passi e subito dopo ha parlato anche di orme? Chiamiamo passi [i movimenti] coi quali ci spostiamo da un posto all'altro. Ad essi sono paragonate le azioni umane, che ci portano da un affare all'altro, e per tutto il corso della nostra vita traghettano [opere] di qualità differente. Sono chiamate orme le tracce delle piante [dei piedi], che lasciamo nell’incedere. Il Signore Cristo chiede che i suoi passi, cioè le sue azioni umane e le sue orme, siano custoditi; in esse scorgiamo gli apostoli fedeli, nei quali, dopo la sua ascensione gloriosa, ha lasciato i contrassegni della religione cattolica. Il significato è questo: custodiscimi nei tuoi precetti, affinché, imitando me, non si allontanino affatto da te. Un discepolo avanza in maniera retta, quando avrà seguito in maniera precisa le tracce lasciategli da chi gli ha offerto l'esempio.

6. Ho gridato perché mi hai esaudito, o Dio: tendi l'orecchio e ascolta le mie parole. Inizia la seconda parte di questa santa preghiera. Dobbiamo esaminare [questa frase] perché di solito dice mi hai esaudito perché ho gridato. Perché questa frase - come sembra- ha cambiato l'ordine (normale)? Chi grida perché è stato esaudito, sotto ogni riguardo è riconosciuto puro, innocente e immacolato. Ha pregato con confidenza, poiché ha presupposto che potesse essere ascoltato per la purezza della coscienza. Comprendiamo ciò che dice: tendi l'orecchio, poiché la debolezza umana non può da sola giungere fino a lui. Esaudisce, quando avrà usa indulgenza per la sua bontà, ed offre in precedenza [i doni ] della sua generosità, per poter accogliere i desideri degli oranti.

7.8. Rendi mirabili le tue misericordie, tu che salvi quanti sperano in te, da quelli che resistono alla tua destra. Chiede che si attuino in se giustamente la grandezza e l'eccellenza delle [gesta] di misericordia, perché non avrebbe potuto essere oggetto di ammirazione, se non fosse stato scorto come [portatore] di una novità. Parla delle meraviglie che avrebbe compiuto nella carne, ammirate con stupore dal popolo dei giudei, anche se non credettero tutti.

Salvi coloro che sperano in te, cioè quelli che porti alla vita eterna. Infatti coloro che hanno creduto nel suo nome, spesso e con maggiore frequenza, sono stati uccisi. Dice bene: da coloro che resistono alla tua destra. La destra del Padre è il Figlio, e a Lui i giudei hanno osato opporsi quando stabilirono di ucciderlo.

Custodiscimi come pupilla degli occhi, proteggimi sotto l'ombra delle tue ali. Per mezzo della figura della icone, che in latino è detta immaginazione, il Signore si è paragonato alla pupilla dell'occhio. La pupilla è la parte principale dell'occhio posta in mezzo (ad esso), grazie alla quale scorgiamo i colori degli oggetti nella loro varia qualità; è detta pupilla a motivo della sua piccolezza, come a dire piccolina (pusilla). A questa giustamente è paragonato Cristo, al quale è stato dato [il compito] di separare nel suo giudizio i giusti dai peccatori.

In modo molto appropriato chiede di essere custodito come la pupilla dell'occhio, [ed avviene] quando, per suo mezzo, scorgiamo le cose visibili e nel nostro corpo non troviamo niente di eminente.

Segue: proteggimi all'ombra delle tue ali. Qui appare un'altra figura che in greco è detta parabola e in latino comparazione, [e si usa] quando un genere di per sé dissimile viene unito in una certa comunione. Le ali sono paragonate alla protezione paterna. La misericordia e l'amore, sono come le ali del Padre, con le quali chiede di essere protetto in modo opportuno. Questo paragone deriva dagli uccelli, i quali custodiscono i loro cari figli sotto l'estensione delle ali.

9. [Proteggimi] dal volto degli empi che mi afflissero; i miei nemici circondarono la mia anima. Questo versetto è del tutto comprensibile ai più diligenti. Dal volto degli empi, significano i demoni, i quali spinsero il popolo giudeo, dopo averlo eccitato, a uccidere il Signore con un decisione precipitosa. Il loro volto fu un'apparizione minacciosa; come il vangelo dice di Giuda: Satana entrò in lui (Gv 13, 27). Così infatti avvenne: i suoi nemici, i giudei, per istigazione dei demoni vollero togliere via la sua anima, cioè la sua vita temporale. Anche lo stesso termine circondarono, rinvia alla verità del racconto evangelico, quando una turba di insipienti lo circondò con spade e bastoni.

10. Si riempirono di grasso; la loro bocca ha parlato superbia. Si riempiono di grasso, coloro che si dilatano per la loro grande voracità; così i giudei, impinguati per la grande quantità dei delitti, perdettero l'acume della vera comprensione. Restava solo che coloro che si erano gonfiati per un grande accumulo di grasso, si mettessero a parlare con arroganza. Bene ha detto qui che essi hanno parlato con la bocca e non con il cuore: è un'abitudine degli scellerati difendere con insistenza a parole quelle cose sanno condannare per la testimonianza della coscienza.

11. Dopo avermi espulso, ora mi circondarono: hanno ordinato ai loro occhi di fissarsi a terra. Dopo avermi espulso, allontanandomi via dalla città, ora mi circondarono, non per un omaggio ma con furore, quando venne confitto alla croce. Ora, ciò che è detto, pose il tempo al presente al posto del futuro, uno (stile) che, come è conosciuto, è usato dai profeti. Segue: ordinarono ai loro occhi di fissarsi a terra. Parla dell'usanza dei perduti, i quali guardano verso terra, quando s'affissano in un cattivo pensiero.

12. Mi presero come un leone pronto alla preda e come cucciolo di leone dimorante nei nascondigli. Mi presero, questo (ottennero) i giudei da Pilato, quando disse loro: prendetelo e crocifiggetelo secondo la vostra legge (Gv 19, 6-7); dal momento che lo afferrarono avidamente e realizzarono il desiderio della loro crudeltà, si possono paragonare alla crudeltà delle fiere. Abbiamo detto che il diavolo viene considerato un leone ma che spesso anche Cristo viene paragonato a lui. Quest'uso è da considerare un modo di parlare tipico della divina Scrittura. Tuttavia in questo caso designa con evidenza il diavolo. I capi dei giusti giustamente sono paragonati a lui perché, dietro sua istigazione, si infuriarono ma divennero molto peggiori di lui, se si considera che il diavolo si limitò a tentare il Signore, mentre la loro insipienza lo confisse alla croce. Cucciolo di leone è riferito al resto del popolo giudaico, che diventarono figli del diavolo. Così infatti nel Vangelo si dice di loro: voi provenite dal padre vostro, il diavolo (Gv 8, 44). Dimorante nei nascondigli: rimane pronto ad insidiare. Gli uomini detestabili usano nascondere i cattivi desideri, per poter raggiungere i loro scopi segretamente.

13. Sorgi, Signore, previenili, sovvertili, libera dall'empio l'anima mia, [che è] la tua arma. Si entra nella terza parte di questa santa preghiera. Sorgi contro i peccatori, dice; essi credono che tu, alla maniera umana, ti metta a riposo, vedano che tu vigili tanto da non permettere che le iniquità aumentino. Previenili, affinché siano rovesciati prima che portino a compimento il peccato. Abbiamo spiegato sopra che questo significato si adatta bene per i peccatori, dal momento che si impedisce che si uniscano con le opere illecite. Saranno rovesciati anch'essi felicemente, coloro che, dai vizi della depravazione, saranno ricondotti sulla retta via. Libera la mia anima dall'empio, cioè dal diavolo, che giustamente viene chiamato empio, perché si dimostra che è sempre contrario ai fedeli. Libera: fammi risorgere, e questo si sa che è accaduto.

La tua arma. In breve spiega che cosa sia l'anima del Signore Salvatore; l'arma è del Padre, quando per mezzo di essa vinse il diavolo, per mezzo di essa purgò il mondo dalla sordida superstizione; per mezzo di essa è stata sciolta la prigionia che teneva schiava la progenie del genere umano. Abbiamo detto che [il termine] detiene molteplici significati: asta, corazza, spada a doppio taglio; in ogni caso è certo che essa appartiene agli armamenti. Ricorda che in questo versetto si trova il quinto tipo di definizione, che in greco è detto katà tèn léxin, in latino secondo una parola; in una parola ha definito che cosa sia l'anima di Cristo, cioè l'arma del Padre.

14. Dai nemici [preserva] le tue mani. Signore, separali dai pochi, dalla terra, e trapiantali nella loro vita. Nello stesso modo si formula una preghiera per i giudei, che caduti sotto il potere del diavolo, osavano compiere dei crimini. I nemici della mano di Dio sono i demoni i quali sempre tormentano il genere umano opponendosi alla volontà di Dio. Chiede che gli increduli siano separati dai pochi, ossia dagli apostoli; e che costoro lasciando i vizi terreni di questo mondo, si convertano al Signore. Hanno ottenuto proprio questo, con l'aiuto di Dio, mediante la predicazione: sia gli israeliti, sia i pagani, abbandonando l'iniquità della terra, hanno seguito il Cristo, loro capo. Trapiantali, qui si intende nel bene; sono stati trapiantati e devono essere accolti coloro che, avendo condannato i loro errori, sono stati avviati nei sentieri retti. Nella loro vita, ha aggiunto, cioè in questo mondo, mentre vivono, dove c'è spazio per la conversione; ove si grida al Signore, non soltanto con la bocca ma con la mente; dove sono accolti coloro che invocano con grande purezza.

Dei tuoi segreti si è riempito il loro ventre; si sono saziati di cibi suini e lasciarono il superfluo ai loro bambini. I segreti di Dio, [il termine] lo possiamo intendere in senso positivo e negativo, perché ogni peccato è abominevole davanti a lui ed è estraneo alla sua vista, tanto più che, come sembra, ne metta in fuga per lo meno la sua conoscenza, come è detto nel salmo quinto: non abiterà presso di te il malvagio, non staranno i iniqui alla tua presenza (Sal 5, 6). Anche di Caino la Scrittura afferma: uscito Caino dal cospetto del Signore, abitò profugo sulla terra (Gen 4, 16). Dice che i giudei si sono riempiti di cose immonde, quelle che sono nascoste a Dio, cioè che sanno sono proibite. Se si deve interpretare in senso positivo riferiamoci a dei passi, simili a questo: quanto è grande la moltitudine della tua dolcezza, Signore, che hai nascosto a favore di quelli che ti temono e porti a compimento per coloro che sperano in te (Sal 30, 20).

Vengono enumerati i doni, per mostrare con più evidenza la grettezza di coloro che non ringraziano. Dai tuoi segreti, cioè dalla legge del vecchio testamento e dai miracoli che Cristo Signore avrebbe compiuto tra loro con un progetto glorioso. Il loro ventre, significa una comprensione del tutto carnale nella quale i comandamenti del Signore sono nascosti come in un ventre. Bene ha paragonato il loro intendimento ad un ventre, perché hanno estromesso i cibi spirituali come fossero volgare lordura, quando venivano dispersi dalla loro mente corrotta. Mentre costoro venivano riempiti di alimenti celesti, affinché non assumessero nessun cibo carnale, presta attenzione a ciò che viene detto ora: si sono saziati di cibi suini. Quale iniquità degna di esecrazione! Col loro senso ascoltavano i precetti di Dio, e si riempivano dell'immondezza dei peccatori, nutriti di nuovo di beni celesti, espellevano escrementi di malvagità. I cibi suini fanno parte delle realtà immonde, dal momento che compaiono tra gli altri precetti sulle cose immonde dell'antico Testamento. Trasmisero anche ai figli il rimanente dei loro peccati quando dissero: il suo sangue su di noi e sopra i nostri figli (Mt 27, 25).

15. Dichiara di apparire al cospetto del Padre con giustizia poiché aveva compiuto la sua volontà quando, con l'effusione del suo sangue, salvò il mondo dalla morte. Mi sazierò: questa parola è ripetuto in modo molto conveniente. Prima aveva detto che i giudei si saziano di cibi suini, cioè della loro immondezza: ora (dice) di saziarsi della fede ricevuta dal genere umano, quando il numero dei santi è completato nel raduno beato. La gloria del Padre sarà manifestata nel giudizio del Signore Salvatore, quando ognuno riceverà (il contraccambio) delle loro azioni, come lo stesso Signore annuncia ai suoi apostoli: in quel giorno conoscerete che io sono nel Padre e il Padre è in me (Gv 14, 10.20). Così una sola è la natura, una la potenza, una la gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Conclusione del salmo

Vediamo, dilettissimi, quali grandi sacramenti della nostra fede questo salmo abbia abbracciato, affinché chiunque ascolta quest'uomo orante, anch'egli deve riconoscere e confessare il proprio Creatore. Colui che anche oggi vuole credere che in Cristo sono due nature senza confusione e senza mutamento, non può essere ingannato dalla falsità. Da qui il beato Cirillo dichiara in un passo in modo sintetico: Riconoscendo dunque la modalità dell'incarnazione, vediamo che due nature convengono insieme in un'unità individuale in maniera inconfusa ed immutabile. La carne, infatti è carne e non divinità, sebbene (la natura) di Dio si sia fatta carne. In modo simile il Verbo è Dio, e non carne, sebbene per un progetto provvidenziale assunse la carne. Queste cose vengono percorse senza alcun danno, da chi non avrà escogitato alcuna conferma ai propri errori.

Il gruppo dei profeti ha ornato anche il numero di questo salmo, affinché meritatamente fosse annunciata in questo numero l'incarnazione del Signore, poiché è il numero da cui è composto il corpo dei profeti.

Salmo 17

1. Per la fine, al bambino del Signore Davide, il quale parlò al Signore con le parole di questo cantico, nel giorno in cui lo liberò il Signore dalla mano di tutti i suoi nemici e dalla mano di Saul e disse. Per la fine, al bambino, e Davide: che questi tre termini debbano essere riferiti al nostro Re il Salvatore, non c’è alcun dubbio. Infatti a proposito del bambino si legge nel profeta: un bambino è nato per noi. Colui che parlò al Signore con le parole di questo cantico (Is 9, 6); oltre questi riscontri, si possono produrre altri passi, e così il richiamo ad altri testi sarebbe completo e decisivo.

L’espressione usata, cantico, vuole alludere alla contemplazione delle realtà celesti, per impedire che l’intuizione della nostra mente si fermi esclusivamente sulle vicende del re Davide. Nel giorno in cui lo liberò il Signore dalla mano di tutti i suoi nemici e dalla mano di Saul e disse. Questo fatto è molto conosciuto dalla lettura [del libro] dei re; lì infatti si trova descritto ampiamente il quale modo Davide venne liberato dalla cattura dei suoi nemici. La resurrezione del Signore e la liberazione dal potere del diavolo vengono rese manifeste grazie alla somiglianza con questo fatto.

Divisione del salmo

Questo salmo non può essere attribuito soltanto ad una sola persona. Nella prima parte, infatti, il profeta parla e rende grazie perché la divina pietà si è degnata di liberarlo dai pericoli più gravi. Nella seconda parte, parla la Chiesa, la quale, prima della venuta del Signore, affrontò innumerevoli difficoltà; in seguito Egli ebbe pietà di lei, le offrì per misericordia la medicina della santa incarnazione e col dono del battesimo radunò il popolo cristiano da ogni parte del mondo. Nella terza parte la voce del Signore Salvatore cade come rugiada di misericordia, e in questo caso la sua potenza e forza vengono descritte con bellissimi richiami. Nella quarta parte di nuovo sono ripetute le parole della Chiesa cattolica e con grande gioia vengono lodati i doni concessi della divinità.

Spiegazione del salmo

2. Ti amerò, Signore, mia forza. Ama il Signore chi obbedisce con devozione ai suoi comandi, come dice nel vangelo: chi ascolta le mie parole e le mette in pratica, questi è colui che mi ama (Gv 14, 21). Amo infatti: lo dico come se scegliessi fra tanti. Osserva che questo amore viene promesso nel futuro con tanta [forza], da non venire mai meno, come viene attestato.

Mia forza. Il profeta, liberato dai propri nemici attesta con verità che il Signore è la sua forza; grazie al suo aiuto, è accaduto che egli sia risultato più forte dei suoi nemici.

Qui troviamo la dodicesima specie di definizione, chiamata in greco kat’epainon, in latino per la lode. Effondendo il suo annuncio in termini specifici e diversificati, [il salmista] dichiara chi sia il Signore, ora potenza, ora sicurezza, ora rifugio, ora liberatore, ora soccorso, ora protettore, ora corno di salvezza. Tutte queste qualità manifestano in maniera precisa chi sia il suo Signore.

3. Il Signore è mia fortezza, mio rifugio e mio liberatore, il mio Dio è il mio soccorso. Giustamente chiama il Signore sua fortezza poiché da lui gli è stato concesso di resistere con fermezza ai suoi nemici nel corso della lotta e di combatterli con coraggio ardimentoso. Mio rifugio. Quando poteva assecondare il suggerimento [di uccidere Saul], si astenne dall’azione e trovò, per rivelazione della divinità, ciò che poteva aiutarlo. Giustamente confessa che Dio è il suo liberatore poiché lo rese libero dal crudele re Saul come dalla bocca degli inferi. Dio mio, mio aiuto. Sedotto dalla dolcezza dei doni, ripete elevando al massimo le lodi pronunciate in precedenza: poiché ovunque venne a trovarsi, lo custodì con la protezione della sua forza. Osserva che egli ripercorre i singoli eventi, senza presumere di attribuire ai propri meriti [i benefici] di cui ha parlato.

Spererò in lui mio protettore, corno della mia salvezza, mio aiuto. Chi, per aver [già] verificato il suo agire salvifico, può sperare nella grazia del Signore, chiede ormai con fiducia. Infatti è l’uomo che, nelle vicende passate, lo aveva sperimentato come soccorritore, a dichiarare di avere speranza nel futuro. Mio Protettore. Questo ha riferimento con la protezione esercitata nei confronti, di colui che era esposto alle trame degli avversari. Anche la dichiarazione fatta in questo contesto, che Dio è il suo corno di salvezza, si riferisce alla dispersione dei nemici. Le corna sono armi degli animali con le quali difendono la propria incolumità grazie ad una pronta reazione. Mio aiuto. La soavità del dono ricevuto ha dato luogo alla reiterazione dei termini; [già] in precedenza infatti aveva denominato con lo stesso termine colui che ora per due volte riconosce come aiuto.

4. Lodandolo invocherò il Signore e sarò salvato dai miei nemici. Dopo aver sperimentato queste gesta, l’uomo santo non si innalzò per superbia, ma poiché voleva godere per la letizia procuratagli dalle vicende [trascorse], si propose di invocare il Signore con un sentimento di lode e attribuire ogni merito a Colui, che aveva voluto donargli ogni cosa. Perciò chiede di essere salvato dai nemici, poiché non si era attribuito a sé la vittoria, ma a Dio. L’uomo che si comporta all’opposto, si consegna come prigioniero ai propri vizi, sebbene sembri aver vinto gli avversari.

5. Lamenti di morte mi circondarono e torrenti d’iniquità mi avvolsero. Dopo aver esposto l’esultanza del profeta, espressa con santa devozione, giunge alla seconda parte e qui, in relazione alla rovina dell’umanità, che era assai rilevante prima della venuta del Signore, introduce [a parlare] una persona a nome dei giusti, che indubbiamente c’erano a quel tempo, perché invochi come devoto intercessore. Questo giusto a ragione asseriva di essere circondato da [espressioni] di pianto, perché mentre perdurava una sconfinata moltitudine di superstizioni, scarseggiava la devozione dei fedeli. Affinché tu non pensassi che il pianto provenisse dalla perdita dei beni o da cose simili, ha precisato di morte, poiché davvero dominava la morte, dove imperava il dominio del diavolo. I torrenti, come abbiamo detto spesso, sono i corsi d’acqua gonfiati dalle piogge invernali. Qui l’immagine dei fiumi richiama la violenta rapidità delle iniquità, per infondere timore nel popolo ansioso nel vedere che essi cominciavano a spumeggiare per l’ammassarsi di flutti minacciosi.

6. Dolori da inferno mi prevennero; mi vennero tesi lacci di morte. Facciamo in questo versetto un’inversione disorganica delle parole, affinché possiamo coglierne meglio il significato. Mi prevennero dolori da inferno: lo dice dei pagani, che erano dei dolori infernali in persona, cioè che erano destinati ad essere torturati nell’inferno con una sofferenza adeguata. Siamo prevenuti quando verifichiamo che qualcosa ci ha anticipato, come è il caso della colpa del peccato originale il quale, prima ancora della nostra nascita, ci rende peccatori per il fatto stesso che siamo stati concepiti, e per questo nel salmo cinquanta il profeta dirà: Ecco sono stato concepito nell’iniquità e nel peccato mi ha partorito mia madre (Sal 50, 7). Questo uomo giusto in modo corretto ammetteva di essere stato anticipato, poiché aveva rilevato che il suo peccato lo aveva prevenuto. In che modo poi sia stato liberato da esso, lo espone subito dopo.

7. Nella mia tribolazione ho invocato il Signore e al mio Dio ho gridato. Per tutti i mali che aveva segnalato, attesta che uno solo e particolare è il rimedio: invocare il Signore nelle proprie tribolazioni, come avviene quando si invoca con tutte le forze, poiché lo richiede un periodo di necessità. Osserva come prima abbia detto il Signore, ma perchè non pensassi che si riferisse ad un dio straniero, ha aggiunto: al mio Dio ho gridato. Gridare è più che invocare. Cresceva l’intensità della parola, mentre aumentava il desiderio e così l’animo infervorato traboccò nella preghiera, [trasformando] in un grido la sua brama.

Ha esaudito dal suo tempio la mia voce e il mio clamore fu ammesso al suo cospetto, alle sue orecchie. Interpretiamo in modo corretto il tempio sia [se lo consideriamo] il cielo o il corpo, con cui sarebbe venuto, come profetizzava. Dice che la sua voce è stata esaudita, in riferimento a quella che offriva sempre in relazione alla sua venuta. Tuttavia dobbiamo esaminare per quale motivo il suo grido abbia meritato di essere ammesso alla presenza di Dio. Questo grido è una richiesta di giustizia, ed esso chiaramente poteva avvicinarsi a Dio perchè intercedeva a motivo della rovina [in cui versava] il mondo.

Segue giunse alle sue orecchie. Questo viene detto in modo allegorico, secondo la nostra consuetudine, come se il suo grido giungesse alle orecchie di Dio come fosse una realtà fisica, mentre egli avverte tutto spiritualmente e e conosce ogni evento in anticipo prima che accada. Egli riconosce l’essenza delle nostre azioni, come se vedesse delle persone; quello che per noi rimane occulto, egli lo conosce come realtà manifesta.

8. La terra fu smossa e tremò; furono scosse le fondamenta del mondo, poiché Dio si era adirato con esse. Svanita la tristezza [dell’attesa], che incombeva sul popolo beato in relazione alla venuta del Signore, si mise ad esporre i misteri della sua incarnazione, con spirito profetico e descrive il suo svolgimento in un racconto stupendo. Questo schema è chiamato idea, [e si attua] quando ad un’immagine del futuro, come se venisse offerta alla vita, risvegliamo il movimento dell’animo; ed è quanto ora e nei versetti successivi sta accadendo, come si osserva. E perciò ora ascoltiamo i misteri del Signore Salvatore. Era giusto che alla venuta del Cristo la terra si scuotesse, poiché era conveniente che la presenza del giudice provocasse sgomento ai peccatori. Ha mantenuto poi l’ordine dell’avvenimento, visto che prima l’ha presentata come scossa e poi come sconvolta. Fondamenta dei monti sono i pretesti di presunzione [alimentati] dai superbi, cioè le ricchezze, gli onori, e tutte le altre cose umane, nei quali tenuti prigionieri, si appoggiano come su fondamenta sicure. Tutte queste realtà sono state sconvolte poiché ogni falsa speranza del mondo, alla venuta del vero Signore, è stata dissolta. In modo assai appropriato le parole sono state poste in modo ordinato: dapprima le fondamenta, ossia è stata rovesciata la speranza degli orgogliosi; poi ha detto che sono state sconvolte. Chiarisce in seguito il motivo per cui le fondamenta sono state scosse, poiché il Signore si è adirato con esse. Questa fa capire chiaramente che i loro seguaci subiranno una punizione.

9. Salì il fumo davanti alla sua ira e un fuoco s’accese davanti al suo volto, carboni ardenti davanti a lui. Il fumo qui viene usato in senso positivo. Se quello terreno provoca delle lacrime inutili, questo, alimentato dal calore della penitenza, fa scaturire lacrime fruttuose e abbondanti. Nella sua ira: è il tempo nel qual i peccatori si sentono turbati per il timore del giudizio futuro, in modo da essere ricondotti alla medicina della conversione. Il fuoco è l’amore di Dio, che cresce col progresso nella virtù; quanto queste vengono desiderate, tanto più quello aumenta efficacemente. Ha detto con proprietà davanti al suo volto, poiché grazie alla sua illuminazione viene donata la carità a coloro che smettono di peccare. Chiama i peccatori carboni ardenti, perché sono avvolti nella tenebra della cecità di questo mondo, come carboni morti, ma di nuovo tornano in vita al soffio ravvivante della penitenza e mentre prima erano come dei pruni senza vita cominciano ad essere carboni vivi. Viene esposto anche il motivo per il quale si riaccendono, grazie alla venuta del Signore Redentore.

10. Piegò i cieli e discese, una caligine sotto i suoi piedi. Un grande mistero è posto in questo passo. Il Verbo si è umiliato, poiché pur essendo senza peccato, assunse tuttavia la somiglianza della carne di peccato. Dovette discendere, per venire da noi, come attesta l’apostolo: annientò se stesso, prendendo la forma di servo (Fil 2, 7). La caligine è il diavolo che obnubila le menti degli uomini, così da non mostrare a coloro che sono in suo potere lo splendore della verità. Sotto i suoi piedi: la esecrabile nequizia viene calpestata senza orma di dubbio dalla potenza del Signore Salvatore; è quanto verrà esposto nel salmo novanta: camminerai sull’aspide e la vipera, calpesterai il leone e il drago (Sal 90, 13).

11. Salì sopra i cherubini e volò, volò sulle ali del vento. Questa figura si chiama hipertesis, cioè superlativo e [si verifica] quando ci sforziamo di dilatare con il nostro discorso una certa cosa conosciuta da tutti nella loro opinione. Qualcosa di simile lo troviamo nel salmo cinquanta: mi laverai e sarò più bianco della neve (50, 9). I Cherubini significano una grande scienza o una scienza moltiplicata. Altrove infatti si legge: Tu che siedi sui Cherubini, rifulgi (Sal 79, 2). Ascese infatti sui Cherubini, quando salì al regno celeste sotto lo sguardo degli apostoli. Siede anche adesso sui Cherubini, collocato alla destra del Padre, regna col Padre e lo Spirito Santo in cielo e in terra, poiché trascende questi due universi per quanto riguarda la possibilità di conoscerlo e di ammirarlo. Quale creatura infatti sarà in grado di toccare in modo adeguato il segreto di un mistero così grande, il fatto che abbia posto la carne terrena e mortale nella gloria eterna dei cieli e l’abbia resa oggetto di adorazione a tutte le creature, propria essa che aveva sopportato i dolori della terra?

Segue: volò e volò sulle penne dei venti. La ripetizione, in modo efficace, da un’idea della grande velocità. Percorse velocemente gli spazi del mondo quando avvenne che lo splendore di una stella lo rese assai noto, mentre egli giaceva in una culla. Chi infatti può essere considerato più veloce di colui che, appena nato, venne contemplato in un’altra parte del mondo? Allora infatti venne superata la rapidità dei venti, sebbene nel mondo non ci sia altra cosa più celere di essi. Ripete, poi, senza l’interposizione di un altro verbo, volò e volò. è la figura dell’epizeuxis, detta in latino congiunzione, come apparirà in queste espressioni: il giorno al giorno trasmette il messaggio (Sal 18, 3), e Dio, Dio mio (sal 21, 2, 42, 4).

12. Pose le tenebre come suo nascondiglio, attorno a lui la sua tenda, acqua tenebrosa nelle nubi dell’aria. Denomina tenebre il mistero della sua incarnazione: Colui che non poteva essere contemplato nella natura della sua divinità, è apparso come Redentore misericordioso sotto il velo della carne agli sguardi degli uomini. Per questo motivo il beato Giovanni, vescovo di Costantinopoli, da dichiaro in modo meraviglioso e conforme alla dottrina universale: il grembo intatto di una vergine ha portato Colui che, se fosse venuto nella piena divinità, nessuna creatura avrebbe potuto sostenerlo, né il cielo, né la terra, né il mare (Contra Nestorium, VII, 30, 1 CSEL 17, p. 388, 16-19).

Ricorda che le tenebre possono avere un significato positivo, come appare nei proverbi di Salomone: Comprendete la parola e il discorso oscuro (Pr 1, 6). Tutte le cose divine che ignoriamo per noi sono avvolte nella tenebra, cioè sono oscure e profonde, sebbene possiamo goderne in una luce incessante. Il suo nascondiglio, è il segreto della sua maestà che rivelerà ai giusti, quando concederà a loro di contemplare la gloria della sua divinità a faccia a faccia. Attorno a lui la sua tenda. Qui parla della dignità gloriosa dei beati: abiteranno vicino a lui coloro che avranno perseverato fedelmente nella sua Chiesa. Attorno a lui significa vicinanza. Egli infatti abbraccia ogni realtà e penetra in essa, e non viene circondato da nessun altro essere, poiché non può essere circoscritto nella spazio. Attorno a lui può essere interpretato non come una designazione di un luogo, ma come ciò che ha relazione con la difesa e la custodia della tenda. Denomina acqua la parola del Signore che è avvolta nella tenebra nelle nubi dell’aria, ossia nei profeti annunciatori della parola. Sebbene qualcuno creda di comprendere le loro affermazioni, a stento si può giungere allo stesso contenuto dei detti, nella sua totalità. Lo dice anche l’apostolo: ora vediamo in un’immagine, come attraverso uno specchio, allora a faccia a faccia (1 Cor 13, 12); allora si vedrà ciò che adesso si vede, si sperimenterà ciò che si spera.

13. Passarono al suo cospetto nubi sfavillanti, grandine e carboni di fuoco. Non è facile trattare in breve questo versetto. Sfavillanti è una parte della proposizione ed è un nominativo plurale, concordato con nubi. Le nubi, come ho precisato poco fa, stanno a significare i predicatori della parola divina. Il senso è questo: quel tipo di nubi che contengono l’acqua di Dio, cioè le parole divine, [appaiono] tenebrose in questa [nostra] atmosfera, ossia sembrano oscure, ma alla presenza di Dio, dove la verità è sempre manifesta, sono sfavillanti. Non si può svolgere con i discorsi né coprire con parabole, ciò che viene esposto in una luce del tutto chiara. Queste nubi, cioè i messaggeri, dopo aver abbandonato il popolo d’Israele, si trasferirono presso le genti, come si constata che è avvenuto, poiché i giudei per la loro durezza non meritavano che giungessero presso di loro per ricevere l’istruzione. Grandine e carboni di fuoco. Rivela in modo allegorico ciò che possiedono quelle nubi; una cosa vuol dire e un’altra intende far capire. Le parole divine si manifestano piene zeppe di figure dense. La grandine rappresenta i rimproveri, espressi in immagine, con i quali venivano ribattuti i cuori durissimi dei giudei. I carboni di fuoco significano gli incendi d’amore grazie ai quali le menti dei fedeli si ravvivano col fuoco celeste. Questi, come abbiamo detto, si trasferirono presso le genti, sulle nubi, cioè nei predicatori.

14. Il Signore tuonò dal cielo, e l’Altissimo emise una voce. Senza dubbio sta per rivelare misteri grandi. Dichiara infatti nel vangelo la voce del Padre onnipotente: l’ho glorificato e ancora lo glorificherò (Gv 12, 28). Per questo molti, come si legge, lo scambiarono per un tuono. L’Altissimo fece udire la sua voce, quando dichiarò: Questi è il Figlio mio diletto nel quale mi sono compiaciuto (Mt 3, 17).

15. Mandò le sue frecce e li disperse; moltiplicò le sue folgori e li travolse. Chiama frecce gli evangelisti i quali con le ali delle virtù, non con le loro ma con quelle di Colui da cui furono inviati, hanno trasvolato i sentieri della rettitudine. Li disperse, cioè quelli ai quali erano stati inviati, accogliendo i credenti e respingendo gli empi, come dice l’apostolo: per alcuni siamo odore di vita per la vita, per altri odore di morte per la morte (2 Cor 2, 16). Moltiplicò le sue folgori, cioè compì molti miracoli, i quali toccarono così tanto coloro che li vedevano, al quel modo con cui i fulmini sogliono atterrire gli sguardi, quando cadono di frequenza. Li travolse: lo dice in riferimento agli uomini che allora rimasero sconvolti, quando osservarono con prove manifeste che egli era stato risuscitato.

16. Apparvero le sorgenti delle acque, e si videro i fondamenti del cerchio terrestre. In altre parole [apparve] la verità degli evangelizzatori i quali effondevano dalla bocca della sua santità le fonti della vita eterna. Con la sua venuta rese manifesto, ciò che era rimasto nascosto nella parola divina. Si videro i fondamenti dell’orbe terrestre: si sono manifestati i profeti, che non erano stati riconosciuti, sopra i quali il cerchio del mondo è costruito come santa costruzione nella forma di Chiesa.

Per il tuo rimprovero, Signore; per l’emissione dello spirito della tua ira. Il tuo rimprovero, indica le parole dei profeti che ammonivano i popoli peccatori con rimproveri opportuni; l’emissione dello spirito della tua ira, allude gli annunciatori della parola, che, infiammati dallo Spirito Santo, rimproverano i popoli che peccavano. Mediante queste parabole e le affermazioni luminose pronunziate fino ad ora in spirito profetico, annunciò la venuta del Signore alle moltitudini dei fedeli, che compongono la santa Chiesa.

17. Mandò dall’alto e mi prese: mi sollevò dalla moltitudine delle acque. Ora la Madre Chiesa parla del tempi [in cui ci sarebbero stati i] cristiani. Il Padre mandò dall’alto il Signore Salvatore, per far comprendere agli uomini che chi viene dall’alto, si gloria di un potere divino. In modo davvero appropriato disse la Chiesa, mi prese, lei che gode di essere unita allo Sposo Cristo. La moltitudine delle acque possono rappresentare le genti innumerevoli, i fedeli di cui la Chiesa appare essere formata, una volta che vennero messi da parte i giudei infedeli. Ciò appare anche negli Atti degli apostoli: il beatissimo Paolo scosse le sue vesti e disse ai giudei che lo contrastavano e che bestemmiavano: ricada il vostro sangue sul vostro capo; io sono puro e mi rivolgerò ai pagani (At 18, 6). Oppure questo deve essere riferito alle fonti sacre, quando la Chiesa cattolica conquista una moltitudine di figli con la rigenerazione battesimale.

18. Mi liberò dai miei nemici fortissimi e da quelli che mi odiarono, poiché si erano rinforzati sopra di me. Nei nemici fortissimi preannuncia i crudeli persecutori che affliggono il popolo cristiano con tormenti e uccisioni; perciò [la Chiesa] dice ancora di più di essere stata liberata, poiché i nemici si erano rinforzati su di essa. Allora la Chiesa meritò di crescere quando il nemico l’afflisse per la potestà che gli era stata data su di essa. Quanto è vera la divina provvidenza: il nemico viene distrutto dai suoi stessi tentativi e quando crede di danneggiare con più efficacia tanto più si trova costretto ad insistere nella crudelissima opposizione.

19. Mi prevennero nel giorno della mia afflizione e il Signore è divenuto mio protettore. Questo versetto parla del tempo in cui i falsi apostoli cercavano di prevenire i veri annunciatori, nell’intento di pervertire i cuori dei semplici. Segue: nel giorno della mia afflizione, quando accadevano i fatti di martirio dei cristiani. Dio divenne il mio protettore. Perciò Dio è protettore poiché l’uomo si pone come oppositore. Tuttavia questi due fatti accaddero insieme ma in una enorme distanza tra essi, l’opposizione aveva un carattere temporale, la protezione un carattere eterno.

20. Mi portò al largo, mi salvò perché mi volle. Nessuno ignora che nella Chiesa cattolica i fedeli scoprono questa legge: quando più viene pressata dalle persecuzioni, altrettanto, come è stato detto, si dilata in ampiezza con la crescita dei credenti. In quella circostanza, per grazia di Dio, emergono dei credenti di grande coraggio, allora arde l’incendio della carità, e, scoppiata la lotta, corrono lietamente al combattimento, poiché ardono dal desiderio dei premi della vita eterna. La Chiesa viene portata al largo quando, per mezzo della crudeltà dei persecutori, costata che è cresciuto per lei il numero dei fedeli. Il fatto che dica mi ha salvato, usando il genere maschile, non deve stupirti né ti sembri improprio che si possa attribuirle questo genere, poiché esso và concordato con popolo. Giustamente questa schiera di beati, esultando, dice di essere stata salvata, poiché ha meritato di giungere all’onore della vita cristiana. Perché mi volle, ossia perché Colui che chiama tutti gratuitamente mi elesse; non riceve per primo un dono del quale poi contraccambia, come dice nel vangelo: non voi avete scelto me ma io ho scelto voi (Gv 15, 16).

21. Il Signore mi ripagherà secondo la mia giustizia e mi ha ripagato secondo l’innocenza delle mie mani. Ha preservato con cura ogni aspetto. In un primo tempo aveva detto, prima di attribuirsi [qualche merito], perché mi volle. Ora dice: mi ripagherà secondo la mia giustizia, ossia secondo il mio buon volere, che egli attivava con disponibilità di cuore dopo aver ricevuto i benefici. Parlando dell’innocenza delle sue mani, vuole significare l’azione di devozione esercitata dai santi per dono divino. La ripetizione del verbo retribuire deve essere colta con intelligenza, per non essere sedotti in modo ingannevole da qualche aspetto dell’eresia pelagiana. Dice infatti l’apostolo: infine mi viene riservata la corona di giustizia, che mi darà in quel giorno il Signore giudice giusto (2 Tm 4, 8). Non perché, umile qual’era, si attribuisse qualcosa in base ai suoi meriti ma perché, prevenuto dai doni del Signore, ormai sperava che un premio gli fosse dovuto. In modo identico parla l’apostolo Giacomo: ogni dono ottimo ed ogni regalo perfetto proviene dall’alto, discende dal Padre della luce (Gc 1, 17).

22. Ho custodito le vie del Signore né agii empiamente verso il mio Dio. Sono vie del Signore l’amore di Dio, la carità verso il prossimo, [attitudini] che vengono conservate con attenzione da coloro che non vogliono abbandonare i comandamenti del Signore. Soggiunse: né agii empiamente verso il mio Dio. Sono caratterizzati dal termine empietà, coloro che osano rifiutare gli ordini del Signore. L’animo fedele della Chiesa dice opportunamente di aver rifuggito da ciò che sapeva avrebbe offeso il Creatore.

23. Tutti i suoi giudizi sono sempre davanti a me e non respinsi da me le sue giustizie. Ora dichiara i motivi per i quali ha custodito le vie del Signore o per i quali non ha agito empiamente, come disse in precedenza: pensava sempre ai suoi giudizi terribili. Aggiunge e non respinsi da me le sue giustizie. [Al contrario] agiscono in questo modo coloro che, vinti dalla debolezza della carne, stancandosi dopo una lunga osservanza, abbandonano di quando in quando la rettitudine, che sulle prime avevano custodito. Ora, infatti, il popolo beato non respinse mai la giustizia del Signore, che era sempre rimasta nel suo cuore.

24. Ero puro al suo cospetto e mi custodivo dalla mia iniquità. Espone il frutto della sua beatitudine e ciò che guadagna se non respinge le giustizie del Signore, cioè se rimane senza colpa. Certamente non nella misura del Signore, che non commise peccato, ma nel modo con cui lo può essere questo giusto che ha lavato con lacrime supplichevoli le macchie contratte. Tutte queste frasi, quindi, dobbiamo intenderle allo stesso modo con cui le abbiamo esposto in precedenza, là dove aveva detto che retribuirà, ripetendo il verbo [per due volte]: quest’uomo, dotato di santa umiltà, non voleva sembrare di presumere di sé, - ciò lo escludeva totalmente – ma di [confidare] nel dono di Dio. Mi custodivo dalla mia iniquità. Viene descritta finemente la vita di un beato, il quale quando sperimenta di aver ricevuto una grazia del Signore, presta attenzione a non trovarsi di nuovo avvolto nei mali dell’iniquità precedente.

25. Mi retribuirà il Signore secondo la mia giustizia e secondo l’innocenza delle mie mani, davanti ai suoi occhi. Riprende quanto aveva affermato poco fa: sarò immacolato davanti a lui. Infatti quando accadrà quello [ossia quando sarò giusto], allora senza dubbio ne conseguirà anche questo [cioè sarò ricompensato]. Secondo la sua giustizia: quella secondo la quale egli vuole offrire a chiunque doni per dare una degna ricompensa in conformità alla purezza delle azioni. Giustamente poi ha aggiunto davanti ai suoi occhi, e questo non può accadere se non ai beati; e come essi sempre contemplano Dio col cuore, così vengono visti in continuazione dalla virtù divina.

26. 27. Con l’uomo santo tu sai santo, con l’innocente, sarai innocente. Con l’eletto tu sarai eletto e col perverso lo rovescerai. Continuando l’argomento della giustizia superna, poiché rende a ciascuno secondo la qualità delle sue opere, ora spiega in che modo si possa adempiere ciò che la legge ha comandato di osservare. La regola del nostro comportamento la deduce prendendo a modello gli antenati o i suoi capi; ognuno di noi gode di quella dote di natura di cui fu provvisto la persona da cui proviene. In base a questa opportunità viene data a noi una salutare regola di comportamento, affinché possiamo essere santi con quella santa persona, col Signore Salvatore, per suo dono, come egli stesso ha detto: Siate santi, poiché io sono santo il Signore Dio vostro (Lv 19, 29. Ci chiede anche di meritare di diventare innocenti della sua stessa innocenza. Di lui infatti è già stato detto: ha mani innocenti e cuore puro (Sal 23, 4). Aggiunge come terza [sollecitazione] che cerchiamo di essere eletti partecipando della sua stessa elezione. Così poi Isaia afferma a suo riguardo: il mio eletto nel quale si compiace l’anima mia (42, 1). È anche ciò che accade a noi, quando obbediamo ai suoi precetti, a nostro vantaggio. Segue col perverso ti pervertirai; ossia col diavolo ti pervertirai, perché egli si è pervertito per la sua iniquità. Infatti egli rende pieni di iniquità coloro che ha indotto a seguire le sue norme sottomettendosi a lui. Una tale mobilissima questione viene trattata nei topici da una persona che viene assoggettata da una forza esterna come quando qualcuno viene rimproverato a amici iniqui o viene lodato per la sua appartenenza a dei buoni.

28. Tu salverai il popolo umile e umilierai gli occhi dei superbi. Osserva in che modo ha risposto con proprietà ai versetti precedenti colui che è interessato alla santità o all’innocenza o all’elezione del Signore, ed ora verrà salvato quando sarà collocato alla destra nel giorno del giudizio. Gli occhi dei superbi stanno per subire l’umiliazione: saranno atterrati col diavolo il loro istigatore, quando, dopo essere stati posti alla sinistra, verranno inviati al supplizio eterno. Opportunamente è stato posto in opposizione: umilierai gli occhi dei superbi, poiché tanto scenderanno per l’arroganza in profondità nel tartaro, quanto avranno pensato di stabilirsi in altezza.

29. Poiché tu illumini la mia lampada, Signore; Dio mio, illumina le mie tenebre. Parla ancora sia la Chiesa, sia quel popolo di beati, con una stupenda bellezza delle parole. La lampada della Chiesa è Giovanni Battista, del quale il Signore dice nel vangelo: egli era la lampada ardente e voi avete voluto godere della sua luce (Gv 5, 35). Lo stesso egli dice nel vangelo: nessuno accende una lampada per porla sotto il moggio (Lc 11, 33). Il significato è questo: al Padre Signore dice: tu illumini la mia lampada, cioè Giovanni Battista e gli altri apostoli, o quanti possono irradiare la luce celeste. Illumina le mie tenebre, cioè per mezzo di essi [illumini] le altre membra, i credenti, che dimorano ancora nell’oscurità della carne. La lampada è la luce per la notte, che in modo opportuno viene data ai peccatori, affinché, grazie alla parola che illumina, possano allontanarsi dalle tenebre del peccato. Osserva che in questo passo si dice che è il Padre ad illuminare; ma illumina anche il Figlio, come viene detto in un altro salmo: Dio il Signore ci illuminerà (Sal 117, 27); illumina anche lo Spirito Santo, come viene attestato dal profeta: non nasconderò più da loro il mio volto, poiché il mio Spirito avrà inviato la sua luce su tutta la casa d’Israele (Es 39, 29). Chi ha un cuore così ottenebrato da non capire che una è la natura, una l’eternità, una la potenza della santa Trinità?

30. Da te verrò liberato nella tentazione e nel mio Dio scavalcherò il muro. Ha espresso in modo insigne la regola della fede. Da te verrò liberato, confessa, non da me. La tentazione indica il diavolo che tenta in ogni momento, per farci deviare da un retto comportamento. Nel mio Dio, cioè nell’energia che proviene da Dio, scavalcherò l’ostacolo posto dagli empi, quello che le iniquità dei mortali hanno frapposto tra Dio e gli uomini. Si tratta del muro della morte e non di difesa, né viene eretto per la difesa, ma predisposto per la morte eterna. Bene ha detto scavalcherò, non lo penetrerò a forza e neppure lo demolirò perché quel muro rimarrà immobile per il genere umano, sebbene i santi, con l’aiuto divino, saranno in grado di superarlo.

31. Dio mio… immacolata la sua via; le parole di Dio sono esaminate al fuoco; protegge quanti sperano in lui. Aveva iniziato un discorso ma ha proseguito con un altro. Dio mio, aveva incominciato a dire qualcosa di sconosciuto, proprio degli oranti ma subito ha aggiunto un finale inaspettato: immacolata la sua via. Infatti se la frase fosse in concordanza col seguito avrebbe detto del mio Dio e non Dio mio. Questa figura è chiamata paraprosdoxia, in latino conclusione inopinata, [ed avviene] quando si suggerisce qualcosa ma si sviluppa poi un’altra. La sua via è immacolata significa la sua condotta purissima. Questo riguarda l’incarnazione del Verbo, il quale, come si sa, non ha commesso peccato.

Segue le parole di Dio sono esaminate al fuoco. Alla luce della fede, si esamina la legge celeste quando le parole divine vengono esaminate dal desiderio di conoscere. In questo modo anche il profeta Geremia ha sigillato le parole del Signore con una definizione mirabile: le mie parole non sono come il fuoco, dice il Signore, e come la mazza che spezza la pietra? (Gr 23, 29). Viene aggiunta una promessa rivolta a tutti, perché venissero resi manifesti gli animi degli uomini: perché non si pensasse che non meritasse una protezione, chi non era stato immune dal peccato. Dicendo infatti di tutti coloro che sperano in te, non viene escluso nessuno, se non colui che non avrà voluto sperare in lui. Il versetto ridonda in brevissimi accenni di lode.

32. Chi è Dio se non il Signore o chi è Dio se non il nostro Dio? Questo viene detto contro l’insania dei pagani i quali fecero per sé delle divinità, come una serie di inutilità. Ha detto il Signore, poiché siamo suoi servi; [ha detto] Dio, poiché lo adoriamo e lo veneriamo molto giustamente. Ma questo Dio è la Trinità indivisibile, distinguibile soltanto per le Persone non per la differenza della sostanza. Giustamente è stata premessa, in breve, la lode del Signore, poiché egli stesso stava per prendere la parola nella parte successiva.

33. Dio che mi ha cinto di forza e pose la mia via senza macchia. È giunto alla terza parte, ove il Signore Salvatore espone la sua potenza. Quanto ha detto: mi ha cinto di forza, significa di dignità e di potenza. Entrambe [le qualità] convengono a lui il quale verrà a giudicare il mondo con la potenza della sua forza. Segue poi in modo conveniente pose la mia via, cioè la rafforzò e consolidò affinché non venisse smossa da alcuna vanità del mondo. Denomina via senza macchia una vita purissima senza la sporcizia del peccato, che Egli solo condusse, perché non commise peccato. Noi dobbiamo attribuire, in modo retto, al Signore fatto carne tutte queste espressioni allegoriche e morali che sono state dette come pure quelle che seguiranno.

34. Che ha perfezionato i miei piedi come quelli del cervo e mi ha posto nelle altezze. Spesso questo animale nelle Scritture divine è considerato al positivo, come nel passo: come il cervo anela le fonti d’acqua (Sal 41, 29. In questo passo perché provano una grande sete, e qui perché corrono velocemente. Sanno affrontare a salti i terreni cespugliosi e a superare quelle pericoli per i crepacci, come fece Colui che attraversò, con un santo incedere, i delitti del mondo che aggrediscono come con punture la salvezza umana e le fosse profonde dei peccatori. Comprendi la ragione per la quale sia rimasto nella similitudine dei cervi i quali, quando si allontanano dalle pianure, salgono verso le vette dei monti. Questo richiama il fatto che egli sia stato posto al di sopra di ogni grandezza delle creature, come dichiara l’apostolo: gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sottoterra (Fil 2, 9-10).

35. Insegna alle mie mani a combattere e pose sull’arco di bronzo le mie braccia. Ricevere istruzione significa essere resi cauti dalle insidie imminenti. Le mani significano le attività; il combattimento si riferisce alla lotta con il demonio, con il quali si combatte spiritualmente, poiché egli riprende la guerra in continuazione in combattimenti senza tregua. Le braccia di Cristo sono i profeti e gli apostoli, grazie ai quali ha portato a compimento il desiderio del suo volere. A questi paragona il suo arco di bronzo, poiché i servi di Dio nella predicazione riescono a non diventare molli, ma rimanendo nella fortezza celeste, pronunciate le parole salutari, come se avessero scagliato delle frecce da lontano, rendono compunti i cuori degli uomini devoti.

36. Mi hai dato la protezione della tua salvezza, la tua destra mi ha accolto, e la tua disciplina mi darà istruzione. La protezione di salvezza corrisponde alla gloria della risurrezione, quando, lasciata la mortalità della carne, la riprese gloriosa e priva di corruzione. La destra è la potenza della divinità che ha elevato ad una dignità eterna l’umanità assunta. Opportunamente ha detto di dover ricevere istruzione, per mostrare la concretezza di una vera umanità.

37. Hai dilatato i miei passi ai miei piedi e le mie orme non si sono rarefatte. Attesta che sono dilatate le azioni gloriose della sua incarnazione che dovevano rivelarsi in uno stile di vita ragguardevole in santità. Le orme manifestano la traccia della verità di vita, lasciata agli apostoli come percorso validissimo, e in essa egli cammino in tutti i suoi santi atti, lasciando impresso il tracciato. Ha negato che queste orme siano state cancellate dai nemici, poiché, sebbene sia stato scompigliato dal vento di bufera del mondo, non fu costretto a vedere cancellate le sue tracce, anzi egli le ha rinforzate rendendole solide per impedire che Pietro venisse sommerso nel mare.

38. Inseguirò i nemici e li catturerò e non smetterò finché non verranno meno.

39. Li umilierò affinché non possano reggere, cadranno ai miei piedi. Non c’è dubbio che questi due versi parlino di coloro che dopo essersi sollevati, sulle prime, contro il Signore, una volta convertiti, s’inchinano ai suoi piedi; proprio loro che, da ribelli, erano incorsi nella morte, ottengono di sottomettersi alla vita. Insegue infatti i suoi nemici affaticati sotto il peso di una molteplicità di afflizioni e li cattura quando abbandonano il loro perverso intento. È assai fortunato chi viene catturato, fortunato perché non potrà sfuggire dalla sua mano; allora sarà veramente libero quando diverrà prigioniero in tale maniera.

Segue: non smetterò finché non verranno meno. Quando il Signore non cambia, allora la preda viene catturata e colui che viene sconfitto a suo vantaggio abbandona la sua condotta malvagia. Aggiunge: li umilierò e non potranno reggere. Umiliati da molteplici sofferenze, non potranno persistere nella loro ostinazione, quando, in seguito ai loro sforzi, verrà meno la forza della loro iniquità. Allora accadrà ciò che segue: cadranno ai miei piedi. Chi cade ai piedi del Signore, non accetta più di porsi contro di lui, mentre ormai viene consolidato dalla sua protezione; anzi tornerà ad assumere una posizione eretta quando si sottometterà a lui con una umile resa.

40. Mi cinse di forza per la guerra, hai abbattuto sotto di me coloro che erano insorti. Dice questo in riferimento agli spiriti immondi, i quali gli suscitavano degli scontri iniqui servendosi dell’opposizione dei giudei. Mi hai cinto di forza: [ciò avvenne] quando vinse con la forza della pazienza le avversità degli iniqui. Quanti si saranno sollevati contro di lui in una ribellione insana, saranno sottoposti senza alcun dubbio al suo giudizio, per perire insieme col loro istigatore, essi che si rifiutarono di credere al loro Creatore.

41. Dei miei nemici mi hai dato il dorso e ha disperso quanti mi odiano. Questo versetto richiama due sacramenti. Il primo: il dorso significa la loro conversione, ossia di coloro che da oppositori al suo nome, sbaragliati da una vittoria salutare, all’improvviso risultarono essere dei cristiani. È quanto avvenne per l’apostolo Paolo, il quale dopo il rimprovero del Signore, da persecutore spietato [com’era], all’improvviso divenne un discepolo. Il secondo [mistero] consiste in questo: fa sapere che coloro che lo odiano saranno dispersi, quanti rimasero nella loro perfidia, con ostinazione, come deve essere tenuto presente a proposito dei giudei i quali dissero, parlando empiamente: il suo sangue [cada] su di noi e sui nostri figli (Mt 27, 25).

42. Gridarono ma non c’era chi li salvasse, al Signore ma non li ha ascoltati. Considera grida inefficaci quelle che verranno emesse dagli empi nel giudizio, come attesta il vangelo riguardo ai dannati: là ci sarà pianto e stridore di denti (Mt 13, 42). Queste grida non possono salvare le persone che hanno deciso di disprezzare l’autore della salvezza. Non c’era chi li salvasse: dice questo a causa del demonio, dal momento che essi hanno peccato per sua istigazione. Chi li salverà, quando il loro suggeritore e capo sarà il primo che dovrà ricevere la condanna? Non appena si saranno resi conto che la loro speranza nel diavolo è risultata un fallimento, grideranno al Signore ma non li esaudirà: dove ormai si impone una giusta condanna, ogni pentimento risulta del tutto inefficace.

43. Li sminuirò come polvere alla spinta del vento; li distruggerò come melma delle piazze. Dov’è la lingua orgogliosa, gonfiata dalla superbia? Pensino che saranno sminuzzati fino ad essere ridotti in polvere coloro che osarono opporsi a Dio con pensieri maligni. Affinché qualcuno non creda di restare tranquillo [in disparte] come un detrito, ha aggiunto: [saranno esposti] alla spinta del vento, perchè non possano avere tranquillità, dopo che saranno stati sminuzzati. In modo opportuno paragona i peccatori al fango delle piazze, poiché esso inquina con la sua sporcizia maleodorante, né viene consumato dal calpestio della gente, e in questo modo il suo fetore si rinnova. Li distruggerò, ossia li toglierò di mezzo, come si fa con la melma delle piazze. Afferra la forza del paragone: parla infatti di melma delle piazze che viene rimossa con facilità perché risulta essere molto molle.

44. 45. Liberami dai contrasti della gente, mi porrai a capo delle genti: un popolo che non conoscevo mi ha servito. Fu liberato chiaramente dai contrasti con la gente quando, dopo aver abbandonato i giudei increduli, venne affidato alla fede e alla devozione dei pagani. Chiama contrasti quelli che venivano suscitati contro di lui in molti modi dalla folla funesta. Ciò che dice mi porrai sul capo delle genti, lo dice in riferimento al segno della fede cristiana: sulla fronte dei pagani risplendettero i vessilli della croce. Un popolo che non conoscevo, cioè al quale non ero andato, nuovo, inesperto e non accolto in precedenza. Servì, cioè credette, poiché chi crede, serve; questo accade ai pagani, i quali non vennero visitati fisicamente da Cristo. Infatti che cosa potrebbe ignorare, Colui che scruta le reni e i cuori degli uomini?

46. All’ascolto dell’udito, mi ha ascoltato; figli estranei mi hanno ingannato. Questo elogio per i pagani diventa un rimprovero per i giudei, poiché [i primi] servirono colui che non avevano visto e prestarono fede a quelle parole sante che non avevano sentito pronunciare dalla sua bocca, come si trova scritto: coloro ai quali non è stato annunciato, lo vedranno e coloro che non lo ascoltarono lo contempleranno (Is 52, 15-16). Ma una comprensione [più profonda] ci fa aggiungere [dell’altro]. Gli ebrei che, invece, poterono vedere e ascoltare, come verrà detto più avanti, agirono in modo del tutto opposto. Questo fu preannunciato da Isaia: ottenebra il cuore di questo popolo, rendi pesanti le sue orecchie e chiudi i suoi occhi affinché non vedano con gli occhi, né ascoltino con le orecchie, non comprendano nel loro cuore né si convertano, affinché li possa risanare (Is 6, 10). Questa figura viene chiamata aposiopesis, cioè un detto di cui la conclusione è taciuta, affinché l’uditore o si spaventi o cominci a desiderare [il bene].

I figli estranei sono i figli del diavolo, egli stesso nel vangelo dice: voi siete dal diavolo come padre (Gv 8,44). Lo hanno ingannato, quando gli dicevano: Maestro, sappiamo che sei venuto da parte di Dio e insegni la via di Dio in verità (Mt 22, 16). Mentire è parlare contro il concetto della mente ed esprimere a parole ciò che non corrisponde al nostro pensiero.

Figli estranei si sono invecchiati e hanno zoppicato nei loro sentieri. Giustamente ha detto che figli estranei hanno zoppicato: i figli del Signore, infatti, sanno camminare con passo retto. Diciamo che zoppicano coloro che sono deboli in un piede. È noto che ciò è accaduto ai giudei; essi, interpretando il Vecchio Testamento secondo la carne, respinsero la grazia del Nuovo e per questo è capitato che, rimanendo indeboliti in una parte della loro mente, hanno zoppicato nel camminare. Alcuni dicono che questo evento sia stato preannunciato nella lotta con l’angelo del patriarca Giacobbe quando, colpito al nervo, divenne zoppo ad un piede (Gen 32, 24). Non trascurare il fatto che abbia aggiunto loro, poiché abbandonando la comprensione della legge, si lasciarono guidare dalle loro false credenze; non avendo accolto il Signore Salvatore promesso loro, inventarono falsità insane sulla questione della lavatura delle mani e dei bicchieri; davvero erano sporchi ma non potevano venire mondati da tale osservanza. Avrebbe potuto essere ripuliti dalla propria immondezza se avessero chiesto il lavacro del santo battesimo.

47. Viva il Signore e benedetto il mio Dio, sia esaltato il Dio della mia salvezza. Viene aperta la porta che era rimasta, quella della quarte parte: qui la Chiesa cattolica, diffusa nel mondo intero, parla ancora una volta, riferisce in modo sommario i benefici del Signore e s’immerge nella gioia soave degli inni. Giustamente diceva: vive il Signore, colui che essa contemplava nel cuore con un pensiero costante. Vive, dice, contemplato come presente con ferma fede. Dio viene detto benedetto, e ad lui viene offerta una [formula di ] lode assai conosciuta con devozione della mente, come anche altrove si legge: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, osanna nelle altezze (Mt 21, 4). Si comprende anche il significato preciso di benedetto, poiché egli benedice tutto con bontà, come anche vive il Signore poiché egli vivifica. Queste acclamazioni e altre simili ad esse, come spesso abbiamo detto, vengono costruite con intenti salutari. Sia esaltato ha scritto in verità, sia creduto in tutto il mondo. Infatti il quale altro modo poteva essere esaltato Colui che è chiamato con proprietà l’Altissimo?

48. Dio che mi concede la vendetta e sottomette a me i popoli. In questo mondo la Chiesa viene vendicata in modo palese quando i bestemmiatori e gli increduli sono riportati nei penetrali della vera religione, e coloro che in precedenza vissero da oppositori, si sottomettono ad essa con una devozione benefica. Ecco la vendetta pia, la pena salutare, la rivalsa gloriosa! Sono sottomessi alla Chiesa coloro che si dimostrano privi di ogni vizio; mentre quelli che si allontanano da essa, subito incorrono nel laccio di una prigionia malefica.

49. Colui che mi libera da popoli adirati: mi farà vincere sopra coloro che insorgono contro di me e mi libererà dall’uomo iniquo. Ha aggiunto una lode al liberatore, mentre dice da popoli adirati. È un’azione di minor pregio liberare da nemici tiepidi una persona in pericolo, ma è molto più glorioso [liberarlo] da quelli che sono accesi da grande malignità. Segue una differenza che rende onore: quanto più i nemici erano sconvolti dall’ira tanto più meritano considerazione quelle cose che sopportò. L’uomo iniquo indica lo scismatico che si dilata a causa dell’iniquità di un insegnamento perverso.

50. Per queste cose ti confesserò tra i popoli Signore e di dirò un salmo tra le genti. Per queste cose, per quelle di cui aveva parlato prima. Ti confesserò: ossia ti loderò per mezzo delle nazioni cristiane la cui lingua è la voce della Chiesa. Il salmo, come ho già ripetuto, corrisponde alle opere di questo tempo: in questo modo attraverso le azioni dei fedeli restituisce a Dio il ringraziamento da offrire, che Dio ascolta ancora più volentieri delle parole. Tra le genti allude all’universalità, poiché la Chiesa dei pagani stava per crescere molto in quantità.

51. Magnificando la salvezza del re e usando misericordia a Davide, suo cristo, e al suo seme per sempre. Spiega quale salmo avesse pronunciato prima, colui che magnificherà il figlio suo per tutta la terra. È cristo, si diceva in precedenza, chiunque è unto come re, come viene detto di Saul: Come hai osato levare la tua mano contro il Cristo del Signore? (2 Re 1, 14). Usò misericordia a Davide poiché, come avverte il titolo, lo liberò dalla crudeltà dei persecutori. E al suo seme, indica il Signore Salvatore, che, secondo la carne, discende dalla sua generazione. Dichiara che è stata usata misericordia al suo seme, quando lo fece risorgere dai morti dopo tre giorni, lo fece salire al cielo e sedere alla destra del Padre. Per sempre significa in eterno; come nel salmo precedente veniva detto: sino alla fine; queste parole hanno il medesimo significato, sebbene vengano variate per il piacere della novità.

Conclusione del salmo

La trama di questo salmo come si snoda in un intreccio stupendo di parole! Si verifica sempre una variazione di persone e un discorso reciproco succede all’altro in un mutamento alternato. Cerchiamo di comprendere quanto sia grande la compagnia gloriosa di questo coro; anche lo stesso Signore ha voluto mescolare insieme parole salutari, a favore degli uomini, per i quali non ha rifiutato di assumere l’umiltà dell’incarnazione.

Infatti anche lo stesso numero racchiude grandi misteri della legge. La decina rinvia al Decalogo del Vecchio Testamento, mentre il settenario allo Spirito dei sette doni; essi, riunificati, compongono il diciassette. Così i misteri principali della santa legge sono contenuti nel numero di questo salmo.

Salmo 18

1. Per la fine, salmo di Davide. Ho spiegato più volte che questa iscrizione deve essere considerata come un’espressione tipica del salmo per fare riferimento al Signore Cristo; il salmista infatti parlerà della sua prima venuta, che determinò il tramonto dell’avversario e una efficace difesa del genere umano. Per mezzo di lui, quel tiranno, imprigionato, conobbe il pianto e, cosa ancora più rilevante, l’uomo venne liberato, mentre prima, sottomesso a lui, era tenuto prigioniero nelle catene della morte. Tieni presente, in verità, che questo è il primo salmo che parla di questo argomento; ne succederanno altri quattro, cioè, il settantanove, l’ottantaquattro, il novantasei e il novantasette.

Divisione del salmo

Nel suo messaggio, nella prima parte, elogia i messaggeri del Signore, aggiungendo anche alcune parole che trattano della sua incarnazione con immagini molto belle. Nella seconda parte celebra i comandamenti del nuovo e del vecchio Testamento. Nella terza chiede che il Signore lo purifichi dai vizi nascosti e renda il salmista degno di lui. Grazie a questo comprendiamo che a cantare le lodi del Signore sono coloro che non si differenziano [nel comportamento] da ciò che insegnano.

Spiegazione del salmo

2. I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annuncia il firmamento. In un senso strettamente letterale si potrebbe pensare che i cieli abbiano raccontato la gloria di Dio quando una stella, come guida, precedette i magi diretti a Betlemme e, rimanendo ferma sopra la sua culla, manifestò la venuta del Signore Salvatore (Mt 2, 9-11). Tuttavia mi sembra che sia preferibile riferire questo agli apostoli e ai profeti i quali, trattando l’argomento della sua venuta, riempirono l’universo di sante esortazioni. In queste Dio abitò come nei cieli egli che abbraccia tutto con ampiezza, stabilendosi in essi nella totale pienezza della sua maestà, e non in parte. In Dio non ci sono parti, ma ovunque è presente in totalità e pienezza. All’empio poi viene detto: chi sei tu che pretendi di diffondere la mia gloria? (Sal 49, 16).

Segue e l’opera delle sue mani, ossia l’uomo stesso che è stato creato dalla sua mano. Questo, poi, viene detto a lode dei profeti, i quali, una volta che siano divenuti sua creazione, meritano di annunziare i venerandi misteri del loro Creatore.

Aggiunge annuncia il firmamento: sono i predicatori della sua incarnazione che ha reso irremovibile la solidità della nostra fede. Osserva che in questo passo si dice che l’uomo è creato dalle mani di Dio. Allo stesso modo si legge: le sue mani hanno creato la terra (Sal 94, 5). Questa è un’allusione all’azione umana la quale non riesce a compiere qualcosa senza l’ausilio delle mani. In realtà Dio ha creato tutto per il comando del suo volere, come si legge: Egli ha detto e tutto fu fatto, diede un ordine e furono creati (Sal 148, 5).

3. Il giorno trasmette la parola al giorno e la notte alla notte ne dava notizia. Il giorno trasmetteva la parola al giorno quando il Signore parlava agli apostoli. Egli infatti, irradiando di amore divino, infondeva parole di luce celeste in quegli uomini dal cuore purissimo. Lasciava fuoriuscire la parola, quando trasmetteva gli insegnamenti a istruzione dei santi, dopo averli fatti emergere dai profondi penetrali. La notte dava notizia alla notte quando Giuda tradì il Cristo e lo consegnò ai giudei perché venisse ucciso (Mt 26, 47-50). Dare notizia è tipico di chi tradisce. Si erano accordati tra di loro che avrebbero catturato colui che quel vero criminale avrebbe baciato. Un traditore abominevole, giustamente segregato dalla compagnia dei beati! Mediante un bacio fece venire la morte, con un gesto che sta a significare tra gli uomini l’affetto.

Il fatto che abbia stabilito un paragone tra giorno e giorno e notte con notte, introduce una figura che stabilisce uguaglianza, come viene detto anche nel salmo quaranta uno: l’abisso chiama l’abisso, con la voce delle tue cascate (Sal 41, 8).

4. Non ci sono esortazioni né discorsi, che non abbiano proferito con la loro voce. Negando che ci siano stati discorsi o esortazioni che gli apostoli abbiano taciuto, manifesta che essi hanno trasfuso nelle lingue di tutti i popoli quel messaggio che stavano per annunciare loro, per ispirazione divina. Con la franchezza della predicazione, su tutta la terra sono risuonati, i loro discorsi e le loro esortazioni. I discorsi sono in relazione con la trattazione ordinaria [dell’argomento] e le esortazioni servono a persuadere le folle ed è più che certo che gli apostoli si sono adoperati in entrambi i compiti.

5. 6. Su tutta la terra è uscito il loro suono e ai confini della terra le loro parole, ha posto nel sole la sua tenda. La terra significa l’uomo, il quale è in grado di ascoltare e di credere. Il suono fa pensare alla fama dei miracoli che si diffondeva, a motivo della novità stessa, tra i singoli popoli accompagnata da un giudizio assai favorevole. I confini della terra sono i re, i quali custodiscono i loro regni come fossero i confini della loro proprietà; voleva che rendessero noto come, in verità, le parole del vangelo non erano giunte soltanto presso gli umili ma anche presso i capi delle nazioni.

Segue il santo annunzio da parte del profeta dell’incarnazione del Verbo, così poteva dire di aver compiuto anche da parte sua ciò che aveva elogiato altri di aver fatto. Dagli apostoli passa alla persona del Signore. Questa figura viene detta exellage, ossia cambiamento. Nel sole ossia intende dire nella manifestazione al mondo. La tenda è la presenza del suo corpo. Ritengo che abbia detto che l’ha posto nel sole per questo motivo: colui che conserva come purissimo l’occhio del cuore, può sostenere e contemplare lo splendore di quel sacramento, mentre chi è stato ingannato dalla malizia dell’eresia, come se fosse stato abbagliato dal fulgore dell’incarnazione, non si mostra capace di fissarsi sulla luce santa del Signore per l’irritazione provocata dal suo errore.

Ed Egli come uno sposo che esce dal suo talamo, esultò come un gigante per percorrere velocemente la sua strada. Dicendo Egli, fa riferisce a Cristo il quale, come sposo della sua Chiesa, esce dal suo talamo, cioè dal grembo verginale di Maria. Con un paragone così solenne, espose il sacramento della sua incarnazione. Con questo intento uscì dal grembo verginale, in seguito ad un progetto salvifico ammirevole, per riconciliare il mondo con Dio ed infine per unire a sé, allo sposo, la Chiesa, nell’amore. Perciò giustamente è nato da una vergine, Colui che stava per unirsi ad una vergine, in un santo rapporto. In modo opportuno infatti Cristo viene chiamato sposo (sponsus) da promettere (spondendo) poiché più volte venne promesso dai profeti.

A ragione poi il nostro Cristo ora viene paragonato ad un gigante, perché, vincendo con la grandezza della sua potenza la natura umana, debellò tutti i vizi del mondo insieme al loro crudele istigatore. Dicendo poi per percorrere velocemente la strada, ribadisce ciò che aveva detto nel salmo primo: non stette nella via dei peccatori. Questa strada significa il corso della sua vita, quello trascorso dal Signore divenuto uomo; ossia il fatto che nacque, crebbe, insegnò, patì, risuscitò, ascese al cielo, siede alla destra del Padre. Giustamente dunque ha detto di aver trascorso velocemente la strada, poiché non gli accadde mai di trattenere la sua azione nella prospettiva mondana. Tutto questo è stato esposto in immagini allegoriche, le quali, mentre affermano una determinata cosa, portano a scoprire un altro significato.

7. Da un’estremità del cielo la sua uscita e la sua corsa fino alla sua sommità; nulla si sottrae al suo calore. Se osserviamo con diligenza, qui viene manifestata la grandezza di tutta la Trinità. L’estremità del cielo si riferisce al Padre, la sua uscita allude alla generazione del Figlio, non temporale ma coeterna al Padre, che è prima di ogni inizio, dal momento che il Figlio stesso è principio. La sua uscita, viene denominata così in base alla prospettiva umana, perché Cristo, permanendo nell’una e nell’altra natura dopo aver assunto la carne, salì alla sede della maestà paterna. Fino alla sua sommità, ossia fino alla divinità per la quale il Figlio è sempre uguale al Padre. Infatti se viene dalla sommità, non è per nulla inferiore; se ritorna alla sommità, egli è un uomo Dio uguale al Padre nell’essenza divina, continua a rimanere in quella condizione in cui era venuto e la miseria della condizione umana non lo privò di nulla. Infine il fatto che dica: nulla si sottrae al suo calore, sembra fare allusione allo Spirito Santo, inviato ai discepoli dopo la sua ascensione. Nel [libro] degli Atti degli Apostoli si legge che è apparso un fuoco il quale, posandosi sopra ognuno di loro, li faceva parlare nelle diverse lingue dei popoli. Egli è infatti il calore dal quale nessuno si può sottrarre, perchè, nella potenza della sua divinità, conosce il cuore di ognuno. Così in un solo versetto, vengo esposti i sublimi misteri della Trinità santa. Osserva come abbia ammesso l’unità di una sola sostanza sebbene abbia parlato di tre Persone distinte. Ad essa infatti fa riferimento quando usa [l’aggettivo] sua, come se parlasse di un’unica realtà, perché la santa Trinità è un unico Dio, come si legge: Ascolta, Israele, il Signore Dio tuo, il Signore è uno (Dt 6,4).

8. La legge del Signore è irreprensibile, converte l’anima. Giunge alla seconda parte [del salmo]: nel corso di sei versetti, vengono celebrate, con una lode distinta, qualità particolari. Appare la settima modalità di definizione, chiamata dai greco metafora, e dai latini trasposizione e [si riscontra] quando presentiamo una realtà in quello che è con una breve testimonianza elogiativa. Ora passiamo ad esaminarle una alla volta. La legge, quella che fu donata per mezzo di Mosè, è irreprensibile, perché è costituita in tutto da verità, e questa non venne abrogata dal Signore Salvatore ma portata a compimento, come dichiara nel vangelo: Non sono venuto ad abolire ma a portare a pienezza (Mt 5, 17). Per evitare poi che il suo rigore diventasse per noi una causa di disperazione, ha aggiunto: converte l’anima. La paura della sua severità corregge l’errante e lo induce a ricorrere alla grazia di Cristo, quando comincia a non confidare più nei propri meriti.

La testimonianza del Signore è fedele, dona sapienza ai piccoli. Questo lo dichiara in relazione al Padre: tutte le testimonianze che offrì al popolo d’Israele, furono davvero fedeli, perché confermate in pieno dalla verità; e infusero la sapienza ai piccoli, non ai superbi ma ai poveri che non si espansero in un tronfio gonfiore. I piccoli sono gli umili e gli innocenti come ammonisce l’apostolo: non siate dei bambini quanto alla sensibilità ma siate privi di malizia (1 Cor 14, 20).

La testimonianza riguarda anche il Figlio, come afferma l’apostolo a Timoteo: ti scongiuro davanti a Dio che dà vita ai morti e a Cristo Gesù che ha reso la propria testimonianza sotto Ponzio Pilato (1 Tm 6, 13). Lo stesso viene dichiarato dall’apostolo in riferimento allo Spirito Santo: lo stesso Spirito testimonia al nostro spirito (Rm 8,16). Contempla in questa testimonianza la santa Trinità: la divina Scrittura non attesta per nulla che in essa vi sia una diminuzione o un accrescimento; non può subire divisione neppure nei nomi [che la designano].

9. Le giustizie del Signore sono rette, rallegrano i cuori. Davvero furono rette, perché non si verificato che egli abbia agito in modo diverso da come ha insegnato; infatti non è retta la giustizia, di coloro che altro dicono e altro fanno. Rallegrano i cuori, dei giusti, come è sottinteso, che si rallegrano del giudizio di Dio: essi sanno che otterranno i premi della misericordia del Signore, come afferma l’apostolo: del resto è riposta per me una corona di giustizia che il Signore, giudice giusto, mi donerà in quel giorno (1 Tm 6, 13).

Il precetto del Signore è puro, illumina gli occhi. È veramente puro poiché lo comunica in verità terso e immacolato così come procede dal Padre delle luci. Esso illumina gli occhi, non questi occhi di carne, che anche le pecore possono avere come noi ma quegli occhi interiori che vengono illuminati spiritualmente dal dono divino.

10. Il timore del Signore è santo e rimane per sempre. Vediamo che cosa suggerisca questa definizione. Avere timore di Dio non è il risultato di ansia inquieta ma di ferma stabilità; la sua condizione non viene cambiata da nessun mutamento temporale, ma persevera nello stesso sentimento con la sincerità di una retta coscienza. L’apprensione umana cambia nel tempo e non ha nulla di santo, perché non offre alcun vantaggio; ma il timore di Dio non provoca alcun sgomento. Infatti sebbene [un credente] giustamente provi timore nei confronti del suo Creatore, sa che Colui che giudica è veramente misericordioso. Realizza ogni esigenza di una vita santa colui che mostra di temere ed amare il suo Giudice. Il [vero] timore del Signore è un amore mescolato a trepidazione, e questo [sentimento] normalmente è chiamato riverenza.

I giudizi di Dio sono veri, giustificati in se stessi. Chiama giudizi di Dio, come penso, i comandamenti che sono stati prescritti nel vecchio e nel nuovo testamento, poiché sono stati l’effetto di un giudizio. Viene chiamato giudizio al singolare l’atto che distingue il bene dal male. Infatti ciò che segue: sono desiderabili, impedisce che si intenda riferirsi al tempo del giudizio futuro, poiché si legge: guai a coloro che desiderano il giorno del Signore! (Am 5,18). Tutti questi giudizi dell’uno e dell’altro Testamento, che sono stati pronunciati, perseverano in modo immutabile nella verità; e in essi si trova un bene così grande che, quando sono accolti da menti devote, rendono veritieri e beati. Danno ciò che possiedono poiché è necessario che ciò che rende giusti sia una realtà colma di giustizia.

È stata portata a compimento la conclusione dell’encomio pensato in sei modalità distinte, nella proclamazione della legge del Signore, della testimonianza del Signore e dei giudizi di Dio: nella matematica questo viene considerato il numero perfetto. In ogni singolo versetto, come se fosse una penna robusta, appare chiaro che le opere del Signore vengono rese note con un intento elogiativo, per dare istruzione sulla loro perfezione e convenienza, ed è evidente che sono state celebrate per mezzo di questa numerazione. Quale ammirevole profondità di realtà grandiose! Chi avrebbe potuto evidenziare ad una ad una e proclamare le opere del Signore in modo conveniente, se [tali lodi] non fossero state ordinate dallo Spirito Santo? Soltanto Lui è in grado di parlare di sé in modo opportuno poiché è l’unico che conosce se stesso perfettamente.

11. Sono desiderabili più dell’oro e di una pietra molto preziosa, più dolci del miele e di un favo. Desiderabili sono i giudizi del Signore più dell’oro, ossia, come ho già detto, i comandamenti del nuovo e dell’antico testamento; la cupidigia umana cerca di possederlo con una brama ardente, e in seguito a ciò, spesso non bada neppure alla salvezza dell’anima. Tuttavia poiché esso possiede un valore pari ad un bene molto grande, ha aggiunto: [più desiderabili] di una pietra molto preziosa. Esso, rispetto ad piccola perla, vale moltissimo e, pur avendo il peso di poco metallo, supera il valore di una ingente quantità di denaro. Ma poiché potevano darsi degli asceti che avevano calpestato la cupidigia nociva con una lodevole parsimonia, ha aggiunto, ha parlato anche di gusti, quali il miele e il favo, graditi per la loro particolare dolcezza.

12. Infatti il tuo servo li custodirà e nell’osservali grande è la ricompensa. Parlando del tuo servo, vuole indicare l’uomo giusto e devoto. Li custodirà, conquistato da quella dolcezza, mentre i giudizi del Signore risultano sempre amari alle menti colme d’iniquità. Osserva come abbia detto che li custodirà. Così appare evidente che non solo per un tempo breve proverà attaccamento per essi ma rimarrà in questo sentimento di rispetto fino all’ultimo istante della vita. Dopo l’obbedienza, seguirà il premio, cioè una grande ricompensa. I doni della benevolenza divina sono talmente grandi che non possono neppure essere compresi. L’apostolo ne parla in questi termini: ciò che occhio non vide, né orecchio udì, né entrò in cuore d’uomo, questo Dio ha preparato per coloro che lo amano (1 Cor 2,9). Giustamente allora parla di una ricompensa grande, perché non è possibile comprenderla nella sua interezza.

13. I peccati chi li avverte? Purificami, Signore, dalle mie colpe occulte. Ecco si spalanca la porta della terza parte [del salmo] e ora il profeta chiede di essere purificato dai suoi peccati, ed allora le parole della sua bocca saranno gradite al cospetto del Signore. Poiché nell’errare l’uomo esonda dai limiti in tre modi: col pensiero, con la parola e con l’azione, convogliando quell’immenso mare di crimini in uno sguardo di sintesi, attesta che esso trae origine da due sorgenti.

Il peccato occulto è quello che denominiamo originale. In esso veniamo concepiti, nasciamo e lo confermiamo segretamente coi [nostri] desideri. Ciò avviene quando agogniamo il possesso del prossimo, quando amiamo vendicarci degli avversari; quando aspiriamo a primeggiare sugli altri, quando abbiamo desiderio di cibi più raffinati e concepiamo altre azioni simili; esse pullulano e si sottraggono [all’attenzione], al punto che, prima dei loro effetti, a molti rimangono nascoste.

Se queste si rendono manifeste a qualcuno, secondo l’ammonizione di Salomone: non seguire le passioni (Sir 18, 30), dobbiamo renderci conto che sono molti i peccati che ignoriamo del tutto, dei quali non possiamo capire in che modo si formino e si insinuino dentro di noi. Di conseguenza bisogna sottintendere: tutti i peccati chi li avverte? Dirà infatti nel salmo cinquanta: il mio peccato l’ho sempre davanti a me (Sal 50,5) e altrove: ti ho fatto conoscere le mie colpe (Sal 31,5). In che modo potrebbe non aver coscienza di ciò che, nell’atto del peccare, si sente costretto a confessare? Ma se aggiungi tutti, allora l’obiezione non ha motivo di essere.

14. Dai peccati estranei monda il tuo servo. Se non mi avranno dominato [su di me], allora sarò immacolato e sarò purificato dalla colpa più grande.

Nel versetto precedente si era parlato del [peccato] occulto che noi avevamo definito originale; ora si deve spiegare quale sia quello [chiamato] estraneo. È estraneo quello che viene commesso dagli uomini malvagi, senza il suggerimento del diavolo, e che diventa proprio in quanto gli si da spazio con un consenso arrendevole.

A causa di quel legame [col peccato originale] la massa corrotta degli uomini, viene travolta con facilità dal nemico spirituale se è priva del soccorso della grazia, poiché si trova già inclinata al male nel primo uomo, a causa della disobbedienza. Del resto è facile all'antico persuasore spingere alle cose proibite quelli che sono già contagiati [dal male], considerando che aveva potuto ingannare con la sua astuzia gli uomini mentre erano ancora liberi e innocenti! In seguito al fatto che, a partire dal peccato originale fino al termine del tempo, nessun vivente può sfuggire [al male], il profeta chiede di essere mondato, come se non fosse ancora purificato del tutto dai vizi della carne.

Tuttavia, per il fatto che parli di sé come del tuo servo, si dimostra già predisposto ad obbedire, giustamente, alla legge del Signore. Gli errori prendono il sopravvento quando ci appoggia ad essi con una scelta ingannevole; ma perdono il loro potere quando gli uomini si liberano da essi per grazia di Dio. Opportunamente il profeta è convinto che sarà libero da colpa poiché ha già cominciato a sottrarsi al loro influsso.

Davvero il peccato più grande è la superbia: per essa il diavolo cadde e coinvolse l’uomo. Quanta parte occupi nella realtà del male lo si può intuire dal fatto che essa ha trasformato un angelo in un diavolo, ha dato morte all’uomo e lo ha spogliato della beatitudine che gli era stata donata. È madre di tutti i mali, fonte di delitti, sorgente d’iniquità. Sta scritto infatti: il principio di ogni peccato è l’orgoglio (Sir 10,15) ed essa venne abbattuta dal Signore nella sua venuta grazie alla umiltà.

15. Ed allora ti saranno gradite le parole della mia bocca e la meditazione del mio cuore davanti a te, per sempre. Signore, mio aiuto e mio Redentore. Spiega quando le parole della sua bocca riusciranno ad essere gradite al Signore ossia quando si sarà liberato dai vizi di cui aveva parlato in precedenza. Per questo motivo viene detto al peccatore: perché proclami i miei atti di giustizia? (Sal 49, 16). Qual è allora la meditazione del cuore che può giungere presso il Signore? La speranza, la carità e la fede, le quali particolarmente sono gradite a Dio.

Meritano di salire al suo cospetto quelle disposizioni che, come sappiamo, sono da lui approvate. [Il salmista] dichiara che [Dio] è il suo aiuto nel bene e il suo redentore dal male: nessuno deve attribuire ai propri meriti ciò che avrà ricevuto dalla benevolenza celeste.

Conclusione del Salmo

Con quale ammirevole proprietà il glorioso profeta ha tracciato il percorso del salmo! Ha onorato gli annunciatori del Signore; lui stesso ha fatto conoscere l’attuarsi della santa incarnazione, e ha reso onore alle sue opere grandi con una molteplicità di elogi. Ricordatosi poi della sua debolezza, ha chiesto di essere purificato dai peccati, sperando di divenire un degno banditore di misteri così grandi, tanto più che egli aveva insegnato che le Scritture del Signore devono essere proclamate da chi ha la coscienza pura.

Anche lo stesso numero [diciotto] sembra esprimere la qualità del salmo. Nel vangelo la donna che era incurvata da diciotto anni venne salvata dalla sua infermità per volere del Cristo; in modo analogo, in questo salmo, il profeta chiede di essere liberato dai propri peccati e mediante questo numero, vuole indicare il tempo propizio nel quale anch’egli meriterà di ricevere i doni salutari del Signore.

Salmo 19

1. Per la fine. Salmo di Davide. Ormai [il senso] delle parole del titolo è conosciuto ed allora diciamo qualcosa sul testo del salmo; potremo così accoglierlo con maggiore disponibilità, una volta che il suo messaggio sarà introdotto con un minore dispendio di parole.

Il profeta, illuminato ampiamente sulle realtà future, chiede, nella forma dell’ottativo, che la santa Chiesa ottenga benessere; sapeva con totale certezza che sarebbe giunto in concomitanza con la venuta del Signore. Pieno di grande carità, auspica per essa quei beni, ben sapendo di essere un suo membro. I beati infatti coltivano sempre questi desideri, e così fanno capire che le loro ricchezze sono poste là, dove godono insieme molto le promesse date ai meriti.

Divisione del salmo

Nella prima parte il profeta chiede che la santa Chiesa riceva i beni [sperati] e così, mentre si trova spossata per le molteplici fatiche della vita terrena, [ormai] esaudita, possa accogliere il Cristo Signore.

Nella seconda parte supplica il Signore di confermare con la bontà della sua onnipotenza il suo proposito e la rettitudine della fede, essendo persuaso che il popolo fedele non sarà glorificato dal potere mondano ma dalla potenza divina.

Spiegazione del salmo

2. Ti ascolti il Signore nel giorno della tribolazione e ti protegga il nome del Dio di Giacobbe. Mediante la figura della prolessi, che in latino viene chiamata anticipazione, il profeta animato da zelo di grande carità, desidera che la chiesa cattolica goda di quei doni che aspettava di poter ricevere da lungo tempo.

Siamo certi di essere stati esauditi, quando otteniamo qualcosa in ogni modo. Parlando di un giorno di tribolazione, indica un periodo di acutissima sofferenza, durante il quale invochiamo il Signore con un grande fervore. In quel frangente, infatti, chiediamo che ci siano elargite quelle cose che desideriamo, non con il movimento delle labbra ma con la purezza del cuore.

Bisogna comprendere anche questo [particolare]: per quale ragione è stato aggiunto il nome del patriarca Giacobbe? Costui, infatti, ingannando il fratello maggiore, conquistò tutta la grazia della benedizione per soppiantarlo con il resto del popolo. Questo genere di benedizione in modo opportuno viene applicata al popolo cristiano. Succedendo alla nazione dei giudei, gli fu superiore nello spirito religioso per la devozione della mente, affinché, per un dono di grazia, corrispondesse al Signore che aveva anticipato il suo dono, come il primo.

Infatti quando dice: ti protegga il nome del Dio di Giacobbe, vuole che venga intesa dal Signore come una prefigurazione di questo genere e faccia passare al nuovo popolo quella benedizione che il santo patriarca ricevette a titolo di anticipazione.

3. Ti mandi l’aiuto dal santuario e da Sion ti protegga. Sempre manifestando un auspicio, dice: mandi, per manifestare che il Figlio è mandato dal Padre. Ma questo è un intervento che esprime amore e non assoggettamento; così come Egli nel vangelo afferma riguardo allo Spirito santo: «è meglio per voi che io me ne vada; infatti se non me ne sarò andato, il Paraclito non verrà a voi; se me ne sarò andato, lo invierò a voi» (Gv 16, 7).

Sion, poi, come spesso ho spiegato, è un monte che significa la preveggenza che conviene alla divinità. Dio, infatti, conosce tutti gli eventi, non come avviene per noi, in seguito al loro accadimento ma li [conosce] a partire dal glorioso segreto della sua progettazione.

4. Ricordi tutti i tuoi sacrifici e il tuo olocausto sia considerato pingue. Il sacrificio della santa Chiesa non è l’offerta di armenti ma deve essere colto in questo rito che ora si compie per l’immolazione solenne del corpo e del sangue, previsto dal salmista per il futuro e da lui stimato come bene che non era possibile omettere.

Aggiunge: e il tuo olocausto venga considerato pingue. Parlando di olocausto prolunga l’analogia con il sacrificio antico. Era chiamato olocausto ciò che veniva consumato dal fuoco integralmente, un fatto che ora è da riferire alla purezza santissima della nostra comunione. L’olocausto di per sé è bruciato interamente ed è una cosa arida ma diventa pingue e gioioso quando viene accolto dalla bontà divina.

5. Ti conceda il Signore secondo il tuo cuore e confermi ogni tuo convincimento. Dopo aver messo il diapsalma, giunge alla seconda parte, e spera ancora che la chiesa riceva i beni, poiché sapeva che essa rimaneva fedelmente nella fede ortodossa. Dice infatti: ti conceda il Signore secondo il tuo cuore, cioè secondo la comprensione che hai riguardo al Signore Salvatore. Desidera che tu creda che lui è uno della Trinità che ha sofferto nella carne e che è stato appeso al patibolo della croce per la liberazione del mondo, credi che è risorto, che siede alla destra del Padre e che verrà a giudicare.

Ha aggiunto anche: confermi ogni tuo convincimento. In altre parole che essa disprezzi la corruzione di questo mondo mantenendo fisso lo sguardo alla promessa del Signore, che non tema i pericoli del mondo attuale, mentre rimane sempre gioiosa nell’attesa dei premi della futura resurrezione.

Questo è il convincimento della santa madre Chiesa: credere che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo siano un unico Dio, che ha creato tutto e tutto governa. Il profeta chiede che queste certezze rimangano ben radicate nel popolo fedele, perché grazie ad esse sa che giungerà al premio eterno.

6. 7. Esulteremo nella tua salvezza e ci renderemo grandi nel nome del nostro Dio. Adempia il Signore tutte le tue domande. Dal momento che quell’uomo santo desiderava beni spirituali per la Chiesa, per manifestare che egli era un membro di quel corpo, giustamente volle che ne partecipasse anche la sua persona. Infatti dichiarò che si sarebbe rallegrato nella salvezza della Chiesa, che è il Signore Cristo e dichiara che si sarebbe reso grande nel suo Nome, perché i cristiani vennero denominati così da Cristo. Essere magnificati significa diventare grandi e questo consiste nel fatto che, mediante un solo termine, il nome del re celeste è imposto anche al servo.

Segue: adempia il Signore tutte le tue domande. Torna di nuovo alla Chiesa con un gradita ripetizione e in questo modo, per una tale rinnovata attenzione, manifesta la forza del suo grande interessamento.

Ora ho visto che il Signore ha salvato il suo consacrato. Queste parole, [da qui] sino alla fine del salmo [il salmista] le pronuncia come parole proprie. Questa figura viene chiamata apostrofe, cioè mutamento, [e si verifica] tutte le volte che assegniamo i discorsi a persone differenti, in modo frequente.

Dicendo ora so, mostra di essere dotato di una grande forza profetica, dal momento che già da quel momento dichiarava di aver conosciuto ciò che si sarebbe avverato molti secoli dopo. Il Padre salvò il Cristo, il Figlio, con la resurrezione gloriosa, quando anche ascese al cielo.

Lo esaudirà dal cielo suo santo, con la salvezza della sua destra nei poteri. Il Padre esaudirà il Figlio a partire dall’incarnazione assunta, cioè dopo la resurrezione, quando dal cielo mandò agli apostoli lo Spirito Santo, che aveva promesso di inviare mentre era sulla terra.

Per dimostrare che anch’egli era onnipotente nella sua divinità, ha aggiunto: salvezza della sua destra nei poteri. La salvezza che egli portò è conosciuta essere un nostro potere: quella salvezza non viene intaccata dalle malattie, non viene colpita da dolori, ma ci rende potenti, mentre ci custodisce nella sua eternità. Il significato è dunque questo: il Padre esaudirà il Figlio dal suo cielo santo, poiché nella sua destra è la salvezza, dal momento che, a motivo della sua divinità, possiede ciò che come uomo sembrava invece chiedere.

8. Questi nei carri e quelli nei cavalli: noi siamo grandi nel nome del Signore Dio nostro. Confidando nella purezza della sua fede il profeta si rallegra di quei beni che facevano parte dei doni del Signore e disprezza coloro che, eretti sopra carri fastosi, sono interessati piuttosto al fastigio temporale. Gli antichi celebravano infatti due tipi di trionfo: uno, più solenne, su carri, che chiamavano laureato; l’altro, meno solenne, che veniva denominato ovazione. Lasciando queste cose ai mondani, conferma di ricevere onore nel nome del Signore. Non è il carro o il cavallo a rendere grandi, sebbene in questo mondo sembrano dare lustro a motivo dell’onore, ma è il nome del Signore che conduce al premio eterno.

Questa figura in greco è chiamata syncresis e in latino paragone, quando, servendoci di un confronto dimostriamo che la mostra ragione è superiore a quella dell’avversario.

9. Quelli si trovarono legati e caddero; noi invece risorgemmo e restammo eretti. Ha precisato in modo decisivo il risultato dei fatti precedenti. Infatti coloro che confidarono negli onori umani, trovandosi irretiti nei propri desideri cattivi precipitarono nella fossa della morte. Poiché stava per dire che sarebbero caduti, ha premesso che erano stati legati, poiché necessariamente dovevano finire a quel modo coloro che si vedevano avviluppare in errori intricati.

È noto che il cristiano risorge in due modi: quando in questo mondo, liberato per grazia dalla morte del vizio, persevera nella giustificazione divina, come attesta Salomone, colmo di sapienza: il giusto cade e risorge sette volte. Si parla poi anche di una resurrezione universale, nella quale i giusti otterranno il premio eterno.

In questo passo è chiaro che si allude ad entrambe, proprio dove ha detto restammo eretti, poiché in ogni resurrezione i fedeli si rialzano insieme dalla miseria e sono innalzati al premio divino. Questa affermazione viene espressa nei vari passi dall’immagini stesse, come quando diciamo che abbiamo fatto cadere gli avversari e affermiamo di essere rimasti in piedi.

10. Signore, salva il re e ascoltaci nel giorno in cui ti invochiamo. Il profeta, animato dal desiderio dei beni futuri, chiede di nuovo che accadano quelle cose che sapeva sarebbero avvenute. Dice al Padre: salva il re, ossia che il Cristo Signore risorga dai morti, ascenda al cielo, interceda per noi, affinché a lungo la nostra preghiera non venga meno ma osiamo continuare a pregare col nostro intercessore, lui che ci ha insegnato a supplicare il Padre, affinché non veniamo stretti dal laccio della morte.

Infine segue questa richiesta: ascoltaci nel giorno in cui ti invochiamo; questo avverrà all’uomo allorquando crederà con convinzione nella resurrezione del Signore e la vedrà nella gioia.

Conclusione del salmo

Il venerabile profeta ci ha insegnato con quale rispetto dobbiamo servire al Cristo Signore: desidera per lui quei beni che sapeva gli sarebbero stati donati poiché è un ottimo costume dei credenti chiedere quelle che desideriamo si realizzino.

In modo simile nella preghiera del Signore veniamo esortasti [a dire]: venga il tuo regno (Mt 6, 10), sebbene venga anche se non lo chiediamo. Il credente tuttavia non vuole trascurare ciò che è certo di poter sperare come realtà futura. Per questo ci affliggiamo nella sua passione e ci rallegriamo nella sua resurrezione. Allora infatti possiamo considerarci suoi, se meritiamo di partecipare all’elargizione dei suoi doni.

Il significato nascosto del numero attuale non può essere rilevato sotto un’unica somma, ma forse viene chiarito se lo si scompone. Il numero dodici può alludere agli apostoli; il sette indica la settimana la quale, senza dubbio, è in riferimento con la prima forma di culto. Questi due elementi, racchiusi in un’unica realtà, riassumono i misteri dell’uno e dell’altro Testamento. Così la preghiera di questo salmo rivolta al Padre contiene i venerandi misteri del Nuovo e dell’Antico Testamento. 3140

Salmo 20

1. Per la fine; salmo di Davide. Il titolo, quindi, è identico a quello del salmo diciannove poiché anche questo fa riferimento al Signore Salvatore, benché da un diverso punto di vista. Nella parte iniziale infatti presenta la preghiera del profeta e la certezza per la quale il popolo cristiano verrà liberato dalle calamità di questo mondo.

Ora svolge un elogio della sua incarnazione e vengono esposte poi le azioni della sua divinità, affinché tutti si persuadano che colui che è il figlio di Maria sempre vergine è il Verbo del padre.

Noi crediamo, in vista della salvezza, che in Cristo Signore vi siano due nature, la divina e l’umana, che durano nell’infinità del tempo senza alcun mutamento. Questa convinzione deve essere ribadita con frequenza, poiché viene sempre ascoltate e creduta per incrementare la vita.

Divisione del salmo

Nella prima parte di questo salmo, troviamo le parole del profeta rivolte al Padre in riferimento all’incarnazione del Signore.

Nella seconda espone le sue prerogative e la sua gloria, manifestando, a partire dai patimenti, a quale magnificenza e onore pervenne, per suo dono.

Nella terza il profeta ritorna al Signore Cristo, e qui, alla maniera di quanti esprimono un desiderio, attende con ardore che avvengano col suo giudizio quei mutamenti che sapevano ci sarebbero stati.

Spiegazione del salmo

2. Signore, il re si rallegrerà della tua potenza e esulterà grandemente della tua salvezza.

Signore, dice il profeta al Padre: nella tua potenza, cioè nell’onnipotenza della tua maestà, nella quale anche il figlio regna, come dichiara egli stesso: tutte le cose del Padre sono mie e tutte le cose mie sono del Padre (Gv 17, 10). Si rallegrerà il Re, si rallegra Gesù Cristo, del quale viene detto in un altro salmo: Dio da al re il tuo giudizio e al figlio del re la tua giustizia (Sal 71, 2); sul titolo sulla croce fu scritto: re dei giudei (Mt 27, 37).

Segue: ed esulterà grandemente della tua salvezza, ossia per il fatto che per mezzo di lui hai salvato gli uomini, il Figlio tuo, che è Salvatore, esulterà. Ha aggiunto anche grandemente: quanto è grande la larghezza del beneficio, altrettanto sia l’intensità della gioia.

3. Hai esaudito il desiderio della sua anima e non l’hai deluso nella richiesta delle sue labbra. Enumera il profeta al Cristo Signore secondo l’uso umano quali opere grandi e gloriose abbia accumulato. Il desiderio della sua anima fu quello, come si dice nel vangelo: ho desiderato ardentemente mangiare con voi la Pasqua (). Questo schema viene chiamato tautologia, cioè ripetizione dello stesso discorso; come nel caso: benedicendo, ti benedirò; oppure moltiplicandolo, moltiplicherò il tuo seme.

Lui solo, tuttavia, ha desiderato ardentemente di morire, quando si offriva ad essere immolato per la salvezza di tutti, per redimere il mondo col suo sangue prezioso e per impedire al diavolo di devastarlo ancora con una arroganza presuntuosa.

Espresse la richiesta delle sue labbra quando comandava agli spiriti immondi, quando risanava le diverse malattie con il comando della sua parola, e imprimeva le sue esortazioni nelle menti devote.

Sappiamo che in nulla il suo desiderio è stato deluso: tutto ciò che comandò venisse fatto, si realizzò; come è stato scritto: tutto ciò che ha voluto, lo ha fatto nel cielo e sulla terra (Sal 134, 6).

4. Lo hai prevenuto con una benedizione di dolcezza; hai posto sul capo una corona di pietre preziose. Dopo il silenzio del diapsalma, incomincia la seconda parte e qui, con uno splendore degno di ammirazione, descrive la potenza della sua incarnazione.

L’espressione lo hai prevenuto, significa che l’umanità viene sempre adornata per un dono anticipato della grazia divina. Nessuno per primo gli offre qualcosa, se non un bene che gli è già stato elargito da un dono celeste. Si vergogni il pelagiano! Egli osa affermare che sia una [possibilità] della natura umana quella capacità che invece essa ha ricevuto dalla incarnazione immacolata del Verbo, come si legge [nel salmo].

La benedizione di dolcezza gli fu impartita quando gli fu detto: Questi è il figlio mio diletto, nel quale mi sono compiaciuto (Mt 3, 17).

Hai posto viene detto in modo metaforico da coloro che, dopo grandi fatiche, vengono coronati, con un premio meritato. Questo si può attribuirlo in modo corretto alla natura umana, che ha ricevuto dalla divinità ciò che non aveva in proprio. Sul capo, dobbiamo intendere che questo discorso và riferito a quanto riguarda la sostanza corporale. Del resto la divinità non ha membra perché essa è si trova ovunque nella pienezza e nella perfezione. La corona significare non impropriamente il gruppo dei discepoli che si muovevano con lui, visto che la cerchia degli apostoli che erano desiderosi [della dottrina] lo seguiva mentre insegnava. Questa era il serto sul capo, questo il diadema regale, che non abbelliva colui sul quale era posto ma piuttosto esso stesso veniva adornato da Cristo Signore. In questa corona potremo intravedere giustamente la cerchia dell’universo, con la quale è simboleggiata la Chiesa universale. Questo schema viene detto designazione (characterismos), cioè denotazione o descrizione la quale descrive una realtà assente o una persona [vista] con occhi interiori. Questo vale sia nel caso di un elogio come nel caso di una disapprovazione.

5. Vita ti chiese e gli hai donato una estensione di giorni nei secoli dei secoli. Vita significa la risurrezione, che Egli chiese dicendo: Padre, glorifica il Figlio tuo (Gv 17, 1).

Estensione di giorni nei secoli dei secoli, cioè una perennità che non viene mai meno, che non viene limitata da alcun confine. Ricorda, però, che queste cose ed altre simili vengono dette in considerazione della sua passione.

6. Grande è la sua gloria nella tua salvezza; gli hai posto sul capo gloria e grande onore. All’inizio del versetto ha posto un’affermazione che espone in seguito. La grande gloria della santa incarnazione sta nel Salvatore, cioè nel Verbo del Padre.

Tuttavia l’intuito umano non poteva cogliere questa gloria se egli non l’avesse espresso chiaramente nei versetti successivi in una spiegazione ammirevole. Questo schema viene detto esposizione (epexegesis), in latino spiegazione. La gloria e il grande onore, infatti, sembrano indicare il momento del giudizio: dove apparirà grandissimo nella sua divinità, ricevendo gloria dal giudizio e onore dalla sua maestà.

7. Poiché darai a lui una benedizione nei secoli dei secoli; lo allieterai nella gioia col tuo volto. Gradatamente scende per manifestare la gloria ricevuta da Cristo Signore, glorificato dal Padre nella sua carne. Dichiara che Egli è posto in una benedizione che non può venir meno per alcun limite.

Veramente queste parole devono essere oggetto di riflessione con una devota meditazione, poiché solo così potrà illuminarsi per noi il mistero di una realtà tanto grande. Già in riferimento a molti passi abbiamo detto che il loro contenuto doveva essere riferito alle membra, visto che non poteva essere adatto allo stesso Signore Salvatore. Del resto i nostri padri si sono comportati così nella spiegazione di passi simili a questo.

Perciò lo allieterai nella gioia col tuo volto, lo dobbiamo riferire ad un fedele qualsiasi, in riferimento al quale anche un altro salmo dirà: i retti abiteranno col tuo volto (Sal 139, 14). Egli appare così unito al Verbo, tanto da essere colto, senza dubbio, come un’unica persona. La Chiesa cattolica non consente che questo possa essere attribuito al Cristo.

8. Poiché il re ha posto la speranza nel Signore e nella misericordia dell’Altissimo non sarà mai scosso. Spiega il motivo per il quale ho ottenuto un dono così grande: questo re, che nel corso della sua passione era stato proclamato tale in una iscrizione in tre lingue, aveva posto la speranza nel Signore nella sua umanità. In questo modo apprendiamo che la sua misericordia non può giungere fino a noi se non impegnandoci in una preghiera supplichevole.

Riporta in seguito la causa probabile di questa eternità: chi continua a sperare nella sua gloria, non si lascerà smuovere dalla misericordia del Padre. Lo attesta anche Salomone: chi ha sperato nel Signore ed è rimasto deluso? (Sir 2, 11). Anche in un altro salmo dice: protegge tutti coloro che sperano in lui (Sal 17, 31).

Nel salmo primo aveva usato il sillogismo categorico e nel settimo quello ipotetico, ora ci rimane di esporre soltanto l’enthymema (riflessione). L’enthymema, tradotto in latino con concezione della mente, è un sillogismo, formato da una proposizione e da una conclusione; i dialettici lo chiamano sillogismo retorico, poiché gli oratori se ne servono con frequenza come scorciatoia.

Esso è svolto tale forma: chiunque spera nel Signore, esulterà e si rallegrerà nella sua misericordia; io, allora, esulterò e mi rallegrerò nella sua misericordia. Appartiene alla terza categoria di sillogismi, grazie ai quali i dialettici sviluppano, in finissime argomentazioni, quanto cercano di dimostrare.

Non stupirti se in questo contesto non riscontri gli stessi termini che i dialettici hanno creato in un lungo periodo per istruire gli inesperti; nelle trattazioni sacre, la trattazione si impone da sé e con libertà di termini. Ora vediamo gli altri versetti.

9. La tua mano sia scoperta per tutti i tuoi nemici; la tua destra scopra tutti quelli che ti odiano. Giunge alla terza parte nella quale egli desidera che Cristo Signore compia ciò che, come aveva saputo, avrebbe dovuto fare.

Dice, infatti: la tua mano sia scoperta, cioè si riveda la tua azione: che tu converta i tuoi travagliati nemici, che si allontanano dai tuoi comandi per il piacere mondano, dei quali dice l’apostolo: se mentre ancora eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, molto di più ora che già siamo stati riconciliati, saremo salvi (Rm 5, 10).

Costoro, poi, vengono considerati dei nemici, finché si lasciano ingannare dai maneggi del diavolo; tuttavia, quando ritornano al Cristo Signore, vengono considerati servi, figli ed amici.

Segue: la tua destra scopra tutti quelli che ti odiano. Qui si richiama l’attenzione al momento del giudizio quando la destra del Padre, cioè il Signore Salvatore giudicherà il mondo e coloro che lo odiarono sono condannati ad una pera eterna.

10. Li porrai come una pentola infuocata nell’ora del tuo volto. Il clibano è [un forno], per la cottura del pane, di forma rotonda, ricavata da un vaso di bronzo, il quale si surriscalda all’interno per la fiamma accesa. I peccatori giustamente vengono paragonati ad esso, perché nel giudizio futuro verranno martoriati dal dolore dell’animo e dal tormento della pena, poiché hanno condotto l’esistenza, con una deliberazione ostinata, in opposizione alle leggi del Signore. L’ora del volto del Signore è il giorno del giudizio, quando il figlio dell’uomo sarà visto da tutti ma solo i giusti vedranno lui contemplando la sua divinità.

Ricorda poi che in precedenza aveva usato la figura del characterismos a lode di Cristo Signore e per mezzo di esso celebrò il suo onore e la sua gloria, in molteplici pregi di grazia. Ora, servendosi della stessa figura dice che i suoi nemici saranno tormentati da vari supplizii, così che quanto Egli appare degno di stupore, altrettanto questi risulteranno detestabili.

Il Signore li sconvolgerà nella sua ira e il fuoco li divorerà. Viene descritto il processo con cui si svolgerà il giudizio, con una descrizione molto appropriata. Afferma che quei peccatori che si tormentano da soli a motivo della malvagità delle loro azioni, saranno sconvolti dall’ira del Signore, quando udiranno: andate nel fuoco eterno (Mt 25, 41); saranno colpiti da questa sentenza per essere consumati da un fuoco eterno. Il comando di Dio non viene seguito da alcun indugio e non appena si esprime nella sua decisione, si realizza. Questo fuoco consuma per conservare in vita, conserva per tormentare, darà ai miseri una vita di morte e una punizione che si rinnova.

11. Disperderai dalla terra il loro frutto e il loro seme dai figli degli uomini. Il loro frutto si sarebbe insediato nella terra dei viventi, se avessero creduto al Figlio di Dio. Al contrario poiché si opposero ai suoi comandamenti con pervicacia, persero giustamente quel frutto di beatitudine. Il loro seme sono le intenzioni e le azioni dei peccatori. In modo appropriato vengono chiamati semi, perché da essi spunta per ognuno di loro una retribuzione corrispondente al loro operato.

12. Hanno riversato contro di te il male, hanno architettato un progetto che non poterono eseguire. Diciamo che si fa riversare il male quando lo si fa cadere su altri, oppure quando si percuote senza che ci sia stata una colpa e questo è quanto è accaduto nella passione del Signore. I giudei, infatti, pensavano che l’impero romano sarebbe diventato per loro pericoloso, se avessero accolto come re il Signore Salvatore; sono stati visti intenti a riversare il male contro di lui, quello che credevano sarebbe caduto su di loro a causa della vendetta dei romani.

Hanno architettato un piano dicendo: conviene che uno solo muoia per la salvezza di tutti (Gv 11, 50). Non poterono eseguirlo, cioè portarlo a termine secondo il loro desiderio. Ignorando la verità, dissero: conviene che uno solo muoia per tutti. Pronunciarono una verità ma lo fecero a favore di un progetto malvagio; perciò a causa di quest’azione subiranno una pena perché non si comportarono secondo retta coscienza. Questa figura viene chiamata amphibologia, cioè affermazione ambigua, perché fa emettere una sentenza incerta. Per consiglio si intende una decisione stabilita per fare o non fare qualcosa.

13. Li rovesci all’ingiù; disporrai il loro volto verso ciò che rimane di te. I giudei vennero posti all’indietro, quando gustando le cose della terra a causa dei loro vizi, non poterono meritare di contemplare le cose celesti. Il loro volto, ossia la loro cattiva intenzione, si rivolse ai resti del Signore, cioè alla sua passione; mentre essi pensavano di infliggergli un danno mortale, si realizzava in modo perfetto la salvezza di tutti.

14. Innalzati, Signore, con la tua potenza; canteremo e onoreremo le tue azioni.

Viene detto innalzare, ossia rendere grandi con la resurrezione. Si è visto che è stato innalzato dall’umiliazione accolta, quando è stato dimostrato che era risorto nella sua gloria. Nella tua potenza, nella divinità del Verbo, per la quale affermò: ho il potere di offrire la mia vita e il potere di riprenderla nuovamente (Gv 10, 18).

Cantare è proferire con la bocca le parole del Signore. Salmeggiare è osservare costantemente i comandamenti divini con le buone opere. Queste sono le due cose che si richiedono da noi in assoluto: cantare fedelmente le lodi del Signore con la bocca e adempiere i suoi comandamenti con le nostre opere.

Conclusione del salmo

È stata posta davanti a noi l’immagine del re celeste, in una presentazione perfettamente aderente alla verità. Voleva che il mondo, con l’ascolto [della predicazione], credesse che era venuto colui che i giudei non meritarono di riconoscere mentre era presente.

Ricordiamo poi che questo salmo è il terzo fra quelli che abbiamo raccolto come testi che parlano con evidenza delle due nature. Troverai che questa norma è custodita in tutti e così in quei salmi vengono dichiarate le due nature e l’unicità della persona. Di conseguenza, mediante questa sintesi salutare e breve, vengono confutati sia quelli che parlano mentendo di due figli, sia coloro che, con una astuzia perversa, inventano falsamente un’unica natura a Cristo Signore.

Ditemi, voi che vi considerate dei grandi sapienti, che significato ha l’affermazione pronunciata dall’apostolo rivolta agli ebrei: allora anche il Figlio si sottometterà a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti (1 Cor 15, 28)? Infatti se dall’umanità e dalla divinità si formasse un’unica natura, come voi pensate, quale sostanza, vi chiedo, potrebbe essere sottomessa al Padre in eterno?

Non vi rimane altro che lasciarvi assorbire dall’arianesimo. È necessario invece confessare che il Verbo può essere sottomesso al Padre, sebbene alcuni Padri abbiano pensato che questo discorso era riferito alle membra del Cristo. Per cui ti è sembrata forse una cosa da poco che tu fossi trattenuto a tuo danno nell’errore di Etiche se non subentrava anche la calamità ariana a comprimerti con un doppio peso? Ogni autore è stato condannato per il proprio errore; quanto a te, che cosa posso fare, tu che sei condannato da un duplice errore? Poco fa, per controbattere, in un baleno, hai considerato ortodosso un nestoriano. Testimoniano contro di te i tuoi stessi giudizi; consideri questa convinzione un crimine a carico di altri, ma è la stessa, come tu sai, che è diventata una tua persuasione.

Troviamo ora l’unione duplicata del numero di una decina e come questa coppia designa un’unica somma, cosi questo salmo proclama come unico Signore l’autore dell’uno e dell’altro testamento. Giace in queste decadi una grande potenza e per quante volte si raddoppiano, altrettante volte stanno ad indicare i misteri di realtà sublimi.

Salmo 21

1. Per la fine, per il soccorso mattutino, salmo di Davide. È stato spiegato più volte che cosa significhi per la fine, salmo, e Davide. Ci rimane da spiegare [il senso dell’espressione] soccorso mattutino, che ora riconosciamo come nuova. Il soccorso mattutino è il tempo della risurrezione, come dice nel Vangelo: il giorno dopo il sabato, molto presto, Maria si reca al sepolcro ecc.

Il soccorso avvenne quando Cristo Signore, abbandonata la condizione del corpo mortale, [propria] dell’uomo vecchio, ricevette, glorificato, una grande gloria e a lui si piega ogni ginocchio, in cielo, sulla terra e sottoterra (Fil 2, 10). Si intende per mattutino, quasi un primo frutto del mattino, un tempo che, in innumerevoli passi, è usato per indicare la resurrezione del Signore.

Si osserva che in questo salmo si parlerà a lungo della sua passione; vediamo allora per quale motivo il suo titolo abbia voluto ricordare soltanto la resurrezione. Spesso un avvenimento accaduto in precedenza, viene richiamato da quello che lo segue. Quando diciamo che si è fatta mattina, pensiamo alla notte che l’ha preceduta; analogamente se diciamo che un uomo è stato affrancato, comprendiamo che in precedenza era stato uno schiavo, e altri esempi simili. Questa figura viene chiamata sineddoche, perché attraverso un avvenimento avvenuto in seguito, cogliamo quello che lo ha preceduto.

Perciò non c’è da dubitare che la menzione esplicita della resurrezione rimandi nondimeno alla beatissima passione.

Da questo possiamo comprendere del tutto quale sia il valore e la fama del salmo, che ha intitolato col nome della luce del mattino: infatti si sa che la passione di Cristo Signore, che racconta, è stata permessa in vista della salvezza del genere umano.

Divisione del salmo

Lungo tutto il salmo parla Cristo Signore. All’inizio proclama di essere stato abbandonato dal Padre sicuramente per poter affrontare la passione già preordinata, affidando la sua inconcussa umiltà al disprezzo degli uomini. Nella seconda parte ha profetato la passione sacra servendosi di molteplici immagini, ed invoca di essere liberato, con la protezione divina, dai suoi nemici che lo aggrediscono. Nella terza parte esorta i cristiani a lodare il Signore, perché con la sua resurrezione ha guardato alla Chiesa cattolica, affinché, dopo essere venuta a conoscenza di un prodigio così grande, permanesse con costanza nella fede salvifica: per impedire che il cuore degli uomini, lento a capire, non venisse sconvolto al solo annuncio della passione. Ascoltiamo dunque questo salmo con maggiore sollecitudine, almeno un poco di più, poiché esso può colmare di stupore per la grandezza dei fatti; potremo conoscere, grazie alle esortazioni del Capo stesso che cosa in questa vita si deve disprezzare e in che cosa si deve sperare. Sebbene molti salmi abbiano ricordato brevemente la passione del Signore, nessuno l’ha descritta con tanta precisione, al punto che esso più che una profezia sembra un racconto.

Spiegazione del salmo

2. Dio, Dio mio, guarda a me: perché mi hai abbandonato? Sono lontane dalla mia salvezza le parole dei miei delitti. Cristo Signore che prevede e preordina ogni cosa, che conosce ogni avvenimento futuro, come se fosse turbato dalla passione vicina, grida: Dio, Dio mio. Queste parole, tuttavia, devono essere considerate come se provenissero dalla sua umanità.

Chiamo natura la forza e il vigore di un vivente. La ripetizione stessa, infatti, mostra l’affetto di una preghiera di intima relazione. Con quel nome ripetuto il Figlio carissimo lo invocava, perché sapeva che gli avrebbe donato non una salvezza mondana ma lo splendore della maestà eterna.

Dio è un termine greco, tradotto in latino con timore. Per questo, come penso, i nostri antenati hanno voluto che Dio venisse chiamato così dal timore. Per questo uno dei poeti pagani afferma: la paura per prima ha creato le divinità sulla terra (Cf. Stazio, Thebais III, 661).

Quando dice: Guarda verso di me, invoca che venga per lui prontamente il soccorso della risurrezione.

Segue perché mi hai abbandonato? Sappiamo che questo perché suscita un certo interrogativo. Come mai quel Maestro di sapienza, consustanziale al Padre e suo Rivelatore, è così turbato nell’avvicinarsi della morte della sua carne, da chiedere al Padre, per quale motivo lo abbia abbandonato, come se non ne sapesse nulla? Ma questa e altre espressioni simili cercano di esprimere i suoi sentimenti umani. Del resto non dobbiamo pensare che nella passione fosse assente la [sua] divinità, visto che l’apostolo dice: Se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1 Cor 2, 8). Ma l’Impassibile ha sofferto per mezzo dell’umanità assunta, soggetta al dolore, l’Immortale è morto e Colui che non può morire è risorto.

A questo proposito il padre Cirillo ha detto molto bene: per grazia divina gustò la morte (Eb 2,9) per tutti, consegnando a lui il proprio corpo, sebbene per natura sia la vita stessa e la resurrezione dei morti (Cf. Epist. Synodica, edid. Schwartz, Acta Conc. Oecum. I, 5, 2, p. 239).

In modo analogo il beato Ambrogio: ugualmente pativa e non pativa, moriva e non moriva, era sepolto e non era sepolto, risorse e non risorse (De incarnatione dominica 5, 36 PL 16, 862 sq).

Così a proposito dell’uomo diciamo anche oggi che patisce, muore e viene sepolto, sebbene la sua anima non venga racchiusa da alcun limite. Nella modalità di un interrogativo attesta di essere stato abbandonato, perché non avrebbe potuto davvero essere consegnato nelle mani degli empi, se la potenza della sua maestà non avesse permesso che accadesse, come è detto nel vangelo: non avresti su di me alcun potere, se non ti fosse stato dato dall’alto (Gv 19, 11).

La natura umana che riceve [il male] si lamenta delle cose che patisce, rifiutando espressioni blasfeme e mormorazioni empie; dice infatti che ha allontanato da sé le parole che danno origine al peccato. Era una prova di salvezza per quella santa anima non pronunciare parole da empio, ma saper sopportare volentieri con la virtù della pazienza ciò che doveva soffrire per un piano divino, come Egli stesso dichiara nel vangelo: Padre, se è possibile, passi da me questo calice e poi aggiunge: Tuttavia non come voglio io ma come vuoi tu (Mt 26, 39).

Dice, poi, a nome delle sue membra: le parole dei miei delitti (Sal 68, 6). Colui che non aveva commesso peccato, sta dichiarando che i nostri delitti erano peccati suoi, come dirà in un altro salmo: Dio tu conosci la mia stoltezza e miei delitti non ti sono nascosti (Sal 68, 6).

Ascoltiamo dunque la voce delle membra che si esprime per bocca del Capo e comprendiamo come colui che si è offerto come vittima per la salvezza di tutti, a buon diritto ha parlato a nome nostro, per cui l’apostolo dice: Colui che non aveva conosciuto peccato, divenne peccato per noi (2 Cor 5, 21). Infatti nella legge stessa venivano chiamati peccati anche le [vittime] che venivano offerte per i peccati.

3. Dio mio chiamo di giorno e non rispondi, di notte e non per la mia stoltezza. L’umanità del Verbo gridava di giorno, perché non era avvolta dalla tenebra del peccato; ciò nonostante non risulta che sia stata ascoltata, sebbene nessun torto [commesso] avesse potuto ostacolarla. Osservi questo fatto il genere umano così pronto alla lamentela, che vuole che le sue richieste siano accolte senza alcun indugio. Chiede, come ho detto, l’umanità del Verbo, che meritava di essere ascoltata; tuttavia non risulta che sia stata ascoltata, affinché lavasse con il suo sacro sangue gli ignominiosi peccati del mondo.

Impariamo da questo e da altri esempi. Paolo chiede che gli venga tolto il pungolo della carne, ma non viene ascoltato da Dio (2 Cor 12, 7-9). Il diavolo prega perché Giobbe, un uomo santo, venisse scosso da una disgrazia pesantissima e risulta che gli è stato concesso all’istante (Gb 2, 1-6). L’apostolo non era esaudito nel suo desiderio in vista della sua glorificazione mentre il diavolo veniva ascoltato in vista della pena. Così spesso è vantaggioso non essere esauditi, sebbene i desideri inappagati ci deprimano. Ha aggiunto anche di aver chiamato lungo la notte, cioè nella tribolazione, quando anche i peccatori vengono esauditi con frequenza.

Aggiunge: non una mia stoltezza; è sottinteso considererai. Sono due i generi di domande. Quando chiediamo onori, ricchezze, la vendetta sui nemici e altre cose di questo genere, esprimiamo dei desideri stolti, poiché desideriamo dei beni mondani; quando invece chiediamo di essere liberati dai pericoli, o che ci sia concessa la vita eterna, non chiediamo stoltamente, ma in modo opportuno. Cristo, il mediatore tra Dio e gli uomini, invocava non con insipienza ma in maniera opportuna e tuttavia non pare che sia stato ascoltato, perché stava per compiersi la redenzione del mondo, per un progetto divino.

4. Tu abiti nel santo, lode d’Israele. Dopo aver detto di non essere stato ascoltato, temendo che qualcuno pensasse che Dio Padre non amasse il proprio Figlio, perché si era rifiutato di esaudirlo, proprio quello del quale aveva testimoniato: Questi è il Figlio mio diletto, nel quale mi sono compiaciuto (Mt 3, 17), aggiunge un segno di amore grande: Tu abiti nel Santo, o lode d’Israele. Abiti nel santo: dichiarò la sua incarnazione; come dice in un altro passo: Custodisci la mia anima, perché sono santo (Sal 85, 2).

Lode d’Israele: a modo di definizione dichiara chi sia il Padre, cioè lode d’Israele. Essere Dio dei vedenti è un motivo di lode vera, Egli che concede ai suoi santi ogni gloria. Troviamo il terzo genere di definizione, che in greco viene detta poiotes e in latino qualitativa. Dicendo queste cose, manifesta con evidenza chi sia, quale sia il suo valore, il motivo per cui agisce, quale sia la sua natura.

5. In te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati. Affinché non accadesse che qualcuno considerasse un [prova] dell’ insensibilità del Padre, il fatto che il Figlio abbia confessato di non essere stato ascoltato, come si è detto, vengono esposte brevemente da lui le azioni compiute. Liberò infatti il popolo d’Israele dalla terra d’Egitto; salvò i tre fanciulli dalla fornace, liberò Daniele dalla fossa dei leoni e tutte le altre vicende innumerevoli che accadono o che vengono raccontate. Mentre ha donato e continui a donare questi benefici tanto grandi a coloro che lo invocano, tuttavia non risparmiò il proprio Figlio ma lo diede per tutti noi (Rm 8, 32), per adempiere le Scritture e perché dalla passione derivasse la salvezza del mondo.

I padri suoi, quelli definiti così da Cristo Signore, devono essere considerati tali nello stesso senso con il quale ha chiamato fratelli suoi gli apostoli, come disse nel vangelo dopo la sua risurrezione: Và dai miei fratelli e dì loro: salgo dal Padre mio e Padre vostro (Gv 20, 17).

6. A te gridarono e furono salvati; in te sperarono e non rimasero delusi. è assai sicura quella decisione che mostra di realizzarsi. è necessario, allora, che chi invoca il Signore ascolti ciò per sua utilità. Quante volte gli increduli pensavano che i martiri non fossero ascoltati, mentre venivano eliminati da una sofferenza fisica, mentre coloro che meritarono di ottenere la corona del martirio sono stati piuttosto ascoltati in tutto. Il Signore dunque ascolta sempre i suoi giusti ma nel modo con cui egli sa che conviene loro.

Non trascurare il fatto che spesso abbia ripetuto sperarono. Si tratta di quella figura che viene detta in greco epembasis, in latino ripetizione, [e si verifica] quando, attraverso dei singoli elementi, le parole raddoppiano fino alla massima espressività. Non rimasero delusi perché è chiaro che giunsero al premio. Infatti non viene deluso colui che mostra di poter raggiungere il proprio desiderio.

7. Io infatti sono verme e non uomo, obbrobrio degli uomini e abiezione del popolo. Questo viene detto mediante la figura della tapinosin, che in latino viene chiamata umiliazione, [e si verifica] tutte le volte che una grandezza straordinaria viene paragonata a cose umilissime, come l’apostolo dice: ha scelto le cose deboli del mondo, per confondere le forti (1 Cor 1, 27).

Verme: esso sembra degno di disprezzo per la grande bassezza ma contiene immagini di un grande mistero: nasce senza accoppiamento, striscia sulla terra umilmente, si sposta senza strepito. Se pensi a tutto questo, capisci perché il Signore Cristo venga chiamato opportunamente verme.

È verme perché mortale, perché è nato dalla carne senza commistione di seme umano, perché le sue vie furono silenziose e umili. Il Creatore si paragona alle sue creature più umili, perché tu non considerassi deprezzabile ciò che sa bene di aver plasmato come suo Creatore: Dio fece ogni cosa molto buona (Gen 1, 31).

Così anche lo stesso Davide, seguendo il Maestro, si è paragonato alla piccolissima pulce (1 Re 26, 20). La stessa virtù della religione consiste in questo: quanto più uno si umilia ad esempio del Creatore, tanto più grandemente viene innalzato alla gloria.

Non uomo, cioè non peccatore, perché non poté essere nel peccato. Viene detto uomo in quanto partecipe della natura umana. Viene detto non uomo, in quanto non commise peccato che è proprio dell’uomo. Infatti anche il diavolo nel vangelo viene chiamato uomo, come è detto in quel passo: un uomo nemico seminò sopra la zizzania (Mt 13, 25). Per cui questo nome risulta essere un omonimo. Divenne un obbrobrio degli uomini quando lo coprivano di sputi innumerevoli e lo colpivano con schiaffi sacrileghi. Divenne rifiuto del popolo quando Ponzio Pilato lo mise in potere della folla, mentre egli aveva pensato di rilasciarlo; gli preferirono Barabba e respinsero il Cristo Signore (Mt 27, 17-23).

8. Tutti quelli che mi vedevano, mi deridevano; parlavano con le labbra e scuotevano il capo. Tutti, deve essere riferito soltanto ai malvagi, infatti se vi aggiungi anche i fedeli, la frase non sta più in piedi. Questa figura in greco è chiamata sineddoche e in latino una parte per il tutto. Deridevano i giudei il Signore Salvatore, quando dicevano: Ha salvato altri ma non può salvare se stesso (Mt 27, 42) e altri scherni. Giustamente ha detto che essi parlavano con le labbra. Costoro infatti parlavano con le labbra e non con il cuore, perché non avena presa alcuna ferma decisione. Che cosa affermavano costoro con le labbra? Se è Figlio di Dio, discenda dalla croce (Mt 27, 40). Sembrava che soltanto le labbra facessero risuonare questo discorso visto che il loro animo era incostante. Per convincerti che essi agivano spinti da ira e non per convinzione, ha aggiunto, scossero il capo, un gesto che si fa per minacciare più che per giudicare.

9. Ha sperato nel Signore, lui lo liberi; lo salvi, poiché lo vuole (Mt 27, 43). Questo venne proferito da i giudei con un genere detto in greco ironia e in latino irrisione, mostrando ben altro di quanto ci si sforza. Queste parole soprattutto sono tipiche del vangelo; affermavano infatti i giudei, mente egli pendeva dalla croce: ha sperato nel Signore, lo liberi ora se lo vuole! Quanto è grande la coerenza del cielo! Non sembra forse che qui stiamo meditando sul Vangelo anziché sul salmo, quando con tanta esattezza si corrispondono, così da sembrano che non si parli di fatti del futuro ma del passato? Questo venne fatto giustamente per non lasciare alcun motivo di scusa agli increduli e alcun motivo di incertezza ai fedeli.

10. Sei tu che mi hai estratto dal ventre, mia speranza dalle viscere di mia madre. Dal ventre cioè da quello verginale, perché egli già allora, sottratto alla corruzione del peccato originale, uscì come uno sposo dalla stanza nuziale (Sal 18, 6). Quindi si dice sottratto da ciò che rende colpevole l’umanità.

Oppure si deve pensare che egli allude a quest’altro fatto: a ragione si diceva estratto dal Signore dal ventre della madre, per manifestare la sua natività divenuta perfetta per la potenza del Signore. In questo modo il parto verginale non sembra incredibile, considerando che si è compiuto grazie all’azione del Signore.

Inoltre per manifestare che era perfetta l’esistenza umana che si è degnato di assumere e di manifestare, ricorda che fin dall’inizio della vita ha posto nel Signore la sua speranza. Davvero in questo passo appare una santità incomprensibile e una grandezza singolare. A chi altro fu dato di conoscere la divinità, fra quanti sono stati nutriti finora dalle mammelle della madre? Da bambino diceva ciò che, altri a stento possono afferrare nella maturità.

11. Su di te sono stato gettato dall’utero; dal seno di mia madre sei tu il mio Dio. Come uomo ha pronunziato queste parole. Se dice di essere stato gettato nel Signore, mostra di essere stato separato dalla malvagità umana.

Il discorso successivo: dal ventre della madre, si riferisce all’errore della sinagoga, da dove si sa che è stato espulso per la mala fede dei giudei.

Del resto senza Dio non avvenne neppure il concepimento. Se un uomo è concepito nell’iniquità, per quanto riguarda l’incarnazione di Cristo Signore, già alla stessa origine, si dice che la sostanza divina è aggiunta e unita all’umanità, così come venne annunciato dall’angelo a Maria sempre Vergine: lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà della sua ombra: perciò colui che nascerà da te è santo e sarà chiamato Figlio di Dio (Lc 1, 35).

12. Non allontanarti da me: poiché la tribolazione è vicina e nessuno mi aiuta. Per paura della morte è stata espressa questa invocazione, [pronunciata] da colui che avrebbe detto: Padre, se è possibile, passi da me questo calice (Mt 26, 39). Chiama tribolazione il pensiero della morte, che sarebbe avvenuta molto più avanti, dopo secoli. La rivela perciò come prossima per manifestare l’amarezza della passione nella sua vera carne.

Da una parte perché è vicino a lui tutto ciò che accadrà in futuro, come dice il profeta: mille anni ai suoi occhi è come il giorno di ieri che è passato (Sal 89, 4). Dall’altra parte la chiama prossima perché l’avrebbe sofferta nella sua stessa carne.

Infatti chi subisce dei danneggiamenti nelle ricchezze, nella perdita dei figli, nella sottrazione dei beni o soffre altre disgrazie di questo genere, sa che deve sopportare questi mali come realtà a lui estranee; invece chi soffre nella sua carne, allora la sofferenza viene vicino a lui.

Quanto dice in seguito: nessuno mi aiuta, mostra la purezza dell’orante e la forza della divinità: infatti se non è Dio ad aiutare, non c’è nessuno che liberi dal pericolo. Vediamo se talora dobbiamo separarci da Lui, noi che non possiamo essere salvati da nessuno se non soltanto dalla sua misericordia.

13. Mi hanno accerchiato molti vitelli, pingui tori mi hanno assalito. Ha terminato la preghiera, che sempre ha premesso alle sue sofferenze, come testimoniano i resoconti degli evangelisti nel tempo in cui hanno trasmesso tutto questo. Non volendo che i fedeli, in attesa di essere esauditi, presumessero in modo sconsiderato, di essere ascoltati subito, giunge alla seconda parte dove, con l’uso di immagini allegoriche, rivela il mistero della sua crocifissione.

Osserva come ponga il futuro come passato, per persuadere i giudei dal cuore duro, ponendolo come un fatto già verificato.

Questa figura viene chiamata prolessi, in latino anticipazione, e si usa quando riferisce un avvenimento accaduto in un tempo particolare ma che si reputa ancora come futuro. Tutto questo viene tentato per non fare perire l’incredulo, ma il colpevole si impone da sé perché egli, sebbene sia stato ammonito tante volte, rifiuta di accondiscendere.

I molti giovenchi sono, come è evidente, i popoli dei giudei. Essi, trascurato il giogo di Dio, si sono abbandonati ad ogni licenza con una sfrontatezza insana; nello stesso tempo sono insolenti e vani, perché non trattengono i loro passi nella moderazione. Ondivaghi e instabili qual sono, portano a compimento dei disegni iniqui quasi andassero a saltelli.

Nei tori pingui designa i capi dei giudei. Costoro, alla maniera di un toro, alzando la loro testa, si gonfiarono nella malizia e nella superbia e con le loro corna crudeli sparsero sangue innocente. A buon diritto poi ha aggiunto pingui. Soprattutto allora questo animale si mostra inquieto, quando è ben fornito di grasso e da mansueto diventa feroce quando viene sollecitato dall’ardimento di un corpo vigoroso.

Se pensiamo che lo parole circondarono siano ancora di grande peso, possiamo riferirle a quelli che cercarono di catturarlo con spade e bastoni; l’espressione mi assediarono [và riferita] a coloro che custodirono il suo sepolcro, perché non venisse rubato in segreto dai discepoli. Per assedio si intende come un attacco dei nemici, cioè una cerchia ostile.

14. Aprirono verso di me la loro bocca, come leone che rapisce e ruggisce. Viene introdotta un’immagine presa dal mondo delle fiere, le quali aprono avidamente la bocca quando tentano di mangiare qualcosa. Verso di me, ossia contro di me, quando dicevano in un detestabile assembramento: crocifiggilo, crocifiggilo (Lc 23, 21). La loro bocca, ossia di loro, poiché la sapienza non aprì a loro, ma la dischiuse il pensiero scellerato. Ascoltino entrambi i casi i Pelagiani, quando i giudei hanno proferito cattiverie, essi aprirono la loro bocca. Nel caso positivo si legge: Signore, apri le mie labbra e la mia bocca annunzierà la tua lode (Sal 50, 17).

Riguardo alla frase come leone che rapisce e ruggisce: il rapire ha attinenza con la sedizione insana, quando condussero lui, dopo averlo rapito, presso il tribunale del governatore per essere interrogato; il ruggire con le grida blasfeme, con le quali gridarono: Crocifiggilo, crocifiggilo (Lc 23, 21).

Questo agire giustamente è stato paragonato a quello delle fiere poiché le folle insipienti persero il lume della ragione.

15. Come acqua si sono effuse e disperse tutte le mie ossa. Questo paragone non contiene piccoli misteri. Si sono disperse le sue ossa, ossia cioè i costanti e fedeli apostoli, quando disse loro: vi mando come agnelli in mezzo ai lupi (Mt 10, 16). Allora essi si sono effusi come acqua. L’acqua quando si effonde irriga e deterge; anch’essi, imbibendo la terra con una pioggia divina, hanno deterso la sporcizia dei peccatori.

Il mio cuore, diventato come cera, si liquefa in mezzo alle mie viscere. Chiama cuore la sua volontà, che nelle Scritture divine era nascosta come chiusa. Adempiuta la passione, tutta la verità connessa alla sua venuta è stata rivelata. A ragione poi i misteri della legge vengono paragonati alla cera, perché essa comincia a splendere, quando si dissolve, liquefatta dal calore, per utilità degli uomini.

Chiama suo ventre la Chiesa cattolica: le parole nascoste dei predicatori, quando giunse il tempo della pienezza, si manifestarono. È lo stessa cosa di quando nella passione del Signore il velo del tempio si aprì, con questo avvenimento si sono manifestate le realtà che prima erano conservate nel segreto.

16. Inaridì come una testa la mia virtù e la mia lingua aderì alla mia gola e sulla polvere di morte mi hanno condotto. Non pensiamo che la virtù del Cristo sia stata paragonata alla terra cotta in modo sconveniente, poiché quella indurisce nella fornace e diventa più solida una volta che sia stata cotta, così con la sofferenza la virtù del Signore si è consolidata, mentre prima agli increduli sembrava quasi molle come fango.

La sua lingua significa gli apostoli annunciatori, i quali aderirono le loro gole al Cristo, quando osservano i suoi comandamenti. Rimane unito alla gola del Signore colui che persevera nell’annuncio con l’aiuto divino.

Perché dice di essere ridotto a polvere, mentre la sua carne non ha provato la corruzione? Ma questo và riferito al desiderio dei crudeli giudei. Credevano di aver provocato a Cristo una normale morte e in essa pensavano di averlo condotto fino a ridurlo in polvere. Oppure dice di se di essere stato ridotto in polvere a nome delle sue membra, cioè la Chiesa dal momento che questa è la sorte comune alla condizione umana.

17. Mi hanno accerchiato molti cani, una turba di violenti mi assediò. Qui con grande precisione descrive i misteri della sua passione. I cani si comportano in questo modo: davanti ad uno sconosciuto non si calmano ma continuando ad abbaiare impediscono l’accesso a coloro che non riconoscono con qualche segno di comportamento familiare. I giudei giustamente vengono paragonati ad essi, perché essi non accolsero minimamente il nuovo insegnamento del Signore e contro di lui rivolsero grida assai feroci.

Si tratta davvero di un insegnamento nuovo, come dichiara l’evangelista: vi do un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda (Gv 13, 34); è quanto attesta il profeta Isaia: le cose vecchie sono passate ed ecco che tutto si rinnova (2 Cor 5, 17). In modo charo viene descritta l’iniziativa dei giudei. Si attuò una decisione malvagia quando pensavano di catturare Gesù Signore con l’inganno e di consegnarlo alla morte.

Di violenti, cioè di quelli che si propongono il male. A ragione dichiara di essere stato assediato, poiché in lui stava la città di Gerusalemme, che i nemici della fede cristiana sembravano aggredire in lui stesso.

Hanno forato le mie mani e i miei piedi. Prima di iniziare a parlare della sua Passione, bisogna esaminare per quale motivo abbia scelto per sé questa morte Colui che disse: Ho il potere di dare la mia anima e il potere di prenderla di nuovo (Gv 10, 18). Innanzitutto perché la posizione stessa della croce è situata in modo tale che la sua parte superiore tende al cielo, l’inferiore non abbandona la terra, il tronco raggiunge l’estremità degli inferi, e a somiglianza di braccia estese, la sua ampiezza si rivolge ai confini di tutto il mondo, e protendendosi indica i quattro cardini del mondo.

Collocata in un breve spazio, sembra abbracciare l’universo. Parlo della croce del Signore, la quale da patibolo legale dei peccatori è diventata una felice redenzione; mentre prima provocava la morte ora concede il bene della salvezza: o patibolo di salvezza, morte che indica la vita, umiltà che proclama l’altezza divina;

Affinché tu sappia che Cristo in cielo, Cristo in terra, Cristo per tutto il mondo Cristo perfino negli inferi è presente attraverso il segno della croce. Se fosse stato spezzato col ferro, o consumato dalle fiamme, o coperto da pietre o immerso nei flutti o colpito in precedenza da qualche altro tipo di morte, con quale segno, domando, verrebbe scacciato il diavolo? Con quale vessillo il fronte del Cristiani rimarrebbe solido? Con quale raffigurazione si potrebbe consolidare l’infermità del corpo e dell’anima?

Nessuna morte potè convenire meglio ad una maestà così grande, se non quella che lasciò a noi i segni di una salvezza perfetta. Ha provveduto anche alla nostra fede: quanto più in alto era confitto, tanto più era visto da molti e creduto dai più. Affinché nessuno dubitasse che era Dio, colui che nella cui passione avvenivano tanti e così grandi miracoli, per tutta la terra caddero le tenebre, la terra tremò, le pietre si spaccarono (Mt 27, 45. 51). In questo modo, la passione del mondo testimoniava con evidenza il suo Creatore.

Questa croce meritò di attivare tanti prodigi, perché divenne il tempio del pio Redentore. Per questo a ragione la croce venne eletta da Cristo, nella quale incontrò la morte in modo straordinario sebbene abbia condiviso la sorte di tutti. Sebbene qui, stando al senso letterale, troviamo una semplice narrazione della passione del Signore, tuttavia questa presentazione indica che dobbiamo cogliere qualcosa d’altro, a livello spirituale.

I giudei hanno trapassato le mani del Cristo quando scelsero di non credere per nulla ai suoi miracoli. Le mani significano le opere che il medico celeste attuò nelle malattie di molti uomini, nell’intento di intenerire con la forza di tali segni la loro ostinata durezza.

Hanno scavato i piedi per il fatto che hanno pensato di dover ferire i suoi apostoli, grazie ai quali la fede cristiana si diffuse tra le genti. In questo modo gli avvenimenti futuri sono stati annunciati in questa crocifissione del Signore. Scavarono: non pensiamo ad un fatto transitorio, dal momento che anche la terra getta vari germogli, [soltanto] quando viene arata dalla fatica degli agricoltori. È quanto accade al corpo del Signore Salvatore; confitto coi chiodi, trapassato da una lancia, produsse per noi un frutto che rimane per sempre. Per questo non esitiamo a dire che Dio ha sofferto nella carne, che Dio è morto a vantaggio di tutti.

Per questo il padre Agostino in modo mirabile, secondo il suo costume, ha declamato: era cosa già risaputa che l’uomo morisse ma perché questo non si ripetesse sempre sull’uomo, si è realizzato un fatto nuovo, che Dio sia morto (Sermo 350,1).

In modo simile anche l’apostolo dichiara: Noi predichiamo Cristo e questi crocifisso (1 Cor 1, 23). Per evitare che il figlio della Vergine fosse un altro, come pensano alcuni folli, ha aggiunto: Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, perché ciò che è stolto per Dio, è più sapiente per gli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini (1 Cor 1, 24-25). Che cosa c’è di più stolto e di più debole, come sembra agli increduli, di venir a sentire che Dio, il Figlio di Dio, sia stato crocifisso e poi sepolto?

Ma è piaciuto a Dio salvare i credenti mediante la stoltezza della predicazione. L’incarnazione del Signore si identifica con l’altezza mirabile, con il dono inestimabile e con il mistero inaccessibile della sua misericordia: da questo fatto o giunge la salvezza alle menti rette o viene prodotta la morte a chi ha una sensibilità corrotta.

18. Contarono tutte le mie ossa; mi hanno considerato e osservato. Viene descritta con grande proprietà la forma della croce, in modo tale che ogni corpo sopra di essa appaia allungato, nella misura in cui le sue ossa sembrano numerose alla vista degli uomini e ciò che la carne posta sopra aveva nascosto, apparisse dalla grande estensione del corpo. Vediamo se dobbiamo considerarla una pena o un tribunale, una condanna o una sentenza: lì, come posto su un seggio regale, lascia il colpevole nel suo strepito ed assolve all’istante il fedele. Dopo aver compiuto questo gesto, quel grande Commiseratore del genere umano, manifestò nella confessione improvvisa del ladrone, che cosa stava per donare ai suoi santi.

Hanno contato tutte le mie ossa, ossia [le ossa sono] gli apostoli, oppure gli altri cristiani, [e vennero contate] quando scoppiò la persecuzione dei malvagi giudei, i quali tentavano di annientarli per timore che crescessero nel numero.

Continua parlando dell’ostinazione esecrabile della loro incredulità, perché non si credesse che avevano compiuto ciò in modo transitorio o casuale. Dice che essi hanno considerato e visto eppure il loro cuore di pietra non venne intenerito dal numero dei miracoli. Le pietre si spaccarono, la terra tremò, il sole circondandosi di tenebra, si nascose per non vedere un misfatto tanto grande e (quale sventura!), mentre si svolgeva [tutto questo] alla loro vista, la loro iniquità rimase invariata nel loro sacrilegio.

19. Divisero tra loro le mie vesti e sopra il mio vestito hanne gettato la sorte. Sebbene tutta la passione del Signore contenga grandi misteri, tuttavia in questo caso non saprei dire che cosa potrebbe originare un mistero più grande; dice che alcuni suoi vestiti devono essere divisi, mentre un’altra veste deve essere tratta a sorte.

Quelle vesti che si divisero, significano le Scritture dei profeti o di altri testi divini; gli eretici, stracciandolo con le loro male interpretazioni, si aggregano ai soldati di Pilato nel malvagio laceramento.

La veste, invece che venne sorteggiata, quella che ricopriva la santità del suo corpo, e che viene descritta dall’evangelista come tessuta da cima a fondo (Gv 19, 23), è immagine della Chiesa cattolica che non viene in alcun modo consegnato all’arbitrio umano per essere lacerata, ma sempre viene donata ad ognuno dalla grazia divina, come in sorte, integra e inviolabile. Essa è intessuta a partire dalla parte superiore, e nessuno può dividerla o lacerarla; essendo solida in continua stabilità, si mantiene nel vigore della sua unità. Di essa la Verità stessa dice: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa (Mt 16, 18). L’evangelista attesta che questo è quanto avvenne, dicendo: dopo avelo crocifisso, si divisero la veste, tirandola a sorte (Mt 27, 35).

Nelle Scritture divine il sorteggio è richiamato davvero in modo frequente, e non so quale segreto del giudizio divino sembri recare con sé. Sta scritto nel Levitico che una vittima designata a sorte viene data al Signore e un’altra a chi deve espiare, cioè all’emissario (Lev 16, 8). In seguito Mosé ad alcune tribù oltre il Giordano distribuì a sorte la terra. Anche Giosué, figlio di Nave, distrubuì ai figli d’Israele la terra promessa tirando le sorti (Gs 18, 10). Il sorteggio tradì Giona che se ne stava nascosto (Gio 1, 7).

Anche in Salomone si legge: il sorteggio risolve i contrasti e decide fra i potenti (Pr 18, 18). Anche nel Nuovo Testamento, cioè negli Atti degli apostoli, il sorteggio desigò Mattia come apostolo (At 1, 26). inoltre l’apostolo Paolo, scrivendo agli Efesini, dice di essere stato eletto in sorte secondo il volere di colui che tutto opera secondo il disegno del suo volere (Ef 1, 11). Scrivendo poi ai Tessalonicesi, afferma: Ringraziando Dio Padre che ci rese degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce (Col 1, 12).

Sebbene leggiamo, nell’Antico come nel Nuovo Testamento, che molte cose sono state decise a sorte, nessuno ha osato negare che tramite essa, si è manifestato alla maniera divina ciò che era stato richiesto dall’anima devota con una insistente preghiera.

20. Tu, Signore, non dilazionare il tuo aiuto, guarda al mio soccorso. Ora chiede già una pronta resurrezione, affinché da una tale [manifestazione] di gloria, giunta con sorpresa, venga annientata la cattiva illusione degli infedeli. Infatti per aiuto si intende la stessa resurrezione, la quale poi non ha indugiato, dal momento che è arrivata dopo tre giorni. Segue: in mia difesa. In che cosa essa consista, lo espone nel seguito del discorso.

21. Libera dall’arma la mia anima e dalla mano del cane l’unica mia. Chiese di essere liberato dalla morte, che stava per subire, portando il soccorso della resurrezione. Arma è una designazione che serve da sinonimo, e significa una lancia o una spada o altre armi, attraverso le quali ha voluto richiamare con proprietà la prossima morte in croce, e questo perché per essa avviene la morte ai più.

Ma dapprima ha detto libera la mia anima; ora chiede che la Chiesa sia liberata, quella che è la sua unica, cioè la Cattolica, per far capire, con un termine di unità, che aveva rifiutato le dottrine nuove e le riunioni dei perduti. In questa passo paragona gli eretici a dei cani i quali, a motivo di una ferocia loro propria, animati da crudele mitezza, non appena si allontanano dalle nostre case, si affrettano a mordere e a lacerare la Chiesa. Per darti una prova che egli a buon diritto ha paragonati tali uomini ai cani, ha precisato dalla mano del cane, un arto che è posseduto dall’uomo e no dal cane.

Oppure, come altri interpretano, le mani del cane rappresentano il potere di questo mondo, il quale si affretta ad aggredire in continuazione la Chiesa di Dio con una malvagità mordace e subdola. Tuttavia i cani non hanno soltanto un significato negativo ma spesso ricevono anche uno positivo.

22. Liberami dalla bocca del leone e dalle corna degli unicorni la mia miseria. Dalla bocca del leone, intende dire dal potere del diavolo, il quale viene paragonato alle fiere, perché si rallegra sempre della rovina degli uomini. Per evitare che qualcuno venga turbato per il fatto che, spesso, una stessa immagine viene fatta valere per le persone ottime e per quelle più cattive, bisogna precisare per quali caratteristiche somiglianti si sviluppa il paragone.

È certo che la medesima cosa presenta aspetti differenti. Il leone, del quale ora stiamo parlando, possiede la forza in base alla quale è chianato re delle fiere; possiede anche una selvatichezza sanguinaria, per la quale è considerato feroce. Per questo per la sua fortezza e il suo potere a ragione è stato paragonato a Cristo, come in quel passo: ha vinto il leone della tribù di Giuda (Ap 5,5). Mentre per la sua ferocia, in modo conveniente, ha fatto pensare il diavolo, come afferma l’apostolo Pietro: Siate sobri e vigilate, poiché il vostro avversario, il diavolo, come un leone ruggente, va in giro cercando chi divorare (1 Pt 5, 8). Così accade che lo stesso animale, in considerazione delle sue caratteristiche, venga preso come immagine di realtà opposte tra loro. Non sbagliamo nel pensare che questo modo di esprimersi sia proprio della Scrittura divina. In questo modo, col ragionamento, nel corso di questa esposizione, dobbiamo interpretare anche le altre immagini.

Dalle corna, cioè dai tracotanti, che infieriscono per il potere derivante dalla loro posizione. Ma osserva che cosa ha associato: degli animali che possiedono un solo corno, che si ergono in modo singolare, che innalzandosi con un’enorme arroganza, non possono sopportare di avere altri di pari grado, poiché vogliono decidere da soli quello che piace fare a loro. Questi animali, che sono armati di un solo corno, chiamati dai greci unicorni, sono molto più forti di quelli ai quali ne vengono attribuiti due. Chiese che la sua miseria, la quale, se viene lasciata sola, può soccombere facilmente, fosse liberata dalla tracotanza non sopportabile degli unicorni.

23. Racconterò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo alla Chiesa ti loderò. Dopo la santa passione dice che diffonderà in tutto il mondo la gloria della divinità. Racconterò, cioè farò raccontare. Fratelli poi vengono chiamati coloro che amano e che sono amati. Infatti Colui che è venuto a patire per la salvezza di tutti, chi di loro non riconoscerebbe come fratello? A questo proposito afferma chiaramente l’apostolo: era conveniente che colui per il quale e in vista del quale aveva condotto molti figli alla gloria, rendesse perfetto per mezzo della passione l’autore della loro salvezza. Colui che santifica e coloro che sono santificati derivano da uno solo. Per questo non si vergogna di chiamali fratelli dicendo: annuncerò il tuo nome ai miei fratelli (Eb 2, 10-12). Così afferma anche nel vangelo dopo la resurrezione: Dite ai miei fratelli (Mt 28, 10) e in un altro passo: Chi compie la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è mio padre, mia madre e fratello (Mt 12, 50).

In mezzo alla Chiesa loda il Signore chi agisce con un comportamento retto. La sua lode è la santità prolungata dei costumi, poiché nessuno è capace di fare qualcosa di bene nella sua debolezza, se non colui al quale la divina misericordia ha donato la rettitudine.

In mezzo, poi dice, in modo manifesto e in compagnia di molti, dove l’azione di quell’anima retta offre un esempio agli altri fedeli.

24. Quanti lo temete, lodate il Signore; tutta la stirpe di Giacobbe lo magnifichi. Dopo aver raccontato abbastanza diffusamente la passione del Signore, per evitare che i cuori dei fedeli venissero turbati dal protrarsi del dolore, giunge alla terza parte. Ora esorta i fedeli, una volta che abbiano preso coscienza del suo progetto, a lodare il Signore, e a celebrare insieme le sue lodi nella gioia comune a tutti: mediante la passione giunge la salvezza dei fedeli e la vita dei giusti.

Ora comprendiamo quanto sia considerato soave l’affetto nel timore del Signore. La paura umana non conduce alla lode ma al disprezzo; il timore di Dio, invece, poiché è giusto e retto, genera la lode, dona l’amore e infiamma con l’ardore di carità.

Lodate, dunque, egli esorta, voi che temete il Signore, cioè che avete riverenza nel suo nome: poiché non merita di annunciarlo se non colui che viene riconosciuto come uno che lo teme. La totalità considerala in positivo, perché egli vuole riferirsi soltanto a coloro che partecipano alla fede e alla devozione di Giacobbe, oltrepassando con l’amore religioso la prima nascita dell’uomo vecchio.

25. Lo tema tutto il seme d’Israele. Nel seme d’Israele non viene significato il popolo di una sola nazione ma viene richiamata la moltitudine di tutte le genti, di cui si sa che la Chiesa è costituita. Poiché in precedenza aveva detto: lodate il Signore voi che lo temete, ora spiega a chi questo timore possa appartenere, cioè agli Israeliti, a quelli che vedono il Signore. Infatti non possono temere Dio coloro che sono accecati dalla malizia propria degli eretici, oppure prestano culto agli doli con mente iniqua.

Perché non ha sdegnato né disprezzato la preghiera dei poveri. È quanto sogliono fare coloro che si gloriano dell’onore di questo mondo, che disprezzano i poveri, che guardano con sdegno coloro che li supplicano, che valutano il valore dalla qualità della veste, in modo che, se uno ha un abito pulito, è considerato onesto, se ce l’ha sporco, viene reputato un corrotto. Presso Dio il giudizio è molto diverso, perché, non onorando la ricchezza, non giudica dall’abito; anzi ascolta le preghiere dei fedeli che sono poveri e li aiuta. Considera prezioso il povero che tuttavia è molto ricco in santità.

Non distolse da me il suo volto e, quando lo chiamavo, mi ha esaudito. Comprendiamo questo versetto e, nella misura in cui ne siamo capaci, rendiamo grazie a Dio con mente devota.

Mentre parla in modo generale del dovere di rendere grazie, per il fatto che Dio si è degnato di esaudire i poveri, Cristo Signore si è incluso [tra essi] dicendo: non ha distolto da me il suo volto. Così fece sua la situazione di tutti, in questo modo distrusse i peccati del mondo con la santità del suo corpo; di conseguenza mentre Egli faceva sua la debolezza degli uomini, il diavolo perdeva ciò di cui s’era appropriato. Che cosa chiese, Colui che si dichiara esaudito? Che la sua morte ponesse termine alla nostra rovina, che il peccato dell’uomo vecchio venisse redento dal prezzo della santa passione.

26. Presso di te la mia lode nella grande Chiesa, i miei voti renderò al Signore davanti a coloro che lo temono. Presso di te, significa in riferimento a te. Nella grande Chiesa, cioè in quella cattolica, che è diffusa in tutta la terra. Giustamente viene detta grande in ampiezza e in onore. Nei miei voti vuole che siano intesi i sacramenti del suo corpo e sangue, che vengono resi da coloro che li offrono, i quali sono soggetti a lui nel santi timore. Infine osserva ciò che viene di seguito.

27. I poveri mangeranno e saranno saziati. Questi sono i voti di cui ho parlato poco fa. Osserva che considerò poveri soltanto coloro che hanno disprezzato le prevaricazioni di qusto mondo grazie ad un atteggiamento di rifiuto assai ricco; non i ricchi che sono ricolmi della felicità di questo mondo, ma i poveri, cioè, quelli che hanno fame del regno di Dio. Perciò ha anche aggiunto e saranno saziati; non potevano essere saziati se non coloro che possedevano questa fame.

Loderanno il Signore quanti lo cercano: vive il loro cuore per sempre. Prolungò il discorso iniziato. Infatti quando i poveri saranno stati saziati, loderanno il Signore. I poveri lodano il Signore, i ricchi esaltano se stessi: questi hanno ammassato tesori terreni, quelli abbomdano nell’abbondanza celeste; la proprietà è diseguale, ma la consapevolezza è ancora più difforme; questi si sono arricchiti del mondo, gli altri di Dio. Quali aspirazioni assai discordanti hanno conseguito! I poveri possiedono ciò che non possono perdere; i ricchi trattengono dei beni che non solo quando saranno morti ma anche già da vivi spesso devono perdere.

Segue. Vive il loro cuore nei secoli dei secoli. Vive il cuore, la loro speranza rinverdisca senza posa. Diciamo che vive veramente, ciò che persevera nella grazia della divinità.

28. Ricorderanno e si convertiranno al Signore tutti i confini della terra. Diciamo che ricordano quelli che dopo aver subito l’offesa della dimenticanza, sono ritornati alla medicina della memoria. Ma questo come può essere attribuito ai pagani, i quali, prima della loro convesione, non avevano ricevuto alcun sacramento della fede? Ma anche di loro possiamo dire che ritornano perché ogni uomo confessa che Dio è il suo Creatore. Quando si riconosce con coerenza che Dio onnipotente esiste, si dice a buon diritto che ci si ricorda di lui, affinché torni in verità da lui, colui che in precedenza l’aveva trascurato con una volontà perversa.

Segue: Si convertiranno tutti i confini della terra. Si preannuncia la Chiesa universale che ora si trova diffusa su tutta la terra.

Si prostreranno al suo cospetto tutte le famiglie dei popoli. Non volendo che qualcuno nutrisse un dubbio su come sarebbe stato adorato da tutte le genti, ha precisato, al suo cospetto, dove nessuno si prostra in adorazione, se non colui che ha pregustato la vera fede. Il suo cospetto infatti non è rivolto se non verso coloro che sono veramente fedeli e verso i beati.

Dicendo tutte le famiglie dei popoli, colui che le ha accolte tutte, non ha escluso nessuna, e, mediante i loro abitatori anche le nazioni sarebbero state considerate devote.

29. Poiché il regno è del Signore ed egli dominerà sulle genti. Cerchiamo di comprendere in che modo dobbiamo intendere questo versetto che è necessario riordinare. Dio dominerà sulle genti, poiché il regno è del Signore: i regni non sono dei popoli ma del Signore, il quale, nel suo potere, cambia i re e li domina. Ed è necessario che egli venga adorato ovunque, perché viene riconosciuto quale Signore di tutto.

Su questo argomento il padre Agostino nel libro al presbitero Onorato ha detto in modo mirabile secondo il suo solito: Chi è stato schernito, crocifisso e abbandonato, è Colui che conquista il regno e lo consegna alla fine a Dio Padre, non per perderlo, ma perché ciò che ha seminato nella fedeltà quando venne come inferiore al Padre, questo lo porti in quella condizione nella quale non si allontanò dal Padre, per l’uguaglianza con lui. La Chiesa universale ha gradito questi pensieri. La smettano allora i Donatisti di lasciarsi ingannare dalla vanità. L’inganno del diavolo non può prevalere sulla religione cristiana. È necessario, al momento opportuno, confutare la malizia degli eretici; infatti mentre, con l’aiuto di Dio, li demoliamo, confermiamo i giudizi della fede cattolica.

30. Mangeranno e adoreranno tutti i ricchi della terra. Perché in precedenza ha detto, riguardo al corpo del Signore, che i poveri si sarebbero saziati, mentre ora conferma che i ricchi della terra hanno soltanto mangiato e adorato? Devi capire che [si riferisce] non alle persone umili ma a quelle superbe che non pongono docilmente la speranza nei beni annunciati ma nell’arroganza della ricchezza. Sebbene [gli uni e gli altri] abbiano accolto i sacramenti della fede, tuttavia non c’è in essi la medesima devozione.

I poveri mangiano fino alla sazietà, cioè fino alla perfezione, gli altri mangiano ma non lo fanno con grande desiderio. Una cosa è voler ricevere un bene con un desiderio mediocre, e un’altra è cercarlo con tutto l’ardore dell’anima, per questo costoro non vengono definiti poveri di Cristo ma ricchi della terra.

31. Davanti a lui si prostreranno quelli che scendono verso la terra; e l’anima mia vive per Lui. Dal momento che poco fa aveva detto che i ricchi della terra sono cristiani tiepidi, ora specifica che si prostrano davanti a Dio, ossia che cadano, che si abbassano verso le concupiscenze terrene, a causa della fragilità della carne, sebbene possano sfuggire agli sguardi degli uomini. Con accuratezza è stato detto che scendono, perrchè ogni peccato è considerato un livello inferiore.

Se l’assemblea della Chiesa accoglie tutti senza fare eccezioni, al suo cospetto sono conosciuti, coloro che si distinguono per la qualità dei meriti. Afferma che la sua anima vive per Dio, perché ha attraversato questo mondo con un comportamento innocente.

32. Il mio seme lo servirà, la generazione futura verrà annunziata al Signore. Chiama seme la sue opere che mostrò sulla terra nel tempo della sua incarnazione, per istruire le folle, per manifestare i segreti della religione, per costituire gli apostoli annunciatori, affinché predicassero con fedeltà sincera la religione santa.

Verrà annunciata al Signore; lo dice riferendosi agli angeli i quali, come alcuni pensano, si ricordano di presentare al Signore le preghiere degli uomini. È scritto infatti nel libro di Tobia: Ho presentato davanti al Signore il ricordo della vostra preghiera (Tb 12, 12). Tuttavia parla in modo allegorico quando dice verrà annunciata al Signore, poiché egli sa e prevede tutto; infatti sta scritto: il Padre vostro sa di che cosa avete bisogno, prima che glielo chiediate (Mt 6,8). Gli angeli riferiscono al Signore come servizio, non perché debbano istruirlo.

La generazione futura, si tratta di quella che veniva procreata, per dono del Signore, dall’acqua e dallo Spirito Santo. Per manifestare che essa sarebbe stata retta, dice che verrà da parte del Signore, perché la stirpe dei malvagi è evidente che proviene da sé, non dal Signore.

Annunceranno la giustizia del cielo al suo popolo che nascerà, che fu creato dal Signore. Cioè gli evangelisti predicheranno il Figlio di Dio; è lui infatti la giustizia del Padre. A quel popolo verrà predicata la giustizia, a quello che avrebbe creduto a Dio; esso, dopo aver abbandonato la morte del peccato, viene alla vita che nasce dalla fede, grazie al dono di Dio, per meritare di vivere per sempre. Per questo molto giustamente è stato detto che il Signore ha fatto il popolo cristiano; lo ha creato quando lo ha estratto dal ventre della madre, ma allora lo rese libero dal peccato, quando formò il cristiano grazie alla rigenerazione dall’acqua.

Dobbiamo fissare nell’animo che questo e gli altri salmi che parlano della passione del Signore, terminano per lo più parlando della speranza del cristiano. Così grazie ad tale stupendo suggerimento, noi riconosciamo che la salvezza per i credenti è venuta da questo mistero.

Conclusione

Questo salmo è quello che la Chiesa canta per noi solennemente quale dono pasquale! Veniamo così istruiti in modo salutare circa le vicende umane: anche se i beati in modo temporaneo vengo abbandonati da Dio per una qualche vicenda, tuttavia li conduce con la forza della sua difesa ai beni eterni. Mentre siamo nel pianto. ascoltiamo forunamente quest’uomo, per mezzo del quale potremo essere rinfrancati, se meriteremo di vivere il dolore mantenendo la medesima fermezza d’animo.

Quanto sono duri i cuori dei giudei! O menti insensate che non accettano mai di credere! Questo salmo da solo non sarebbe stato forse sufficiente a suscitare la fede nella passione, quando la Verità stessa ha parlato di sé con tanta evidenza? Per togliere ogni scusa agli uomini dal cuore duro, seguono altri salmi su questo argomento, scritti per una ispirazione profetica evidente e cortissima, quali tra gli altri, il trenta quattro, sessanta otto, il cento otto. Nessuno poteva alimentare dubbi, ciò che, come si vede, è stato preconizzato da tanti preannunzi.

Il numero del salmo presente contiene altri segreti delle realtà celesti. Al profeta Daniele, che offrì la sua preghiera al Signore nel corso di tre settimane, senza posa, per poter conoscere le vicende future riguardanti il popolo d’Israele, fu fatto conoscere dalla voce di un angelo, che egli era stato inviato a lui già dall’inizio della sua preghiera. Tuttavia, costretto a ritardare per l’opposizione del diavolo, aveva potuto scendere fino a lui dopo ventuno giorni e solo allora era stato in grado di soddisfare le sue richieste (Dn 10, 12-13). Per questo motivo, non senza una giusta ragione, tale salmo è stato posto a questo punto della numerazione: dopo aver distrutto la malvagità del diavolo, consegnò i doni della passione, che è la nostra medicina. Per suo beneficio il genere umano, liberato dalla morte eterna, ottiene i doni della salvezza eterna.

Salmo 22

1. Salmo di Davide. A ragione evito di dare una spiegazione là dove non compare alcun nuovo elemento che la esiga. Richiamo soltanto questo [principio]: dobbiamo attribuire un significato spirituale alle parole che appartengono al titolo, come ho esposto nella prefazione. A parlare nell’intero corso del salmo è il cristiano autentico, colui che, abbandonata la senilità del primo uomo, è stato rigenerato da acqua e da Spirito Santo. Ringrazia perchè dal Signore, che gli ha concesso ciò, è stato condotto dal deserto del peccato al luogo del pascolo e dell’acqua di ristoro. Osserva: come in precedenza aveva accolto il decalogo della legge, così ora si rallegra d’essere stato arricchito da dieci benefici, e questo non viene esposto nei singoli versetti, ma è raccontato in breve, per inciso.

Divisione

Il salmo è breve ma si sviluppa in molte parti; non viene attribuito a vari personaggi, ma si diversifica secondo l’argomento trattato. Di conseguenza presteremo attenzione opportunamente non alla sua suddivisione, come abbiamo fatto con gli altri salmi, ma ai contenuti del versetto, secondo il loro messaggio particolare.

Spiegazione

Il Signore mi guida e nulla mi mancherà. L’uomo santo, rinnovato dalla grazia battesimale, che, dopo aver rifiutato la magnificenza del mondo, si riconosceva un povero del Signore, esulta di gioia nel sacrario della coscienza e confessa, in una letizia dolcissima, di essere protetto dal Signore. Dichiara di essere guidato dal Signore là dove c’è una difesa valida e una grande sicurezza. Qui nessuno teme l’avversario, poiché nessuno si sente impaurito per la propria fragilità.

Aggiungendo poi, nulla mi mancherà, questo povero riconosceva la sua ricchezza, certo com’era che dal Signore avrebbe ricevuto una profusione di doni spirituali. Predisponiamoci ad apprendere, nei versetti che seguiranno, quanto ricca sia questa povertà, che è colmata da così grandi beni, quanti non se ne trovano nei forzieri dei re.

Questa figura è chiamata in greco accumulazione, e in latino ammassamento; [si riscontra] quando si raccolgono in unità molte cose e vengono offerte all’animo degli uditori come una grande quantità raccolta. Questa figura retorica, di solito, viene usata dagli oratori in modo travolgente, sia nell’accumulare sia motivi di lode come di biasimo.

2. In un luogo da pascolo mi ha stabilito. Questo fedele, di cui ho parlato, espone con riconoscenza il primo dei doni, ma ad esso, poi, come sappiamo, partecipa l’intera Chiesa di Cristo. Dichiara di essere stato stabilito in un luogo di pascolo; qui non sono la carne o il corpo ad essere nutriti, ma piuttosto l’anima, la quale, rinvigorita col cibo celeste, si dilata nello splendore di una gioia spirituale. Quelli di Dio, infatti, non sono alimenti che vengono dispersi con la digestione del ventre, in modo da procurare di nuovo una fame fastidiosa. L’anima, una volta che abbia cominciato ad essere saziata, continua a [godere] dello stesso dono celeste.

Questo luogo, chiamato pascolo, corrisponde alla lettura sacra. Come l’erba mangiata dona benessere al corpo degli armenti, così anche la parola di Dio, se viene meditata, di certo nutre l’anima fedelmente. Si era alimentato a questi pascoli quel fedele che è uscito con questo esclamazione, dicendo a Dio: Quanto sono dolci al mio palato le tue parole, più del miele per la mia bocca (Sal 118, 103), e altre parole simili.

Ad acque di ristoro mi fece crescere. Rivela il secondo dono del suo benessere, e paragona i doni divini alle piacevolezze di questo mondo, dei quali l’umana debolezza suole godere molto. Osserviamo che cosa intenda suggerire in aggiunta per mezzo di queste similitudini. Acqua di ristoro è il lavacro battesimale per mezzo del quale l’anima, isterilita dall’aridità del peccato, viene irrigata dal dono divino per produrre buoni frutti.

A ragione ha aggiunto, mi fece crescere, cioè mi alimentò poco a poco, come si fa coi bambini neonati, come afferma l’apostolo Pietro: Come bambini appena nati, aspirate al latte spirituale e integro, per crescere verso la salvezza (1 Pt 2, 2).

3. Ha convertito la mia anima. Parla del terzo dono ricevuto ed ora dichiara che la sua anima è stata convertita dalla grazia divina. Dice che è stata convertita perché, dopo il battesimo, da peccatrice è diventata giusta, da sporca qual era è diventata del tutto ripulita e da aggrinzita si trova ora senza rughe, come attesta l’apostolo: per presentare davanti a sé questa Chiesa gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile (Ef 5, 27).

Giustamente si gloria che sia tornata a Cristo la sua anima, che da gran tempo era stata sotto il dominio di satana. Questa conversione, tuttavia, comunica salvezza solo se non ricadiamo nel peccato, sollecitati dai vizi. Osserva che cosa deriva veramente da questa conversione.

Mi condusse sopra sentieri di giustizia, a motivo del suo nome. Richiama il quarto dono, che ora dobbiamo approfondire con prontezza. Se il camminare sopra i sentieri di giustizia sia tipico di un uomo orgoglioso, come mai questo santo, si rallegra di aver fatto questo, essendo di per sé un atto contrario alle norme del Signore? Ma questo stare sopra và compreso in un altro senso, come se dicesse, sono stato posto sopra un popolo che deve essere corretto, che deve apprendere i sentieri di giustizia, come un altro profeta dice: Mi ha collocato in alto, affinché domini nella sua luce (Ab 3, 19).

Quanto all’espressione a motivo del suo nome, il servo di Cristo era ben lieto di aver ottenuto quella scienza che lo metteva in grado di divulgare gli ordini del Signore.

I sentieri di giustizia sono i due precetti salvifici, nei quali si condensa la Legge e il messaggio dei profeti: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e il prossimo tuo come te stesso (Dt 6, 5). Giustamente si rallegrava di essere stato riportato su sentieri di giustizia, colui che era avanzato nella contemplazione spirituale.

Ha aggiunto a motivo del suo Nome, affinché nessuno dicesse di aver ricevuto per i propri meriti, ciò che era stato donato per grazia divina.

4. Anche se camminassi in mezzo all’ombra della morte, non temerò alcun male, perché tu sei con me. Si pone ad esporre il quinto dono, il quale, veramente, viene elargito ad ogni cattolico che rimane fermamente nella fede. Dice, infatti, quand’anche camminassi tra gli eretici e gli scismatici, paragonati in maniera opportuna ad ombre di morte, perché portano l’immagine della morte, dal momento che conducono all’inferno, non temerò i loro malvagi allettamenti, perché mi difenderai con la protezione della tua presenza, come si trova scritto nel profeta: Non ti abbandonerò, non ti lascerò (Gs 1, 5).

In questo mondo la Chiesa cammina tra gli iniqui, finché pervenga per il giorno del giudizio Colui che separerà i buoni dai cattivi, come afferma il profeta: il respiro del nostro volto, il consacrato del Signore, sotto la cui ombra viviamo tra le genti (Lm 4, 20).

Oppure l’ombra della morte, è senza dubbio il diavolo, che segretamente nasconde per noi delle trappole per far in modo che noi, ingannati dalle sue oscure macchinazioni, precipitiamo negli abissi della morte eterna.

Il vero fedele non temerà questi pericoli neppure quando avrà avuto l’audacia, per la misericordia divina, di camminare passando tra di essi. Perchè quell’uomo giusto li dovrebbe temere, dal momento che sono essi ad avere timore dei santi e finiscono col prestare loro servizio contrariamente alle loro intenzioni?

La tua verga e il tuo bastone mi hanno consolato. Orma si rallegra per il sesto dono ricevuto. La verga richiama la giustizia e la fortezza del Signore Salvatore, come dice in un altro salmo: è una verga di giustizia, la verga del tuo regno (Sal 44, 7). Il bastone, invece, allude al soccorso [prestato] agli uomini; grazie ad esso, il piede si pianta in terra con cautela e nell’incedere sostiene l’intero corpo di quanti vi si appoggiano.

I patriarchi erano soliti fare in questo modo; dice infatti Giacobbe: col mio bastone ho guadato questo Giordano (Gen 32, 10). Lo stesso dice il Signore ai figli d’Israele nel libro dell’Esodo: cingete i fianchi, tenete in mano il bastone e mangiate in fretta (Es 12, 11). In molti passi troverai questo [comando] dato dall’autorità divina. Per questi due strumenti il fedele dichiara di essere stato consolato: uno rappresenta la severità che corregge i viziosi, l’altro la guida che sostiene i fedelissimi cristiani. In verità questi due strumenti, posti al plurale, la verga e il bastone, significano quello che ho detto sopra.

Vediamo in che modo l’una e l’altro ci possano confortare, sebbene siano due cose ben diverse tra di loro. Non c’è alcun dubbio che il bastone ci dia conforto perché viene sempre utilizzato per sostenere la debolezza umana. Riguardo alla verga, invece, che cosa potremmo dire, dal momento che essa percuote, affligge e punisce i nostri errori con il rigore della giustizia?

Anch’essa certamente consola i fedeli quando, dopo aver apprestato il pentimento, li guida sulla via del Signore. Infatti diciamo rettamente che consola tutto ciò che presta aiuto, sebbene in un primo momento la sua severità ci rattristi. Per questo motivo l’apostolo scrive agli Ebrei: ogni correzione sulle prime non sembra essere occasione di gioia, ma di dolore; in seguito poi produce molto frutto (Eb 12, 11).

5. Hai preparato davanti a me una mensa, contro coloro che mi avversano. Presenta il settimo motivo di ringraziamento, quando dice: hai preparato davanti a me, cioè hai predisposto l’altare santo, che è contemplato da tutta la Chiesa e circondato dal popolo cristiano.

La mensa viene chiamata così da mese, poiché nello stesso giorno ricorrente si tenevano i conviti secondo il rito dei pagani, ma la mensa della Chiesa è un convito beato, un fortunato banchetto, sazietà di fede, alimento celeste.

è vero che questa mensa è stata preparata contro coloro che, caduti in qualche iniquità, rattristano gravemente la Chiesa di Dio, in seguito al loro errore; di essi l’apostolo dice: chi mangia indegnamente, mangia e beve la propria condanna, perché non discerne il corpo del Signore (1 Cor 11, 29), donato per la remissione dei peccati e per ottenere la vita eterna.

Osserva poi come la mensa abbia un significato positivo e negativo; come dichiara l’apostolo: non potere comunicare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni (1 Cor 10, 21).

Hai unto di olio il mio capo. Viene riferito l’ottavo dono. Il Capo dei fedeli è Cristo Signore, il quale, giustamente, è detto che è unto di olio, perché non venne inaridito da alcuna secchezza propria del peccatore. Dice che il suo capo è stato unto con l’olio, affinché le altre membra del corpo ne gioissero. Che significato ha una tale unzione, visto che questa forma di benedizione santa unge i profeti e consacra i re? Non a torto, poiché quest’albero offriva una testimonianza di pace, poiché il suo dono specialmente era di carattere divino: liquido che scaturisce da un albero, pinguedine che rallegra, grazia di grande splendore, le cui foglie mantengono l’ornamento del sempreverde.

Lo stesso Noe per mezzo di una colomba aveva preannunciato questi benefici: alla terra veniva resa la protezione, affinché giustamente potesse ricevere una benedizione tanto grande, così da godere nello stesso tempo della bellezza e dell’utilità di tale frutto. A questo riguardo un altro salmo dice: per questo Dio, il tuo Dio, ti ha unto di letizia a preferenza dei tuoi compagni (Sal 44, 8).

Il tuo calice inebriante quanto è magnifico! Il nono dono è il sangue del Signore, che inebria tanto da risanare la mente, da spingere ad abbandonare ogni colpa e, certo, non da stimolare il peccato. Questa bevanda di vino rende sobri, questa pienezza libera dai mali, e colui che non sarà colmo di quel calice, resterà digiuno a motivo di una miseria eterna.

Si trova anche con un significato negativo, come dice Isaia: ho ricevuto dalla tua mano un calice di rovina, la coppa dell’ira e della mia indignazione (Is 51, 17).

Ha aggiunto: quanto è magnifico! Comunica, infatti, tali benefici da condurre al regno dei cieli. Di questa bevanda si dice nel vangelo: Chi berrà dell’acqua che io do, non avrà più sete ma diventerà in lui sorgente di acqua che butta alla vita eterna (Gv 4, 13. 14).

6. La tua misericordia mi seguirà tutti i giorni della mia vita. La decima tappa della divisione prevista si conclude in pienezza, e qui la vastità del desiderio si sazia per il colmo di gioia. Infatti mentre la misericordia del Signore previene sempre, qui dice mi seguirà: segue per custodire, e previene per comunicare la grazia. Se essa si limitasse soltanto a seguire, nessuno potrebbe accogliere i doni elargiti; se essa si limitasse soltanto a prevenire, nessuno potrebbe custodire i beni ricevuti.

Sono assai ingegnose le insidie preparate dal demonio alle [nostre] spalle e se la misericordia del Signore non ci seguisse, la fragilità umana verrebbe ingannata con grande facilità. Infatti quando uno crede che il suo vizio sia stato superato, allora viene ingannato ancora di più dalla sua incauta presunzione. Per questo motivo è del tutto necessario che la grazia del Signore ci prevenga con continuità e che la sua misericordia ci segua.

Abiterò nella casa del Signore per la lunghezza dei giorni. La conclusione dipende da quanto è stato detto finora. Dichiara che i doni precedenti gli erano stati concessi perché pervenisse nella sua casa di gloria per abitarvi. Questa è infatti la perfezione culminante di tutti i beni, come dice in un altro salmo: Beati coloro che abitano nella tua casa! Nei secoli dei secoli ti loderanno (Sal 83, 5). La casa del Signore significa la Gerusalemme futura che permane nell’estensione dei giorni senza interruzione. Essa è beatitudine eterna e gioia senza fine.

Ricorda poi che nel primo versetto di questo salmo, che diceva: il Signore mi guida e nulla mi mancherà, ha espresso in breve ciò che in seguito ha esposto più ampiamente nei versetti successivi. Questa figura è detta epitrocasmos, cioè rotazione: restringe in maniera succinta quelle cose che si potrebbero esporre a lungo. Nel versetto finale, cioè per abitare nella casa del Signore nell’estensione dei giorni, compare l’epifonema, cioè l’acclamazione, una mobilissima figura, la quale, conclusa la narrazione dei fatti, prorompe in una breve acclamazione, terminando, dopo il tutto, in una altezza assai elevata. In questo modo l’inizio, la metà e il termine di questo salmo, brilla di luce splendida per le diverse figure usate.

Conclusione

Deponiamo nella mente il messaggio che verrà cantato da questa canna sonora formata da dieci sonorità: la dolce melodia verrà intonata per l’anima con un salutare diletto. In questa festosità del mistero, non si sperimenti il piacere dell’udito ma la salute già acquisita delle anime.

Il numero stesso di questo salmo significa la perfezione della sapienza, poiché sappiamo che sono venti due i libri dell’Antico Testamento in lingua ebraica. Essi sono stati dati al genere umano in vista di un apprendimento perfetto della scienza divina. A motivo di ciò comprendiamo che questo salmo in diversi modi è in relazione con i misteri supremi.

Salmo 23

1. Salmo di Davide, il giorno dopo il Sabato. Con l’aiuto di Dio, scostiamo con prontezza il velo del titolo presente, per illuminare per noi, in modo più chiaro, i penetrali del salmo. Il giorno dopo il sabato significa il giorno della domenica, che è il primo dopo il sabato, il giorno nel quale il Signore è risorto dai morti. Per la straordinarietà di questo prodigio è chiamato propriamente del Signore ma anche perché in esso ha creato il mondo. Il Signore è venuto in aiuto di questo mondo, risorgendo proprio in quel giorno, in cui lo aveva anche creato, come si dice. Ma poiché tutto il salmo viene cantato dopo la risurrezione, ad esso è stato premesso tale titolo, affinché i cuori dei fedeli venissero preavvisati da un indizio adeguato.

Divisione del salmo

Il profeta, divenuto più gioioso in seguito alla risurrezione del Signore, parla al genere umano affaticato da molteplici falsi culti. Nella prima parte stabilisce che l’intero cerchio della terra appartiene al Signore; in questo modo, come nessuno poteva considerarsi estraneo al suo dominio, così nessuno può considerarsi indifferente alla fede. Nella seconda parte determina di quali virtù debbano essere dotati coloro che si stabiliscono nella sua chiesa. Nella terza ammonisce i folli che venerano gli idoli, affinché, servendo al vero Dio, abbandonino questa perversità che è a loro nociva.

Spiegazione

Del Signore è la terra e la sua pienezza, la cerchia delle terre e tutti quanti la abitano. Abbiamo riscontrato spesso che la terra assume un significato sia positivo, sia negativo, ma in questo caso dobbiamo vedere [in essa] la Chiesa, la quale serve il Signore in modo speciale, con mente pura. Sebbene tutte le cose siano state create da Lui, tuttavia diciamo chi lo venera come suo creatore appartiene a Lui in modo particolare. La Chiesa, perciò, non immeritatamente viene considerata una terra che produce uomini buoni, perché nutre e conserva il popolo di Cristo. Segue: e la sua pienezza, cioè la moltitudine santa, con la quale si forma la Chiesa.

Con terra, che sopra ha nominato, non pensare magari a qualche regione angusta, perché in questo passo parla di cerchia delle terre, cioè della Chiesa universale, la quale è diffusa nell’ambito del mondo intero. Comprendi bene perché abbia precisato coloro che la abitano, cioè [si riferisce] non a quelli che vanno e vengono ma a quelli che vi rimangono stabilmente con una mente ben fissata.

Diciamo che abita chi rimane, e questo non è tipico degli errabondi, poiché [l’abitare] non si adatta alla mutevolezza. Abita nella Chiesa solo colui che persevera nella retta fede fino alla sua morte, come afferma anche un altro salmo: per abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita (Sal 22, 6).

2. è lui che l’ha fondata sui mari e sui fiumi l’ha preparata. Che cosa significa fondare sui mari, se non consolidare la Chiesa sopra i flutti agitati dei vizi di questo mondo, con una fede assai ferma, affinché, rinsaldandosi all’ancora della fede, non temi lo sconvolgimento di qualche fortunale. Per questo l’apostolo dice: abbiamo un’ancora sicura e fissa dell’anima (Eb 6, 19). In modo simile dice che essa è preparata sui fiumi, poiché si sa che la Chiesa è pronta nei confronti dei desideri violenti dei persecutori, in modo tale che le intenzioni malvagie non possano prevalere su di essa, sebbene insorgano contro di lei con la furia insana delle menti.

3. Chi salirà il monte del Signore? Chi starà nel suo luogo santo? Dopo aver insegnato in poche parole che appartengono a Dio tutte le cose da Lui create, ora, attraverso una domanda, inizia la seconda parte, spiegando quali debbano essere coloro che desiderano chiamarsi suoi. Questa figura è chiamata exetasmos, cioè ricerca, e [la usiamo] quando, cercando con una domanda diverse cose distinte, assegniamo ad ognuna le caratteristiche che le convengono. Egli pone dapprima delle domande, affinché possa seguire una risposta conveniente. Chi salirà? [Parla così] perché stava per dire sul monte. [Il monte] rappresenta la giustizia e le altre virtù, alle quali possiamo aspirare [solo] con grande sforzo, visto che veniamo ostacolati dai peccati che ci intralciano. Ma dopo aver chiesto chi salirà?, ora aggiunge starà, poiché è molto può utile continuare a stare in un luogo santo che saper raggiungerne la sommità.

4. Chi ha mani innocenti e cuore puro e non ricevette invano la sua anima. Questa è la risposta attesa: chi ha mani innocenti e cuore puro, cioè colui la cui azione non danneggia alcuno, ma cerca di essere utile [ad altri] per quanto gli è possibile. Perché tu non pensassi che bastasse avere mani innocenti ha aggiunto anche un cuore puro, poiché di frequenza saremmo orientati a fare del male ma invece, pur non volendolo, facciamo del bene; e di nuovo desideriamo il bene, ma non cessiamo dalle loro opere. Perciò dice che potrà ascendere, soltanto colui nel quale si saranno trovati entrambi gli aspetti. Ha ricevuto invano la sua anima, colui che considera degne di desiderio le cose che sono passeggere o caduche. Non l’ha ricevuta invano chi avrà scoperto che è stato creato per conoscere la divinità, per custodire le legge del Signore, per interessarsi della vita eterna e di tutto ciò che può meritare la grazia suprema.

Chi non giura nell’inganno al suo prossimo. Precisando nell’inganno, sembra permettere l’uso di giuramenti in forma semplice; sta scritto infatti: il Signore ha giurato e non si pentirà (Sal 109, 4). Leggiamo anche che i santissimi patriarchi hanno prestato dei giuramenti. Perché allora dice nel vangelo: non giurate né per il cielo, né per la terra (Mt 5, 34)? Ecc. Veramente nel Vecchio Testamento non è proibito giurare; tuttavia poiché al genere umano capita di spergiurare spesso, per debolezza della mente, nel Nuovo Testamento dichiara più utilmente che non bisogna giurare affatto, come [avviene per] altri comandi simili che non intendono dare proibizioni ma rendere più avveduti. Nel vangelo lo stesso Signore afferma: Fu detto agli antichi, occhio per occhio, ma io vi dico di non resistere al malvagio (Mt 5, 38-39). Giura con inganno colui che agisce altrimenti da quanto ha promesso, credendo che non sia uno spergiuro, mancare in modo fraudolento allo sbaglio di chi gli ha creduto.

5. Costui riceverà benedizione dal Signore e misericordia da Dio nostra salvezza. Ha parlato di osservanze [compiute] per devozione, ora parla anche di premi. Riceverà benedizione, non da qualche altro, ma dal Signore stesso. Proprio lui benedice, Egli che verrà a giudicare; proprio lui assolve, Egli che avrebbe potuto condannare in modo irrevocabile. Volle che si conoscesse che il merito del beneficio stava nella grandezza di colui che lo concedeva. Questa motivazione tra i retori viene detta: dipendente dalla persona. Parla, poi, di misericordia affinché fosse chiaro che quella benedizione non dipendeva dai meriti ma dalla misericordia del Signore. Non c’è nessuno tra gli uomini che non abbia bisogno di ricevere misericordia. I delitti vengono permessi, affinché si meriti la corona; come non poteva essere concesso il riscatto, se prima non si fosse prestato un servizio totale. La nostra salvezza è Cristo Signore, il quale concede la beatitudine e il perdono dei peccati. Non meravigliarti che prima abbia detto: riceverà benedizione dal Signore e, dopo abbia aggiunto e misericordia da Dio sua salvezza, mentre nel caso normale dapprima ci sono perdonati i peccati e in seguito ci vengono offerti i doni della sua benedizione. Tuttavia troverai che quest’ordine è variato con frequenza. A volte puoi rilevare come dapprima si parli di misericordia, come in questo caso: Dio abbia misericordia di noi e ci benedica (Sal 66, 2); ma di nuovo l’ordine viene cambiato: illumini il suo volto su di noi ed abbia misericordia di noi. Questa figura viene denominata anastrofe, cioè rivolgimento, e la utilizziamo quando pronunciamo una frase invertendone l’ordine [consueto].

6. Questa è la generazione di chi cerca il Signore, di chi cerca il volto del Dio di Giacobbe. Dal momento che prima aveva parlato al singolare, [dicendo]: chi salirà il monte del Signore? non voleva che tu pensassi che questo poteva riferirsi soltanto a Cristo Signore, ed ora tale [discorso] viene applicato chiaramente al popolo cristiano. Infatti quando dice questa è, significa tale è quella generazione che cerca il Signore, cioè quella che rinasce dalla fonte del santo battesimo e manifesta la sua fede mediante questa devota azione. Segue che ricerca il volto del Dio di Giacobbe. Come mai ripete lo stesso verbo ed aggiunge poi quest’altre precisazioni alla fine [della frase]? Prima aveva detto in modo generico di chi cerca il Signore, [e si riferiva] a coloro che non ambiscono avanzare, ma contenti della loro situazione e della loro destinazione, meritano di ricevere [soltanto] la ricompensa più piccola nel regno di Cristo. Tuttavia poiché vi sono anche altri i quali, ardendo del grande fuoco della fede, vogliono superare molti per la qualità delle loro azioni, ha aggiunto [che ricercano il volto] del Dio di Giacobbe; affinché capiti a loro ciò che si racconta è avvenuto per Giacobbe, il quale, pure essendo nato dopo dell’altro, ha ricevuto la primogenitura che apparteneva al fratello maggiore.

7. Sollevate, porte, i vostri frontali. Giunge alla terza parte: ora il profeta, dopo aver esposto la religione cristiana, con grande gioia ordina ai molti che sono nell’errore di aprire, con un degno sentimento di fede, [le loro menti] che erano rimaste serrate, per meritare di accogliere nel loro petto lo stesso Re, il Signore. Ordina che vengano divelte le porte della morte, che erano state poste dal capo dei diavoli. Queste sono chiamate porte, perché attraverso di esse passano gli uomini portando le loro azioni e recando con grande impegno offerte sacrificali.

Alzatevi porte perenni ed entrerà il Re della gloria. [Queste porte perenni] sono poste in modo appropriato contro le porte della morte, per mostrare che le prime sono destinate a perire mentre queste rimarranno per sempre. Ciò che Adamo, per suggerimento del diavolo, mandò in rovina, trasgredendo la legge, Cristo Signore lo rinnovò compiendo la legge. Sono state innalzate le porte eterne, cioè la grazia del battesimo, l’onore del crisma, la salvezza della predicazione e tutti gli altri doni che sono stati elargiti con la venuta di Cristo Signore. Giustamente poi sono state chiamate porte eterne poiché attraverso di esse si è degnato di passare il Re della gloria.

8. Chi è queste Re della gloria? Il Signore forte e potente, il Signore potente in battaglia. Il profeta rivolge degli interrogativi per persuadere i Giudei increduli: Chi è questo re della gloria? Risponde attraverso il terzo tipo di definizione, quella che in greco viene chiamata poioths, in latino qualità: il Signore forte e potente, il Signore potente in battaglia. Se tu vi rifletti, [questo titolo] si adatta soltanto a Cristo. Anche i principi della terra possono essere detti gloriosi, ma soltanto l’Altissimo può essere definito Re della gloria. A questo interrogativo, come ho già detto, è aggiunta la risposta: qui giustamente viene rimproverata, l’indicibile arroganza del popolo giudaico, con le singole parole usate. Viene chiamato Forte in contrapposizione al fatto che essi decisero di arrestarlo con spade e bastoni. Potente dal momento che lo consegnarono impotente a Ponzio Pilato. Viene aggiunto anche potente in battaglia, affinché non credessero di aver prevalso nella loro disputa. Infatti quando vennero per arrestarlo, si sentirono dire: Io sono, e tutti, come attesta l’evangelista Giovanni, indietreggiarono all’istante. Così il Signore Salvatore con evidenza ha manifestato a noi le sue qualità come se apparissero nello stesso termine usato.

9. Sollevate porte i vostri frontali e alzatevi porte eterne, ed entrerà il Re della gloria.

10. Chi è questo Re della gloria? Il Signore delle potenze è il Re della gloria. Qui viene usato una figura molto bella che presso i greci viene chiamata anadiplosis, presso i latini raddoppiamento del discorso, ed essa viene usata nella poesia o in una ripetizione di frasi. Le ho già esposte entrambe nel commento che ho svolto in precedenza e anche adesso lo si consideri sufficiente. In precedenza, infatti, per confutare i giudei, aveva illustrato la grandezza del Signore, qualità per qualità, come gli competeva; ora invece in breve raggiunge il culmine di tutta lode e di tutta la verità; poiché non afferma soltanto che egli è forte, potente, grande in battaglia ma dichiara che è il Signore delle virtù. È Re della gloria, colui che rende gloriosi coloro che lo glorificano, come viene detto per mezzo del Signore: coloro che mi onorano, li onorerò (1 Re 2, 30). Colui che concede ad ognuno e vuole [concedere] potere, forza e tutti gli altri doni. Con gloria si intende ogni elogio pubblico che rende celebri e una lode ripetuta. Sono gloriosi, per dono di Dio, gli angeli, le Potenze, i Troni, le Dominazioni e le altre potentissime creature; ma nessuno è Re della gloria, se non Colui che le ha create e ne conserva la grandezza. Quale lode stupenda, quale conclusione degna di ammirazione! Non può un altro dire qualcosa di degno, se non colui che, come unico, è capace di esporre la sua grandezza. Venite ad attingere da qui, o maestri della letteratura secolare, le figure [del discorso], da qui emanano i molteplici generi di argomentazione, da qui le definizioni, da qui la scienza di ogni tipo di disciplina, quando vi sarete resi conto che in questi scritti sono state poste quelle cose che, come potrete accorgervi, sono state dette molto prima che venissero scoperte dalle vostre scuole.

Conclusione

Tutto questo salmo espone una dottrina morale; esorta ad abbandonare le superstizioni per servire con fedeltà al Signore vero e buono. Che cosa è più giusto dell’abbandonare colui che in Adamo ci ha dato la morte? Che cosa è più beato di seguire Colui che ha concesso al genere umano di liberarsi dalla morte che gli era stata inflitta? Concedi a noi, Signore, che abbiamo oltrepassato le porte della tua misericordia per mezzo del lavacro della santa rigenerazione, di non ritornare indietro ricacciati dal peccato.

Il numero poi di questo salmo ha riferimento con le ventitre lettere dell’alfabeto latino, le quali contengono le parole di quella lingua. Così presso gli ebrei si trovano ventidue lettere, presso i latini, ed è l’argomento che stiamo trattando, ventitre; presso i greci ventiquattro; tuttavia ogni lingua possiede nella sua estensione una quantità di lettere conveniente; così il numero di questo salmo profuma della beata perfezione.