venerdì 3 giugno 2011

cantico 6

Ritrovamento

1.9 Alla cavalla del cocchio del faraone io ti assomiglio, amica mia. 10 Belle sono le tue guance fra i pendenti, il tuo collo fra i vezzi di perle. 11 Faremo per te pendenti d’oro, con grani d’argento.

Alla cavalla del cocchio del faraone io ti assomiglio, amica mia. Il complimento è piuttosto sorprendente e oscuro e perciò sono state date molteplici interpretazioni. «Amica mia, sei come una puledra che fa impazzire i cavalli del faraone!» (tr. ABU). Altra interpretazione: I cavalli da guerra dei popoli antichi venivano coperti da bardature atte adevidenziare il collo e il muso. L’amata, paragonata a qualche esemplare meraviglioso della cavalleria egiziana, viene considerata una regina, benché di per sé sia soltanto una pastorella. Nel frattempo è chiamata anche amica per dare risalto al valore amicale dell’amore piuttosto che a quello istituzionale. I due amanti sono soprattutto amici. Un pensiero per nulla ovvio nell’ambiente patriarcale.

[Dichiara il ragazzo facendo le veci del Signore: «La mia cavalleria si distingue nettamente dalla scuderia di faraone; allo stesso modo tu [amica mia] superi tutte le altre ragazze» [1]. ]

«Vediamo quali sono i doni che [il Signore] ricorda di averle fatto. Innanzi tutto l'ha paragonata alla sua cavalleria tra i cocchi del Faraone, liberandola dal giogo del peccato, mortificando tutte le opere della carne, come Israele fu liberata dalla schiavitù d'Egitto. Questo è un atto di grande misericordia! Confesso e confesserò: Se il Signore non fosse mio aiuto, in breve io abiterei nel regno del silenzio (Sai 93,17). Non sono ingrato, non l'ho dimenticato: Canterò senza fine le grazie del Signore (Sal 88,1)» [2].

Nella vita spirituale, per poter acquisire bellezza bisogna anche lottare: «Ecco cosa capita ai principianti. Basta che comincino appena a gustare le nuove soavità della contemplazione, e vivano qualche esperienza più dolce, pensano subito di non avere più nessun bisogno di lottare contro i vizi della carne e dell'anima. Mentre sognano solo le attrattive delle virtù che di per sé è chiaro sono fonte di gioia, non si preoccupano di possederle in maniera salda e sicura. Trascurano la necessaria pratica di queste virtù e la dolcezza che gustano, e che dipende dalla misericordia di Dio più che da chi vuole e corre (cf. Rm 9,16) 16), li fa stare tranquilli, per cui alla fino sottovalutano i gravi pericoli che armano loro stessi contro se stessi. Per questo lo Sposo dopo aver indicato alla Sposa la via della purezza, dopo averle aperto la porta della libertà contemplativa continua dicendo: Ho trovato che rassomigli alla mia cavalleria fra i carri di faraone, o amica mia. Va bene che sei un'amica, amica quanto ti pare, però ricordati che devi cavalcare e correre, devi faticare e combattere» [3].

Belle sono le tue guance fra i pendenti, il tuo collo il tuo collo fra vezzi di perle. Faremo per te pendenti d’oro. Gli amici ritengono che la bellezza della ragazza meriti ornamenti ancora più preziosi (v. 11).

«Ora gli amici si propongono di rendere questa cavalla ancora più bella, ornando le bardature con ornamenti dorati, tempestati di puntini d'argento. L'anima, resa pura dall'esercizio delle virtù, era stata paragonata a una cavalla. Tuttavia essa non era ancora sottoposta al Verbo né portava in sé Colui che viene trasportato dai cavalli per compiere la salvezza. Era necessario, prima di tutto, che il cavallo venisse adornato alla perfezione e venisse reso degno, in seguito, di accogliere il Re che l’avrebbe montato. Dio supera ogni comprensione. Ogni concetto possiede l'estensione di un piccolo punto, non riesce a manifestare ciò che intende esprimere ma rimane sempre inferiore alla vera conoscenza di Dio. È necessario, piuttosto che l'anima, condotta per mano da questi concetti, faccia abitare in se stessa Dio che trascende ogni concetto, appoggiandosi sulla fede soltanto» [4].

1.12 Mentre il re è nel suo recinto, il mio nardo spande il suo profumo. 13 Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra, riposa sul mio petto. 14 Il mio diletto è per me un grappolo di cipro nelle vigne di Engaddi.

Il recinto (o giardino o triclinio) sono metafore per indicare il corpo femminile. Nel rapporto d’amore l’amata spande il suo profumo, ossia il fascino della sua femminilità e si sente soddisfatta nel donare soddisfazione, nel far riposare il suo diletto. L’amato è paragonato ad un sacchetto di mirra che emana un profumo intenso. Tali metafore indicano la reciproca attrazione. «Tra gli ebrei si usava spruzzare con questa essenza i convitati, quando si trattava di persone illustri o quando si voleva offrire un servigio, poiché era di grande pregio» [5].

Mentre il re è nel suo recinto, il mio nardo spande il suo profumo. Quando il Cristo venne tra noi, nel suo recinto, e ci redense, l’umanità ebbe un miglioramento significativo: «Quando il Figlio di Dio è apparso nella carne, la Chiesa, proprio grazie al mistero dell’incarnazione, crebbe nel fervore [di acquisire] le virtù divine. Quando subì l’umiliazione della croce, il genere umano, grazie alla redenzione ottenuta dalla croce, diffuse un profumo soave, la pratica delle opere buone» [6].

Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra, riposa sul mio petto. «Poiché è usanza bella e amata dalle giovani portare tra le mani un mazzolino di fiori o qualcosa di odoroso, accostarlo alle narici o nasconderlo nel petto, luogo desiderato e bello, tale, dice, è per lei il suo sposo che, per il grande amore che gli porta, è sempre davanti ai suoi occhi, custodito nel suo petto e riposto nel suo cuore. Mirra è un piccolo albero che vive in Arabia, Egitto e Giudea, dal quale, incidendo la corteccia, in certi periodi, stilla quella che noi chiamiamo mirra; i fiori e le foglie di quest’albero profumano molto; di essi parla la sposa» [7].

Dio vuole rimanere in permanenza con il suo popolo, Israele, anche se sa che esso è colpevole: «Fra i miei seni riposerà: benché io avessi tradito la sua fiducia, egli promise di dimorare là, tra le due stanghe dell’arca» [8].

Un sacchetto di mirra. La mirra richiama l’unzione del corpo di Gesù nel momento della sua sepoltura. Egli è come un fascetta di mirra posato sul cuore, nella memoria degli uomini: «La morte del mio Diletto, subita da lui per la mia salvezza, rimane sempre fissa nella mia memoria» [9]. La mirra richiama anche le amarezze e le sofferenze che la Chiesa subisce per la sua fedeltà al Vangelo: «Dovrà sopportare amare prove per amore di Cristo, ma esse verranno addolcite grazie alla rugiada della speranza nella gioia eterna» [10].

Riposa sul mio petto. «Cristo diviene per lei un sacchetto di mirra per allontanare dal suo cuore tutte le malattie causate dai vizi. Allora lei gli prepara una dimora pura. Là, nel segreto del suo cuore, può invitare con grande confidenza il Cristo che dichiara nel vangelo: Chi ascolta le mie parole e le mette in pratica, mio Padre ed io verremo da lui e porremo in lui la nostra dimora (Gv 14,23)» .[11]

La memoria costante di Gesù e della sua passione ci trasforma nel nostro intimo: «Solo chi tiene stretto in cuor suo il Verbo di Dio con tutto l’affetto e tutto l’amore potrà ricevere il profumo della sua fragranza e della sua dolcezza» [12]. «Le donne premurose di abbellirsi, hanno cura di profumarsi il corpo per essere attraenti al coniuge; a questo scopo nascondono nelle pieghe della veste un unguento abbastanza forte; così mentre questo espande il suo odore anche il corpo assorbe la qualità dell'essenza. Ella dichiara: “Tengo appeso al collo e porto sul petto un sacchetto e per mezzo di esso profumo il corpo. Non contiene alcun profumo eccetto che il Signore stesso il quale, diventato mirra, dimora nel sacchetto dell'anima, pernotta nel mio cuore”. La sposa, accogliendo nel vertice dell'anima il profumo del Signore e rendendo il suo cuore un sacchetto che contiene questa mirra, ottiene che tutte le attività della sua vita, come fossero le membra di un corpo, s'infiammino al soffio caldo che proviene dal cuore e che nessuna colpa raffreddi l'amore verso Dio in qualcuna delle membra di quel corpo» [13].

Il mio diletto è per me un grappolo di cipro nelle vigne di Engaddi. Secondo un’interpretazione, la ragazza si paragona ad una vigna che produce un grappolo meraviglioso. Il cristiano può vantarsi di riprodurre in sé il Cristo, come frutto del suo lavoro di conversione «Chi è divenuto tanto beato, anzi chi è giunto al colmo della beatitudine così che, guardando il risultato del suo lavoro, il grappolo della sua anima, possa vedere in esso lo stesso Padrone della vigna? Vedi quanto è diventata grande colei che ha impregnato il suo nardo del profumo dello sposo! Ha reso lui stesso una mirra aromatica e ha trasferito quell'unguento nel sacchetto del suo cuore! Poiché il bene rimane sempre presso di lei, senza mai evaporare, diventa madre del Grappolo divino. Chi conforma la sua volontà alla legge divina e la medita giorno e notte (Sal 1,2-3), diventa un albero sempre verde; piantato lungo l'acqua corrente, porta frutto alla stagione adatta; per questo la vigna dello sposo, piantata in Engaddi, radicata e cresciuta in questo terreno ubertoso (ossia nella profonda conoscenza irrigata dagli insegnamenti divini) ha prodotto questo grappolo verdeggiante e fiorente, nel quale contempla il suo agricoltore e il suo coltivatore. Felice davvero questa coltivazione, il cui prodotto riflette la figura dello Sposo! Infatti, poiché Egli è la vera luce, la vera vita e la vera giustizia e tutte le altre perfezioni, quando qualcuno ottiene queste virtù che sono lui stesso, allora, guardando nel grappolo della sua anima, vede in essa lo stesso Sposo, poiché contempla la luce della verità nella sua vita splendente e senza macchia» [14].



[1] Glossa I, 125.

[2] Bernardo di Chiaravalle, Sermoni sul Cantico dei Cantici, XXXIX, 2, p. 434.

[3] Guglielmo di Saint-Thierry, Commento al Cantico dei cantici, 57, pp. 88-89.

[4] Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, p. 69.

[5] Luis de León, Commento al Cantico dei cantici, p. 57.

[6] Glossa I, 146.

[7] Luis de León, Commento al Cantico dei cantici, p. 58.

[8] Rashi di Troyes, Commento al Cantico dei cantici, p. 59.

[9] Glossa I, 154.

[10] Apponio, Commentario al Cantico, III, 10.

[11] Apponio, Commentario al Cantico, III, 12.

[12] Origene, Commento al Cantico dei cantici, p. 182.

[13] Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, p. 72.

[14] Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, p. 74.