venerdì 29 luglio 2011

Salmo 51

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. (Salmo 51).

Nel primo versetto compaiono due qualità riferite al Signore: amore e misericordia. Partendo da noi (abbi pietà di me), ci indirizziamo verso di Lui, verso la bontà e la misericordia; solo dopo formuliamo la nostra richiesta in tutto il suo tenore: cancella la mia iniquità. Nel primo versetto chiediamo, dunque, l’eliminazione completa del nostro peccato. Non chiediamo soltanto che venga sopportato, scusato, coperto ma distrutto.

Chiediamo che la fedeltà di Dio compia ciò che è impossibile da parte nostra: cancellare il passato. La supplica ricorda la rassicurazione del profeta Michea: «Qual Dio è come te che togli l’iniquità… e ti compiaci di usare misericordia? Egli calpesterà i nostri peccati… getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati» (Mi 7,18-19). Noi osiamo chiedere la cancellazione dei nostri debiti non come gesto di presunzione, o di furbizia ma perché sappiamo che è Dio il primo a voler cancellare la nostra malizia. È assai significativa l’immagine di Dio che calpesta le colpe. Egli vuole distruggere tutto ciò che ci rovina. Tuttavia, anche se frantumato, il peccato continua a persistere. Rimane come frammento. Allora, Dio raccoglie tutti i frammenti sparsi e li getta nella profondità del mare. Là vengono disciolti. Grazie alla misericordia di Dio il peccato diventa come materiale biodegradabile. Il questo versetto è esposta la conclusione ossia la totale sparizione (cancella) della colpa, ma ora dobbiamo osservare tutto il processo grazie al quale si può pervenire a quel risultato.

Il peccato sparisce quando Dio lo dimentica. Tuttavia, affinché avvenga questo, ossia affinché Dio voglia eliminare e dimenticare il peccato, noi dobbiamo invece ricordarlo, ricordarlo con dolore. Questo è l’argomento della seconda parte del salmo.

Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto: così sei giusto nella tua sentenza, sei retto nel tuo giudizio. Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre. Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo, nel segreto del cuore mi insegni la sapienza.

Nel testo si dice che è Dio stesso a risvegliare in noi il bisogno di verità, e lo chiama sapienza. Osserva Seneca: «Non c’è vizio per il quale non si cerchi una giustificazione» (Lettere a Lucilio, 116). Abbiamo bisogno di pentirci ma formuliamo argomenti di giustificazioni oppure argomenti contro lo stesso atto del pentimento. Ci sembra un ritorno al passato mentre, come vedremo, è un’anticipazione del futuro. Sembra un rinchiuderci nella colpa, mentre è l’unica possibilità che abbiamo di disincagliarci dal denso di colpa e riprendere camminare. La colpa, finché è negata, rende impossibile il sottrarci dalla sua ombra pesante.

Il salmista, a differenza di noi che vogliamo sempre attenuare, sembra quasi esagerare la gravità della sua situazione: sono stato formato nell’iniquità; le mie ossa sono frantumate.

Il primo momento è anche doloroso perché bisogna rinunciare ad ogni giustificazione. «Il mio peccato mi sta sempre dinanzi: «Un cuore sincero e contrito non ha dinanzi a sé che il proprio peccato e la miseria della sua coscienza. Non saprebbe pronunciare queste parole con profonda serietà chi trovasse ancora in se stesso qualche suggerimento o consolazione per cui non si sentirebbe del tutto miserabile, all’infuori della speranza nella misericordia di Dio» (cf. Lutero 110).

Questa non è una convinzione fredda della mente ma il convincimento di tutta la sua persona perché è accompagnato dal dolore: non è un sentire momentaneo ma permanente. «In questo differiscono i santi veri e i santi in apparenza: i santi veri riconoscono di avere delle debolezze, di non essere quello che dovrebbero e vorrebbero essere, e perciò condannano sé stessi e non si preoccupano degli altri. Gli altri invece non vedono le loro debolezze e pensano di essere finora quello che dovrebbero essere, sempre dimenticano se stessi e sono giudici delle iniquità altrui, capovolgendo questo Salmo nel modo seguente: Io riconosco le debolezze degl’altri e i loro peccati sono di continuo dinanzi agli occhi mio, perché portano sulle spalle il loro peccato e una trave negli occhi» (Lutero112).

Torniamo a riflettere sulla condanna di sé espressa dal salmista. Il pentimento non è in primo luogo un senso di disagio, sterile e paralizzante, su qualche azione del passato. È invece una nuova strutturazione di tutta la persona. Chi si pente non dice soltanto: «Che cosa ho fatto!» ma «Quale uomo sono io!». Una persona si pente quando è già diversa da quella di prima, che aveva operato male. È come se si osservasse da un punto di vista più elevato. Pentirsi presuppone l’essere saliti e il guardarsi da una prospettiva superiore. Nel pentimento già si delinea un nuovo inizio, un futuro. La persona che è diventato un altro non tende a liberarsi soltanto da una colpa ma tutte le colpe.

Dal suo doloroso presente, il salmista comincia a volgersi allora verso il futuro. Ho detto egli sembrava esagerare nel giudicarsi; parlando della sua opera non la chiamava soltanto peccato ma iniquità. Sembra allora che noi possiamo saper invocare con verità, con convinzione la misericordia soltanto mentre sperimentiamo la nostra totale impotenza e il nostro fallimento. Il salmista che dichiara queste cose, non spera più in se stesso. Egli pensa: «Quale uomo sono io!». S’accorge tuttavia che proprio nella profondità della sua mancanza di speranza, appare una luce inaspettata che può indicare la via d’uscita.

Aspergimi con rami d’issopo e sarò puro; lavami e sarò più bianco della neve. Fammi sentire gioia e letizia: esulteranno le ossa che hai spezzato. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe.

Il salmista si sente amareggiato e impotente ma crede che Dio possa riservagli ancora un futuro radioso: sarò puro, sarò più bianco della neve, sarò nell’esultanza e nella gioia. «Se io non credo in un Amore più grande dell’amore che porto per me stesso, non sono religioso» (Mazzolari 213). Nell’aprirsi al futuro che gli viene da Dio, il salmista prova il vero sentimento di fede: posso sempre far conto dell’amore di Uno che mi ama più di quanto io ami me stesso. «Padre non sono degno ma mi prendo lo stesso il tuo abbraccio, la tua veste nuova, il tuo anello, i tuoi calzari. Sono l’eterno mendicante del tuo amore: l’eterno dispregiatore del tuo amore. Sono la tua agonia, sono la tua gioia… sono tuo figlio» (Mazzolari 97).

Dio ha donato a noi suo Figlio affinché impariamo a non avere alcuna esitazione ad abbandonarci a Lui. Ora il cristiano possiede ancora un altro motivo più grande di fiducia e di speranza.

Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso.

Che cosa riserva in particolare il futuro di Dio? Egli vuole che il credente sappia essere saldo nel bene e generoso. Nell’esprimere il pentimento, noi ci siamo riconosciuti come persone che hanno vissuto in modo incostante e gretto. Ci siamo visti virtualmente diversi da come siamo. Abbiamo visto dall’alto e lasciato sotto di noi un uomo che non siamo più, perché non vogliamo più identificarsi con esso. Dobbiamo allora essere rifatti, nascere di nuovo. D’ora in avanti vogliamo diventare ciò che ci siamo bene intravisti ma che ancora non siamo.

Nel creare l’uomo, Dio aveva infuso in Lui il suo soffio. Vivere, tuttavia, è nello stesso tempo un prodigio e una delusione. Un prodigio perché potevamo essere un nulla; una delusione perché la vita si muove nel peccato e nel dolore. Occorre un nuovo soffio più potente. Come non ci si può creare, non ci si può creare di nuovo. Solo il Creatore può espandere la nostra esistenza. Il salmista chiede il nuovo soffio di Dio che sia tale da renderci saldi e generosi.

A questo punto il cristiano, pensa a Gesù. È lui l’uomo dello Spirito. Gesù è nello stesso tempo l’uomo di carne e l’uomo dello Spirito. Lo Spirito di Dio, saldo e generoso, lo abbiamo visto in modo concreto nel suo stile di vita. Chiedere l’infusione dello soffio di Dio, equivale a chiedere che diventi anche nostro l’essere profondo di Gesù.

martedì 26 luglio 2011

Lo Spirito nella Chiesa

La Chiesa è un mistero, cioè, in altri termini, un sacramento[1]. Essendo il « punto di incontro di tutti i sacramenti cristiani », è essa stessa il grande sacramento, che contiene e vivifica tutti gli altri[2]. Essa è sulla terra il sacramento di Gesù Cristo, come Gesù Cristo stesso è per noi, nella sua umanità, il sacramento di Dio[3].

Ogni realtà sacramentale, « vincolo sensibile di due mondi »[4], presenta una duplice caratteristica.

Da una parte, essendo segno di un'altra realtà, la prima deve essere non solo parzialmente, ma totalmente trascesa. Non possiamo arrestarci al segno. Esso non vale per se stesso; per definizione è cosa diafana, si annulla davanti a ciò che significa, come il vocabolo che non sarebbe niente se non conducesse dritto all'idea. A questa condizione, esso non è una realtà intermediaria ma mediatrice. Non isola uno dall'altro i due termini che ha il compito di congiungere, non interpone tra loro un distacco, ma viceversa li unisce, rendendo presente la cosa che esso evoca.

Ma, d'altra parte, questa realtà sacramentale non è un segno qualunque, provvisorio e cambiabile a piacere. Essa si trova in un rapporto essenziale con la nostra condizione presente, la quale, se non si svolge più nel tempo delle figure, non comporta tuttavia ancora il pieno possesso della « verità »[5].

La sua seconda caratteristica, perciò, indissociabile dalla prima, è quella di non poter mai essere respinta come se fosse ormai priva di utilità. Questa realtà diafana che noi dobbiamo sempre e totalmente attraversare, non potremo mai trascenderla definitivamente, perché è sempre per suo tramite che si raggiunge ciò di cui essa è segno. Non può mai essere superata o sorpassata.

Questo duplice carattere lo riscontriamo già in Cristo. « Se voi conosceste me, conoscereste anche il Padre mio... Filippo, chi vede me, vede anche il Padre »[6]. Nessuno, anche se avesse raggiunto il vertice della vita spirituale, non potrà mai pervenire ad una conoscenza del Padre che lo dispensi dal dover passare attraverso Colui che rimane, per sempre e per tutti, « la Via » e « l'Immagine di Dio invisibile »[7].

Lo stesso avviene per la Chiesa. Nella totalità del suo essere essa ha per fine di rivelarci il Cristo, di condurci a Lui, di comunicarci la sua grazia! Non esiste insomma che per metterci in rapporto con Lui. Essa sola lo può fare, e non potrà mai cessare di farlo. Non verrà mai il momento, tanto nella vita degli individui quanto nella storia dei popoli, in cui il suo compito debba o semplicemente possa finire. Se il mondo perdesse la Chiesa, perderebbe la Redenzione.

Il Nuovo Testamento, che ha fondato la Chiesa affidandole l'eredità di Israele, è anche il « Testamento ultimo ». La Chiesa non è, come la Legge, un pedagogo necessario all'adolescenza ma superfluo per l'età matura. « L'educazione divina » di cui essa ha l'incarico in mezzo a noi, ha la stessa durata del tempo, e quindi noi abbiamo in essa non un annunzio soltanto, una preparazione più o meno prossima, ma « tutto l'avvento del Figlio dell'uomo »[8]. Essa rimane costantemente presente al dialogo dell'anima col suo Signore. Interviene attivamente in ognuna delle sue fasi, senza per altro ostacolarne l'intimità, ma al contrario garantendola. Colui che si crede profeta o ricco in doni spirituali, deve ricordarsi che occorre prima di tutto sottomettersi ai comandi del Signore, così come gli vengono espressi dalla voce della sua Chiesa: diversamente profetizza invano ed i suoi doni lo portano alla perdizione[9].

Chi, cedendo alla seduzione di un facile spiritualismo, volesse scuotere la Chiesa come un giogo o volesse eliminarla come un intermediario ingombrante, ben presto non abbraccerebbe più che il vuoto o finirebbe per abbandonarsi ai falsi dèi. Se dopo essersi appoggiato alla Chiesa egli credesse di poter andare più lontano di essa, non sarebbe più che un mistico fuorviato. Chi immaginasse nell'avvenire una « realizzazione della Gerusalemme celeste », che apra sulla terra « un nuovo periodo della storia » ed assicuri finalmente « il completo trionfo dello spirituale », potrebbe credere di profetizzare un ritorno della specie umana al paradiso perduto[10]; in realtà non farebbe che un sogno orgoglioso e insano.

Così purtroppo Tertulliano, caduto nell'errore, andava dicendo: « La durezza del cuore ha regnato fino a Cristo; l'infermità della carne dura fino al tempo del Paraclito »[11]; oppure ancora: « La legge e i Profeti hanno educato il mondo nella sua infanzia; la sua gioventù venne a sbocciare col Vangelo, mentre con il Paraclito giunge alla maturità »[12].

Tutti gli annunci di una Terza Età, di una età dei « contemplativi » successiva all'età dei « dottori », di una Chiesa di san Giovanni successiva a quella di Pietro[13], o di un Regno futuro dello Spirito successivo al Regno attuale del Cristo ed alla disciplina della sua Chiesa, introducono delle fratture letali. Possono dare periodicamente una seduzione nuova al vecchio montanismo che esse trasformano, secondo il gusto di ogni secolo, in una specie di filosofia della storia[14]; possono anche presentarsi molto spesso uniti a pensieri nobilissimi: non sono per questo utopie meno nocive[15].

« Verrà, verrà certamente — esclamava Lessing — l'età della perfezione! Verrà il tempo del Nuovo Vangelo, di questo Vangelo eterno che troviamo promesso agli uomini negli stessi libri della Nuova Alleanza! »[16]. Quest'effusione lirica non esprimeva nient'altro che una ben piatta teoria del progresso; non annunciava nient'altro che un'età di razionalismo che è difatti venuta e che noi possiamo giudicare. Ma le formule del vecchio abate Gioacchino da Fiore, o quelle dei suoi fanatici discepoli, non cessano di rifiorire su nuove labbra, per incantare nuovi uditori. Soltanto ieri le abbiamo trovate in Nicola Berdiaeff con intendimento ben diverso da quello di Lessing: profetizzavano una nuova rivelazione, quella « definitiva », una « nuova èra dello Spirito », una « Chiesa dello Spirito Santo » nella quale verrà letto « il Vangelo eterno »; una « religione dell'uomo maggiorenne », corrispondente a una « nuova struttura della coscienza umana », finalmente « sgombra dai detriti che la paralizzavano » e « liberata dalla schiavitù dell'oggettivazione »[17].

Può darsi, come per lo stesso Gioacchino da Fiore, che si debba ravvisare in questi « presentimenti » solo un'espressione non troppo felice; può darsi che il « nuovo eone » che s'intravvede dopo questa « nostra vecchia epoca agonizzante » non abbia ad iniziare che alla fine del mondo attuale, perché ci è pure detto che allora saranno instaurati « nuovi rapporti tra l'uomo e il cosmo » e che « le attese messiache non potranno realizzarsi nei limiti della storia, ma si realizzeranno fuori di essa[18]; può darsi infine che, tanto nello stesso Berdiaeff, quanto almeno in qualcun altro, l'annunzio profetico non sia altro che una forma stilistica per esprimere la necessità d'un continuo ricorso allo Spirito, al fine d'evitare gli insabbiamenti fatali nel campo pratico dell'esistenza... In tutti i casi però, davanti ai miraggi suscitati da simili promesse, bisogna dire molto chiaramente che i tempi annunziatori sono passati, e che noi oggi possediamo la realtà vivente sotto i segni, e che, finché durerà questo mondo, questo stato di cose, nella sua essenza non si può superare. Nella misura con cui tentassimo di misconoscerlo, dalla speranza cadremmo nei miti illusori.

Dopo che Gesù è stato glorificato ci è stato donato lo Spirito; ed è questo dono dello Spirito nel giorno della Pentecoste, che ha ultimato la costituzione della Chiesa[19].

L'età dello Spirito Santo perciò non la dobbiamo più aspettare: essa coincide esattamente con l'era del Cristo[20].

Communicatio Christi, id est Spiritus Sanctus[21]. È lo Spirito che ci insegna ogni verità; ma anch'Egli, come Gesù, l'inviato del Padre, non parla di se stesso e non cerca la sua gloria[22]. Fedele alla missione ricevuta da Colui « nel nome » del quale ci è stato inviato, egli ci fa comprendere il suo messaggio, ci « ricorda » le sue parole, ma non vi aggiunge nulla; interviene, per così dire, a mettere il sigillo definitivo al suo insegnamento[23]. Ci dispone al suo Vangelo, ma non lo trasforma affatto. Sovente egli ha parlato, prima ancora della venuta di Gesù; ma era unicamente per annunciarlo: qui locutus est per Prophetas. Dacché Gesù è risalito al Padre, egli continua a parlare; ma è ancora unicamente per rendergli testimonianza, come Gesù rende testimonianza al Padre[24], e per proclamare la sua unica Signoria. Non è per sostituirsi a Lui. Egli è insomma « lo Spirito di Gesù »[25].

Ora non esiste altro Spirito che lo Spirito di Gesù; e lo Spirito di Gesù è l'anima che vivifica il suo corpo[26]. Come la lettera della Legge riuniva l'antico popolo, così lo Spirito plasma il popolo nuovo[27]. Noi siamo oggi nello Spiritocome siamo nel Cristo; possiamo dire indifferentemente di essere stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, come si esprime san Paolo, oppure, come commenta san Basilio, di essere stati battezzati in un solo corpo per formare un solo Spirito[28]. La Chiesa è la « società dello Spirito »[29]. Ed è nella Chiesa che lo Spirito glorifica Gesù, come è in essa, in questa « dimora di Cristo », che Egli ci viene donato[30]30, « alleanza eterna e finale »[31].

Guai dunque a colui che separa la Chiesa dal Vangelo! Guai a colui che le vorrebbe sottrarre il fermento spirituale che essa mescola alla pasta umana![32] Guai a colui che nella Chiesa tenta di « spegnere lo Spirito! »[33]. Ma guai ugualmente a colui che pretende di liberarne la fiamma rifiutando la Chiesa![34].

La Chiesa è il sacramento di Gesù Cristo. Questo significa ancora, in altri termini, che essa ha con Lui un certo qual rapporto di identità mistica. Ritroviamo qui le metafore paoline e le altre immagini bibliche che la Tradizione cristiana non ha mai cessato di utilizzare. Vi si trova espressa la stessa intuizione della fede. Capo e membra non formano che un solo corpo, un solo Cristo[35]. Lo Sposo e la Sposa sono una sola carne. Corpo della sua Chiesa, il Cristo non la governa dal di fuori: essa dipende da Lui, ma ne è nello stesso tempo il compimento e la « pienezza »[36]. Essa è ancora il Tabernacolo della sua Presenza[37], l'Edificio di cui Egli è insieme l'Architetto e la chiave di volta, il Tempio ove Egli insegna e dove attira con sé tutta la Divinità[38]. Essa è la Nave di cui egli è il pilota[39], l'Arca delle grandi murate di cui egli è l'Albero maestro, che assicura la comunicazione col cielo di tutti coloro che essa accoglie[40]. È il Paradiso[41], di cui Egli è l'albero e la sorgente di vita; è l'astro che riceve da Lui tutta la luce e che rischiara la nostra notte[42].

Se non si è, in qualche modo, membra del corpo, non si riceve l'influsso del Capo. Se non si aderisce all'unica Sposa, non si è amati dallo Sposo. Se si profana il Tabernacolo, si resta privi della Presenza sacra. Se si abbandona il Tempio, non si intende più la Parola. Se si rifiuta di entrare nell'Edificio o di rifugiarsi nell'Arca, non si può trovare Colui che ne è il centro, e la volta. Se si sdegna il Paradiso, non si può essere ne dissetati, ne nutriti. Se si crede di poter fare a meno della luce riflessa, si rimane per sempre immersi nella notte dell'ignoranza.

Praticamente, per ciascuno di noi. Gesù Cristo è la sua Chiesa, sia che noi consideriamo soprattutto la gerarchia ricordando le parole di Gesù: « Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi disprezza me »[43], sia che noi guardiamo a tutto il Corpo, a questa intera Assemblea in seno alla quale Egli risiede e si manifesta, e dal cui seno si eleva ininterrotta, nel Suo nome, la lode di Dio[44]. La frase di Giovanna d'Arco, ai suoi giudici esprime nello stesso tempo la profondità mistica della fede ed il buon senso pratico del credente: « Di Gesù Cristo e della Chiesa io penso che siano la stessa cosa, e che su questo punto non si debbano fare difficoltà ».

Questo grido di un cuore fedele riassume la fede di tutti i Dottori[45].

Per quanto gravi possano essere le difficoltà che ci assalgono e i turbamenti che rischiano di sviarci, atteniamoci saldamente a questa equi valenza. Come Ulisse che si faceva legare all'albero della nave per difendersi, suo malgrado, dalle voce delle sirene, aggrappiamoci, se è necessario, senza più nulla ascoltare e nulla vedere, alla verità salvatrice di sui sant'Ireneo ci da la formula: « Dov'è la Chiesa, là c'è lo Spirito di Dio, e dove è lo Spirito di Dio, là c'e la Chiesa ed ogni grazia, e lo Spirito è verità; allontanarsi dalla Chiesa è rifiutare lo Spirito» e perciò « escludersi dalla vita »[46].

Crediamo sempre con san Giovanni che e impossibile udire lo Spirito senza ascoltare ciò che Egli ha detto alla Chiesa[47]. Ricordiamoci che non esiste alcuna speranza di solida unità al di fuori di colei che ne ha ricevuto le promesse.

Teniamo come un principio assoluto che non ci può mai essere nessun valido motivo per staccarsi da lei[48]. Sappiamo comprendere in tutta la sua ampiezza e nel suo austero tassativo rigore l'assioma tradizionale già formulato da Origene: Extra Ecclesiam nemo salvatur[49].Sforziamoci di comprenderlo in tutta la sua magnifica ampiezza, perché, come spiegava sant'Agostino, « nella ineffabile prescienza di Dio, molti che sembrano fuori sono invece dentro » — lo sono già almeno « in voto, cioè col desiderio ». — mentre « molti che sembrerebbero dentro, sono fuori »; sempre però « il Signore riconosce quelli che sono suoi »[50]. Nello stesso tempo, però, dobbiamo anche comprendere quest'assioma nella sua esigenza assoluta, perché colui che « si separa dalla comunione cattolica » ed « esce dalla Casa » della salvezza, « si rende da se stesso responsabile della propria morte[51] ». Non lasciamo mai che si insinui in noi l'infausta idea di « rompere il vincolo della pace » con una sacrilega separazione[52]52. Non illudiamoci, mettendoci fuori della Chiesa, di poter ancora restare « nella comunione del Cristo ». Ma ripetiamo a noi stessi come sant'Agostino: « Per vivere dello Spirito di Cristo, bisogna rimanere nel suo Corpo »[53], e ancora: è « in proporzione a quanto si ama la Chiesa di Cristo, che si possiede lo Spirito Santo »[54].

Può darsi che molte cose, nel contesto umano della Chiesa, ci deludano. Può darsi che, senza alcuna colpa da parte nostra, noi siamo profondamente incompresi. Può darsi infine, che nel suo stesso seno noi abbiamo a patire persecuzioni. Il caso non è impossibile, benché occorra evitare di applicarlo presuntuosamente a noi stessi. Pazienza ed amoroso silenzio varranno allora più di ogni altra cosa; non avremo da temere il giudizio di coloro che non possono leggere nei cuori[55], e penseremo che la Chiesa non ci dona mai con tanta pienezza Gesù Cristo

come quando ci offre l'occasione di essere configurati alla Sua Passione.

Noi continueremo a servire con la nostra testimonianza la fede che la Chiesa non cessa di predicare. La prova sarà forse più pesante quando non viene dalla malizia di alcuni uomini, ma da una situazione che può parere inestricabile: perché allora, per superarla, non è più sufficiente un perdono generoso o l'oblio di se stessi. Siamo lieti tuttavia, davanti « al Padre che vede nel segreto », di partecipare in tal modo a quella Veritatis unitas che noi imploriamo per tutti nel giorno del Venerdì Santo. Siamo lieti di poter acquistare allora, a prezzo del sangue dell'anima, quell'esperienza intima che darà efficacia alla nostra parola quando dovremo sostenere qualche fratello gravemente scosso, dicendogli con san Giovanni Crisostomo: « No, non separarti dalla Chiesa! Nessuna potenza ha la sua forza. La tua speranza, è la Chiesa. La tua salvezza, è la Chiesa. Il tuo rifugio, è la Chiesa. Essa è più alta del cielo e più grande della terra. Essa non invecchia mai: la sua giovinezza è eterna »[56].

Da Henri de Lubac, Meditazione sulla Chiesa, cap 6.


[1] Cfr. Dom J. gribomont, Du Sacrement de l'Eglise et de ses réalisations imparfaites,in Irenikon, t. XXII (1949), pp. 345-367. J. pinsk, Die sakramentale Welt, in Ecclesia orans (1938). S. tyszkiewicz, op. cit., pp. 188-192.

[2] Concilio di Firenze, Decretum pro Jacobitis (1441-1442): « ...tantumque valere ecclesiastici corporis unitatem, ut solum in ea manentibus ad saluterò ecclesiastica sacramenta proficiant ».

[3] Cfr. Messale ambrosiano, prefazio della prima domenica di Avvento; « ...manifestans plebi tuae Unigeniti tui sacramentum... » sant'agostino, Epist. 187, n. 34: « Non est enim aliud Dei mysterium, nisi Christus » (P. L., 38, 845).

[4] joseph de maistre, Lettre a une dame russe [Oeuvres, t. Vili, p. 74). Cfr. l'ammirabile pagina di san bernardo, In Cantica, sermo 33, n. 3.

[5] Per il significato sostanziale della parola usata in tal senso, cfr. Corpus mysticum, pp. 217-230.

[6] Jo XIV, 7-9.

[7] Col I, 15; Jo XIV, 6.

[8] Origene, In Matt. Serie 47.

[9] 1 Cor., XIV, 37-38: « Si quis videtur propheta esse aut spiritalis, cognoscat quae scribo vobis, quia Domini sunt mandata. Si quis autem ignorai, ignorabitur ».

[10] rene guénon, Autorité spirituelle et pouvoir temporel (1930), pp. 151-152.

[11] De Monogamia, c. 14.

[12] De velandis virginibus, c. 1.

[13] Cfr. gioacchino da fiore, 11 Salterio a dieci corde (trad. frane., E. aegerter, p. 165).Ibid., p. 157: « Come il velo di Mosè è stato sollevato da Cristo, così il velo di Paolo sarà sollevato dallo Spirito Santo, ecc... ». Al che rispondeva già san bonaventura, In Hexaemeron, collatio XVI: « Post novum Testa-mentum non erit aliud » (Quaracchi, t. V, p. 403).

[14] A proposito di Gioacchino il rilievo è già stato fatto da M. eugene anitchkof,Joachim de flore et les milieux courtois (1931), p. 169.

[15] Forse è stata una giustificazione talvolta troppo naturale della Chiesa, che implica una certa qual dimenticanza del compito svolto in essa dallo Spirito Santo, a rendere — per compensazione — joseph de maistre indulgente con gli « illuminati ». Cfr. Soirées de Saint-Pétersbourg, undicesimo trattenimento.

[16] L'educazione del genere umano, n. 85-86.

[17] Dialettica esistenziale del Divino e delI'Umano (1947), pp. 225 e 228-244.

[18] Op. cit., pp. 65, 226-227, 221.

[19] 1 Thess., IV, 8; I Cor., II, 12; Jo., VII, 39: «Egli diceva questo dello Spirito che avrebbero dovuto ricevere quelli che credono in lui; infatti lo Spirito non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora stato glorificato ». Cfr. gioacchino da fiore, Super quatuor evangelio: « Etsi secundum litteram completa est post resurrectionem Domini promissio illa Filli de do. natione Spiritus sancti, secundum tamen illam plenitudinem quam ostensurus est cum fuerit a rebelli quoque Judaeorum populo converso ad Dorninum per Eliam et ejus socios glorificatus, etiam nunc dicere possumus: Spiritus non erat datus quia Jesus nondum erat glorificatus » (ediz. a cura di ernesto buonaiuti,Roma (1931), p. 169.

[20] Rom., VIII, 9-10: « ...si tamen Spiritus Dei habitat in vobis est... ». Cfr. Gai., IV, 6.didimo il cieco, Dello Spirito Santo, traduz. di san girolamo: « Idem autem Spiritus Dei et Spiritus Christi est, deducens et copulans eum qui in se habuerit Domino Tesu Christo » (P. G., 39, 1068). sant'ilario, De Trinitate, l.VIII, e. 27.

[21] sant'ireneo, Adversus Haereses, 1. II, e. 24, n. 1 (ediz. F. sagnard, « Sources chrétiennes », 34, pp. 398-400).

[22] Jo., XII, 49-50. Cfr. saint jure, L'uomo spirituale, I parte, e. 1. G. monchanin,Teologia e mistica dello Spirito Santo, in Dieu Vivant, 23, p. 76: « Una mistica dello Spirito Santo, non è soltanto una mistica dello Spirito Santo, ma e la mistica per eccellenza del Cristo ed anche la mistica del Padre; un invito continuo a oltrepassare le apparenze, ad attraversare la Scrittura, il Dogma e la Liturgia — che interiorizzandola la nutrono e perfezionano — a contemplare incessantemente il prosodos e l’exodos della creazione deificata, e più amorevolmente ancora l'espansio-ne e il raccoglimento della Trinità... ».

[23] « Quodammodo obsignaturus »: leone XIII, enc. Divinum illud.

[24] ]o., XIV, 26; XV, 26; XVI, 13-14. Cfr. VII, 39; XX, 22. Act., II, 23. sant'epifanio,Adversus omnes haereses, VII, a riguardo dei montanisti, che pretendono « Paracletum plura in Montano dixisse, quam Christum in Evangelium protulisse ».

[25] I Cor., XII, 3. Cfr. san basilio, Trattato dello Spirito Santo, e. 18 (trad. frane. B.pruche, O. P., « Sources chrétiennes », 17, p. 197). Act., XVI, 7.

[26] sant'a'gostino, Sermo 268, a. 1: « Quod est spiritus noster, id est anima nostra, ad membra nostra, hoc est Spiritus sanctus ad membra Christi, ad corpus Christi, quod est Ecclesia » (P.L, 38, 1232); Senno 267, n. 4 (col. 1231). Cfr. Rom., VIII, 9; II Cor., Ili, 17; Gai., IV, 6. Vedere precedentemente cap. IV.

[27] II Cor., IlI, 6-11; Phil., III, 3; cfr. J Cor., XII, 13; Eph , IV, 4, ecc.

[28] san basilio, Dello Spirito Santo, e. 26, n. 61, nel commento a J Cor., XII, 18 (P. G., 32, 181 B). Cfr. l'osservazione di S. tromp, De Spiritu sancto anima corporis mystici, I, p. 34.

[29] « Societas Spiritus »: sant'agostino, Sermo 71, c. 19, n. 32 (P.L., 38, 462); c. 23, n. 37: « congregatur in Spiritu sancto » (col. 466).

[30] pseudo-beda, In ]oannem (P.L., 92, 862 A-B). sant'agostino, De Trinitate, 1. XV, c. 19, n. 34.

[31] san giustino, Dialogo, c. 11, n. 2.

[32] Cfr. origene, Scholia in Lucani, XIII, 21: « Accipi potest mulier pro Ecclesia, fermentum pro Spiritu sancto, etc. » (P. G., 24, 565).

[33]1 Thess., V, 19. O a chi le impedisce di ringiovanire continuamente il deposito affidato alla Chiesa e il vaso stesso che lo contiene. (Cfr. sant'ireneo, Adv. Haer., III, 24, 1).

[34] Oppure che profetizza un altro Vangelo oltre il Vangelo di Gesù predicato dalla Chiesa. Cfr. Liber introductorius in expositionem in Apocalypsin, e. 5: « II primo degli stati del mondo si è svolto sotto il regno della Legge; il secondo è stato instaurato dal Vangelo e dura fino al momento presente; il terzo incomincerà verso la fine di questo secolo; già noi intravediamo il suo svelarsi in pieno affrancamento spirituale... Questo tempo dell'intelligenza spirituale, che va continuamente aprendosi, sarà messo sotto l'influenza del regno dello Spirito Santo... L'angelo teneva in mano un Vangelo eterno; che cosa c'è in questo Vangelo? Tutto quello che va oltre il Vangelo del Cristo » (trad. franc. E. aegerter, t. II, pp. 90-118; riassunto).

[35] sant'Agostino, In Psalm. 54, n. 3: « Caput et membra, unus Christus » (P. L., 36, 629). san tommaso, Tertia, q. 48, a. 1 : « Caput et membra, quasi una persona mystica »; cfr. q. 49, a. 1; q. 19, a. 4; De Ventate, q. 29, a. 7, ad llm.

[36] Eph., I, 22. Cfr. joseph huby, san Paolo, Epitres de la captivité, pp. 167-171.

[37] berengaud, In Apocalypsin (P. L., 17, 884 B-C; 937 B). Cfr. Exod., XXV, 8.

[38] origene, In Lucani, hom. 18 e 20 (ediz. rauer, pp. 123-124 e 132). sant'àgostino,Enchiridion, c. 56 (P. L., 40, 259).

[39] sant'ippolito, De Antichristo, e. 59.

[40] ugo di san vittore, De Arca Noe morali, 1. II, e. 7: « Columna in medio arcae erecta ...ipsa est lignum vitae quod plan-tatum est in medio paradisi, id est Dominus Jesus Christus in medio Ecclesiae suae, quasi praemium laboris, etc. » (P. L., 176, 640). Si riconosce qui il simbolo fondamentale dell'albero cosmico, che noi abbiamo già studiato a parte in Aspects du Bouddhisme, cap. II, (1951), pp. 55-79.

[41] sant'ireneo, Adversus Haereses, 1. V, e. 20, n. 2 (P. L., 7, 1178 A). tertulliano,Adversus Marcionem, 1. II, e. 4: « translatus in paradisum, — jam tunc de mundo in Ecclesiam » (ediz. kroymann, p. 338). berengaud, In Apoc. (P.L., 17, 778 D). ugo di san vittore, op. c'it., 1. II, c. 9: « Dominus Jesus Christus in medio Ecclesiae suae quasi lignum vitae in medio paradisi plantatus est, de cujus fructu quisque digne manducare meruerit, vivet in aeternum » (P. L., 176, 643). riccardo DI san vittore, Allegarne, 1. I, e. 6: « Fons qui est in paradiso, Christum significat. Quatuor flumina fontis, quatuor sunt Evangelia Christi » (P.L., 175, 638-639), ecc. Cfr. 4 Esdra, CHI, 52, su Gesuralemme: « Vobis apertus est paradisus, plantata est arbor vitae,... aedificata est civitas ».

[42] origene, Sulla Genesi, hom. I, n. 5.

[43] Luc., X, 16; Matt., X, 40.

[44] Psalm. 34, v. 18; Psalm. 25, v. 12; Psalm. 67, v. 27.

[45] sant'Agostino, De Doctrina christiana, 1. Ili, e. 31, n. 44: « Christi et Ecclesiae, unam personam nobis intimari » (P. L., 34, 82). san gregorio, Moralia m Job.,prefazione, c. 14: « Redemptor noster unam se personam cimi sancta Ecclesia, quam assumpsit, exhibuit... » (« Sources chrétiennes », 32, p. 136). Ciò, del resto, non sopprime affatto la subordinazione della Chiesa al Cristo, ma la suppone; san Gregorio infatti aggiunge: « De ipso enim dicitur: Qui est caput omnium nostrum, et de Ecclesia ejus scriptum est: Corpus Christi quod est Ecclesia ». Cfr. 1. XXXV, e. 14, n. 24: « Christus et Ecclesia, id est caput et corpus, una persona est » (P. L., 76, 762 C).

[46] Adversus Haereses, 1. Ili, e. 24, n. 1 (sagnard, p. 400). È appunto per questo che la Chiesa è « arrha incorruptelae, et confirmatio fidei nostrae, et scala ascensionis ad Deum » (ibid.).

[47] Cfr. Apoc., II, 7, ecc. san bernardo, In Vigilia nativitatis Domini, sermo 3, n. 1: « Ecclesia, quae secum habet consilium et spiritum Sponsi et Dei sui » (P. L., 183, 94 D).

[48] sant'agostino, Cantra epistulam Parmeniani, 1. Ili, e. 5, a. 28: « Nulla est igitur securitas unitatis, nisi ex promissis Dei Ecclesiae declarata... Inconcussum igitur firmumque teneamus, nullos bonos, ab ea se posse dividere, etc. (P. L., 43, 104-105).

[49] In Jesu Nave, hom., 3, n. 5 (ediz. W.-A. baehrens, pp. 306-307).

[50] De Baptismo, 1. V, e. 27, n. 38 (P. L. 43, 195-196); cfr. e. 16, n. 20-21; e. 21, n. 29 (coli. 186-187, 191); De ordine, 1. II, e. 10, n. 29 (P.L., 32, 1008): « Illud divinum auxilium... certius quam nonnulli opinantur, officium clementiae suae per universos populos agit ».

[51] De Baptismo, 1. V, e. 19, n. 25; e. 4 (P. L., 43, 189 e 179). origene, oc. cìt.: « Si quis forte exierit, mortis suae ipse fit reus ». sant'ilario, Trattato dei misteri, e. 9.Omelie pasquali, I, n. 13. lattanzio, Divin. Instimi. 1. IV, e. 30 (P.L., 6, 542-543). san fulgenzio da ruspe, De remissione peccatorum, 1. I, e. 19 (P.L,, 65, 543). san gregorio,Moralia in Joh,.l. XIV, n. 5 (P. L., 75, 1043). Sul pensiero di san Cipriano: G. kopf, « Fuori della Chiesa non vi è salvezza », origini d'una formula equivoca, in Cabiers universitaires catholiques, 1953, pp. 302-310.

[52] sant'agostino, De Baptismo, I. II, e. 6, n. 7: « Vos ergo quare separatione sacrilega pacis vinculum dirupistis? » (P. L., 43, 130).

[53] Testo citato da Mons. feltin, Lettera pastorale per la quaresima 1951 su II senso della Chiesa. Cfr. Epist., 185, c. 11, n. 50: « Proinde Ecclesia catholica sola corpus est Christi... Extra hoc corpus neminem vivificai Spiritus sanctus... Non habent itaque Spiritum sanctum, qui sunt extra Ecclesiam » (P. L., 33, 815). In Jo., tract. 27, n. 11 (P. L., 35, 1621). Cfr. De consensi! evangelistarum, 1. Ili, n. 72: « Ne quisquam se Christum agnovisse arbitretur, si ejus corporis particeps non est, id est, Ecclesiae! » (P. L., 34, 1206). san gregorio, In septem psalmos poenitentiae, 1. V, (P. L., 77, 602).

[54] sant'agostino, In ]oannem, tract. 32, n. 8: « Quantum quisque amat Ecclesiam Christi, tantum habet Spiritum sanctum » (P. L., 35, 1646).

[55] san roberto bellarmino, De romano Pontifico, 1. I, 4, e. 20.

[56] De capto Eutropio, c. 6 PG 502, 402.